Carcere. Detenuto ucraino tenta suicidio, si taglia le vene

Un gesto disperato, i compagni di cella non si sono accorti di nulla

ROMA –  Ha tentato il suicidio, tagliandosi le vene, in pieno giorno, accanto ai compagni di cella del Centro Clinico del carcere di Regina Coeli che, ignari, stavano consumando il pasto. Protagonista della vicenda, un detenuto ucraino di 49 anni, Antony P., salvato in extremis da una infermiera e da un agente di polizia penitenziaria. La notizia dell’ennesimo dramma della disperazione in carcere è stata resa nota dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.


A quanto appreso dai collaboratori del Garante, l’episodio è avvenuto questa mattina, intorno alle 11.30. L’ucraino – arrivato a Regina Coeli venerdì scorso e subito trasferito nel Centro Clinico per le sue precarie condizioni di salute – era atteso per una visita medica. Non vedendolo arrivare, un agente di polizia penitenziaria in servizio nella struttura è andato a cercarlo in cella.

 Antony era nel proprio letto, sotto le coperte, apparentemente addormentato. Un più approfondito controllo ha però permesso di accertare che l’uomo si era reciso da poco le vene di un braccio e giaceva in una pozza di sangue a poca distanza dagli altri 4 compagni di cella che, ignari, si apprestavano a consumare il pranzo.

 Immediatamente soccorso dallo stesso agente e da una infermiera in servizio, l’uomo è stato trasferito dal 118 in codice rosso in uno degli ospedali di zona.

 «A quanto mi è stato riferitoha detto il Garante dei detenuti Angiolo Marroniquest’uomo era seriamente malato ed aveva non poche difficoltà a farsi comprendere dagli altri a causa della lingua. Resta il dato di fatto dell’ennesimo dramma della disperazione consumato all’interno di un carcere che è per definizione un luogo duro ma lo è ancor di più con le difficili condizioni che si sono venute a creare in questi anni. Fa riflettere e sconvolge la decisione di un uomo che decide di togliersi la vita non di notte, quando la solitudine si fa sentire forte, ma in pieno giorno fra compagni di cella alle prese con i normali gesti della quotidianità.  Non essere in grado di capire i fantasmi di questa gente è la vera sconfitta del sistema».

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