G8. Bertolaso, mai preso tangenti

ROMA – «Mai preso tangenti per gli appalti del G8». «Mai compiuto scelte economicamente svantaggiose per la Pubblica Amministrazione». «Mai favorito alcun imprenditore nell’affidamento delle opere». Guido Bertolaso, ex capo del Dipartimento della Protezione Civile («che ho avuto l’onore di guidare per nove anni»), racconta la sua verità a un giudice del tribunale di Roma che deve decidere se spedirlo sotto processo o meno assieme ad altre diciassette persone, tra cui l’ex presidente del Consiglio superiore dei Lavori Pubblici Angelo Balducci, l’imprenditore Diego Anemone e i funzionari pubblici Fabio De Santis e Mauro della Giovampaola.

Accusato di corruzione dai pm di Perugia e poi, per competenza, da quelli di Roma, Bertolaso ha chiesto e ottenuto di poter essere interrogato in udienza preliminare per spiegare a tutti di aver sempre agito nel rispetto delle regole e in assoluta buona fede, onorando quella maglietta della Protezione civile «spesso derisa e denigrata» e facendo fronte a tutte le emergenze italiane (Giubileo, terremoti, alluvioni, esondazioni) fino a ottenere la nomina di commissario delegato per il G8 che si sarebbe dovuto tenere alla Maddalena nel 2009. La difesa di Bertolaso è netta: «Non è vero che il 23 settembre 2008 ho preso 50mila euro in contanti da Diego Anemone. Con lui avevo un rapporto di cordiale conoscenza ma io non ho mai visto in vita mia una busta con questi soldi. Io non solo non ho mai favorito Anemone nel sistema di assegnazione degli appalti (e tra l’altro non avevo alcun potere di interferire nelle procedure concorsuali per l’affidamento delle opere che rientrava nelle competenze della struttura di missione creata presso la Presidenza del Consiglio) ma credo di averlo pure fortemente penalizzato».

«Quando dopo il terremoto in Abruzzo, si stabilì con un decreto di trasferire all’Aquila il vertice che si doveva tenere alla Maddalena – ha rivelato Bertolaso -, si decise anche di sospendere, a partire dal mese precedente, i pagamenti dei lavori avviati in quella primavera: ebbene, Anemone si lamentò al telefono con altri che questa decisione adottata dalla Presidenza del Consiglio gli procurò un danno di 50 milioni di euro che erano il guadagno di due mesi di lavoro, maggiorati del 30%. In ogni caso è falso che io abbia adottato scelte svantaggiose per la Pubblica Amministrazione e favorevoli al privato. La prova? Nell’ottobre del 2008, su mia richiesta, si tenne una riunione a Palazzo Chigi nella quale furono rivisti i costi che erano lievitati di molto». Bertolaso ha dato la sua versione anche sull’appartamento di via Giulia, di cui ha avuto disponibilità per qualche anno: «Lo ebbi in comodato d’uso, salvo il pagamento di luce e gas, dal professor Silvano, stretto collaboratore dell’allora vescovo Sepe, poi cardinale, che avevo conosciuto ai tempi del Giubileo. Mia moglie non poteva reggere i miei ritmi di lavoro, a casa mi chiamavano a tutte le ore del giorno e della notte e mi cercai così un’altra sistemazione. Nessuno mi disse mai che c’era un affitto da pagare e neppure che a pagare sarebbe stato l’architetto Angelo Zampolini (per l’accusa un collaboratore di Diego Anemone, ndr), che peraltro non ho mai conosciuto. Non sono ricco ma penso che la somma di 1.500 euro al mese potevo pure permettermela. Quando ho lasciato l’immobile ho restituito le chiavi a Silvano».

Bertolaso ha detto la sua pure sulle frequentazioni presso il Salaria Sport Village, struttura riconducibile sempre all’imprenditore Anemone. «Ci andavo – spiega l’ex capo della Protezione civile – perchè avevo bisogno di alcuni massaggi di fisioterapia. Basta acquisire la risonanza magnetica della mia colonna per capirlo. Ho sempre pagato, almeno una dozzina di volta, per le prestazioni offerte dalla signora Francesca Muto, fisioterapista molto nota e apprezzata a Roma. Un giorno mi fu detto che il pagamento era compreso in un abbonamento Platino. Capii che c’erano pressioni di qualcuno perchè non pagassi, sarà capitato 3 o 4 volte ma alla fine non ci andai più». L’ultimo punto che sta a cuore di Bertolaso è la presunta prestazione sessuale, sempre presso quel centro massaggi, con una brasiliana di nome Monica: «Era il 14 dicembre 2008 – ha rammentato – e il Tevere rischiava di esondare a Ponte Sant’Angelo. Ero reduce da tre giorni e tre notti di stress e avevo bisogno di un massaggio. La signora Muto non c’era e trovai Monica: ma non è vero che si presentò indossando un bikini stretto, che bevemmo champagne in due calici e che furono usati profilattici, peraltro mai trovati. Sono tre anni che io e il mio difensore siamo alla ricerca di questa Monica che nessuno ha mai interpellato affinchè potesse dire la verità. È tutto così fuori da ogni logica, tutto assurdo». Infine, rispondendo a una domanda del pm, Bertolaso ha spiegato di «conoscere Angelo Balducci, dai tempi del Giubileo. Se non ci fossimo stati noi due, non si sarebbe fatto. Ho dato un contributo importante affinchè fosse nominato soggetto attuatore per le opere realizzate a La Maddalena, così come fu una mia scelta il nome di Michele Calvi, successore di Fabio De Santis. Mio cognato, Francesco Piermarini – ha concluso Bertolaso – aveva un contratto di consulenza con la struttura di missione. A fare il suo nome era stato un dirigente del ministero dell’Ambiente. Piermarini operava nella bonifica ambientale dell’area marittima della Maddalena. Mi limitai a prenderne atto della nomina».

Condividi sui social

Articoli correlati