Inchiesta Tav. L’ex presidente Lorenzetti agli arresti domiciliari

PERUGIA  – Maria Rita Lorenzetti è stata arrestata questa mattina e si trova ora agli arresti domiciliari nell’ambito dell’inchiesta sul nodo fiorentino dell’alta velocità. La misura degli arresti domiciliari  è stata disposta per il pericolo di reiterazione del reato e non, come si era appreso inizialmente, per il pericolo di inquinamento probatorio.

L’indagine della procura di Firenze aveva portato a indagare 31 persone e a gennaio i carabinieri del Ros aveva eseguito perquisizioni in tutta Italia. L’ex presidente della Regione Umbria aveva già ricevuto un avviso di garanzia, nella sua veste di presidente dell’Italferr, con le ipotesi di corruzione, associazione a delinquere e abuso di ufficio. L’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari, in cui viene ipotizzato il rischio di inquinamento probatorio, è composta da circa 480 pagine. L’ex presidente della Regione Umbria si troverebbe attualmente nella sua abitazione di Foligno. Al momento l’atto sarebbe stato notificato alla sola indagata.

L’indagine

Le indagini sul passante ferroviario fiorentino dell’alta velocità e sui cantieri presero le mosse da un’inchiesta della Procura di Firenze il 17 gennaio scorso. In quell’occasione, vennero eseguite perquisizioni in tutta Italia e furono indagate 31 persone, fra cui la presidente di Italferr ed ex presidente della regione Umbria, Maria Rita Lorenzetti. I reati contestati furono truffa e corruzione. Due i filoni principali: il primo riguardò l’ipotesi di illecito smaltimento dei fanghi; l’altro la scarsa sicurezza dei materiali e dei macchinari, primo fra tutti la grande trivella con cui si sarebbe dovuto costruire il tunnel. La Procura di Firenze ipotizzò l’utilizzo di materiale scadente e pericoloso per la costruzione delle gallerie. In particolare, sarebbero stati utilizzati materiali ignifughi di bassa qualità, probabilmente allungati con acqua, e che avrebbero messo a rischio la sicurezza della galleria stessa. La fresa

‘Monnalisà, utilizzata per gli imponenti scavi venne sequestrata dai carabinieri del Ros, perchè secondo l’accusa sarebbe stata costruita con guarnizioni non in grado di sostenere la pressione dello scavo. Per questo, fra i reati ipotizzati dalla magistratura del capoluogo toscano, si trovano l’associazione a delinquere, truffa, corruzione, gestione e traffico illecito di rifiuti, abuso d’ufficio e violazione delle norme paesaggistiche. Circa il filone dell’indagine relativa ai rifiuti, una delle ipotesi dei pm fiorentini, condotta dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi e affidata ai pubblici ministeri Giulio Monferini e Gianni Tei, e che fra le ditte che smaltivano i fanghi e le acque nei cantieri del nodo fiorentino della Tav, una, del casertano, avrebbe avuto clan dei Casalesi. L’intera inchiesta sarebbe partita proprio da un accertamento del Corpo Forestale dello Stato e dell’Arpat sullo smaltimento dei fanghi e delle acque dei cantieri. Secondo l’accusa, le ditte incaricate della raccolta, del trasporto e dello smaltimento in discarica, fra cui quella del casertano, si sarebbero spartite, accordandosi fra loro, il quantitativo dei rifiuti. Nell’inchiesta, tra gli indagati anche il general contractor dell’opera, la Novadia, l’azienda che ha vinto l’appalto per la costruzione del tunnel da Campo di Marte a Castello, lungo circa 7,5 km, e della stazione sotterranea del passante ferroviario fiorentino dell’alta velocità. 

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