Femminicidio. Intervista a Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato

La disparità di genere va affrontata sotto tre aspetti: quello legislativo, quello culturale e quello lavorativo

ROMA – È sempre più difficile rincorrere il numero delle donne vittime di violenza. Gelosia, desiderio di prevaricazione, vendetta dopo la fine di una relazione. Quello che accomuna queste storie è l’iter criminoso: la donna che soccombe in un vortice malsano di “amore” e violenza, in cui viene trascinata da mariti, ex mariti, innamorati respinti. E’ armata la mano di chi, invece, dovrebbe rappresentare un sostegno, una protezione. A quasi un anno dall’approvazione della legge sul “femminicidio”, come viene chiamata la n. 119/2013, a che punto è l’Italia nella lotta alla violenza di genere e, soprattutto, quanta strada c’è ancora da fare per raggiungere un’uguaglianza sostanziale tra uomo e donna in ambito sociale, lavorativo ma, soprattutto, culturale? Lo chiediamo alla Senatrice Valeria Fedeli, Vice Presidente del Senato, ex sindacalista Cgil, tra le fondatrici di “Se non ora quando”, movimento attivo per l’affermazione e la tutela dei diritti e delle libertà delle donne.

D. Senatrice, siamo quasi ad un anno dall’approvazione della legge 119/2013 ma, come le terribili vicende degli ultimi giorni ci dimostrano, ci troviamo di fronte ad un aumento del numero di femminicidi, piuttosto che ad una loro diminuzione. Questo prova che, nonostante gli sforzi del Parlamento, l’inasprimento delle pene per i reati di violenza sulle donne non ha sortito gli effetti desiderati. A Suo parere, quali modifiche dovrebbero essere apportate al testo di legge per poter incidere significativamente su questa terribile escalation di violenza?

R. In realtà il discorso dovrebbe essere impostato non tanto sul piano legislativo e la repressione dei reati, perché in tal modo il vero tema del contrasto al femminicidio non viene affrontato.  Di fatto, nonostante il Parlamento italiano sia stato tra i primi a ratificare la Convenzione di Instanbul del 2011, primo atto vincolante gli Stati dell’Unione in materia di violenza sulle donne, che pone la questione come inerente alla violazione dei diritti umani e non al singolo reato, mancano in Italia gli strumenti necessari per la lotta alla violenza di genere. Il primo? Una Commissione bicamerale, per la cui istituzione l’anno scorso ho presentato un disegno di legge, che faccia, annualmente, il punto sull’avanzamento dei vari Ministeri sul contrasto alla violenza sulle donne. Perché, altrimenti, si continuerà a pensare ad essa in astratto, come ad un fatto occasionale e non come un dato strutturale che riguarda tutti gli ambiti della politica .

D. Il problema, oltre a quello giuridico, ha un valore culturale. La disparità di genere è la prima battaglia da combattere in una società afflitta da quell’antico male che è la logica della supremazia maschile. La questione dovrebbe essere quindi affrontata in primis in ambito formativo. A suo parere, quali strumenti dovrebbero essere adottati per poter già nelle scuole impartire un’educazione all’uguaglianza di genere?

R. La disparità di genere va affrontata sotto tre aspetti: quello legislativo, quello culturale e quello lavorativo. 

Nell’ambito didattico è necessario modificare ed integrare i programmi scolastici, perché i testi e gli strumenti di formazione non valorizzano la differenza di genere ed il valore di essere uomo e donna. Quel che non avviene nelle scuole è l’educazione alla reciproca libertà. Quella da combattere è, quindi, una guerra agli stereotipi di genere, perché le ragazze crescono secondo lo stereotipo della donna che deve essere posseduta e dominata, così come l’uomo viene ingabbiato in quello del maschio dominatore.

In tutto ciò c’è poi una grande responsabilità dei media. Pensiamo a come vengono date le notizie: nessuno affronta il tema degli uomini che non sono adeguati ad affrontare la libertà femminile, perché si descrive il singolo episodio di violenza fornendo all’uomo delle giustificazioni: l’uomo abbandonato, l’uomo in crisi, che ha perso il lavoro, che va fuori di testa. Questo perché domina nella nostra società un archetipo profondo dei comportamenti relazionali tra uomo e donna, che deve essere distrutto.

Ciò su cui bisogna intervenire sono quindi i modelli formativi: perché se un uomo non è in grado di rispettare la libertà dell’altro, della donna, di riconoscerla differente, in realtà non è libero egli stesso, rimanendo asservito alla logica della supremazia maschile. 

Ecco quindi che diventa necessario impartire un’Educazione Sentimentale, insegnare, dal punto di vista storico e letterario, il rispetto della differenza, spiegare cosa significa essere una donna libera ed autonoma e cosa un uomo libero ed autonomo, spiegare il concetto di reciprocità. Creare una cultura differente della relazione. Faccio l’esempio più facile: tutti pensano che nella letteratura e nella filosofia ci siano solo uomini, ma ci sono molte scrittrici e studiose anche sul versante femminile. Ecco quindi che bisogna dare valore ad una donna in quanto donna, nella sua diversità. Conoscere e rispettare questa diversità per creare uguaglianza.

D. In qualità di ex sindacalista, Lei crede che in ambito lavorativo si sia effettivamente raggiunta una parificazione tra i  sessi? Quanto ancora c’è da fare perché si possa creare un’uguaglianza sostanziale? 

R. Assolutamente no. Molte donne non denunciano le violenze, per una condizione non solo psicologica ma materiale di dipendenza economica dall’uomo.InItalia, quando una donna denuncia una violenza e, per ragioni di sicurezza, viene allontanata per un periodo dall’ambito familiare, viene licenziata, perché l’assenza dal lavoro è considerata non giustificabile, in quanto non è prevista dai contratti di lavoro. In Inghilterra, quando una donna che non ha lavoro denuncia un episodio di violenza ed il marito viene allontanato, viene previsto un  reddito da lavoro attraverso un accordo tra Stato e sistema delle imprese e questa è una delle cose più importanti che vorrei si potesse fare anche in Italia: ne lancerò la proposta il 7 ottobre, simbolicamente in questa data proprio per poter capire cosa, rispetto all’anno scorso, quando il 24 Settembre è stata ratificata la Convenzione di Instanbul, è cambiato. Chiamo a responsabilità tutti i segmenti della società, compreso il sistema delle imprese ed i sindacati, che devono riflettere su come, rispetto all’ambiente di lavoro, si contrasta la violenza di genere.

D. In Germania, quando la donna è disoccupata beneficia di un sussidio nel periodo di maternità, affinchè possa mantenersi autonoma e sostentarsi.

R. In Italia questo non c’è, ma è necessario creare un sistema in grado di sostenere una donna durante la maternità, affinchè la sua natura di madre non venga messa in contraddizione con le scelte lavorative. Il tema più importante da affrontare in quest’ambito è appunto quello della maternità: esso non può costituire un ostacolo alla carriera della donna, ma ad oggi lo è, perché gli ambienti di lavoro sono costruiti a misura d’uomo, non di donna. È necessario quindi partire dalla costruzione di un Welfare basato sulla suddivisione del carico dei lavori di cura o, qualsivoglia dire, familiari, tra uomo e donna,  per creare una condizione di parità. Bisogna partire da questo, dato che, se le donne vengono discriminate sul lavoro, è chiaro che, avendo minore autonomia economica subiscano più violenza dovendo, per ragioni di necessità, rimanere legate ai propri aguzzini.

D. La violenza ha molti modi di manifestarsi, quella fisica è solo una dei tanti, quella psicologica è forse un male peggiore. Per poterla contrastare, in linea con la Convenzione di Instanbul del 2011, è necessario creare una rete di sostegno e accoglienza delle donne. A che punto è il Piano nazionale per la violenza di genere e lo stalking? 

R. Una cosa fondamentale è avere un Piano di Sostegno ai centri di accoglienza che supportino le donne per sottrarle agli ambienti di violenza, sia psicologica che fisica. Questo piano dovrebbe essere varato in modo compiuto ad Ottobre – con molto ritardo – con nuovi criteri. Tuttavia, quel che bisogna fare è, soprattutto, investire sul contrasto alla violenza di genere perché siamo un Paese che, rispetto alle direttive europee investe pochissimo in quest’ambito. Ciò che è necessario è considerare la violenza sulle donne un dato strutturale e politico perché altrimenti nessun impegno concreto verrà assunto, soprattutto in virtù di questa crisi, non capendo che se le donne vivono bene in uno Stato vivono meglio tutti.  Non a caso le analisi sul benessere di una Nazione si compiono sul tasso di natalità (essendo le donne messe in grado di dedicarsi, oltre che al lavoro, alla maternità) ed al grado di occupazione femminile e di relazioni positive tra uomini e donne.

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