ROMA – «Le motivazioni della Corte d’Appello sono, purtroppo, l’amara conferma di quello che ho denunciato fin dalle prime ore seguenti la morte di Stefano Cucchi e cioè che la verità andasse cercata anche nelle fasi precedenti la sua presa in carico da parte della Polizia Penitenziaria.
Paradossalmente, però, una sentenza di assoluzione può oggi aiutarci a trovare la verità.». Lo dichiara, in una nota, il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni commentando la sentenza con cui i giudici dell’Appello hanno assolto gli agenti della polizia penitenziaria, i medici e i paramedici dell’ospedale Sandro Pertini accusati della morte di Stefano Cucchi avvenuta il 22 ottobre 2009.
Nelle ore immediatamente successive alla morte del giovane, il Garante inviò un esposto alla Procura della Repubblica della Capitale nella quale si chiedeva – prima ancora che fossero noti tutti i dettagli della vicenda – di “verificare se effettivamente la mattina del 16 ottobre 2009 vi fosse stato un intervento del 118 presso la camera di sicurezza dei carabinieri che ospitava il Cucchi e di verificare chi fosse materialmente intervenuto in quella occasione e quali fossero le condizioni cliniche del detenuto al momento dell’intervento”.
Un convincimento – quello che la verità andasse cercata altrove rispetto alla direzione presa dalle indagini – che il Garante ha espresso chiaramente in più occasioni, compresa una audizione davanti alla Commissione Parlamentare di inchiesta sugli errori in campo sanitario e un intervento all’interno del docu-film ”148 Stefano”, presentato al Festival del Cinema di Roma. Denunce rimaste tutte senza esito.
L’invio della sentenza alla Procura della Repubblica perché valuti la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità dimostra, secondo Marroni «la carenza delle attività investigative svolte concentrate esclusivamente sul periodo di permanenza di Cucchi in carcere e in ospedale. Indagini che hanno tralasciato colpevolmente le vicende precedenti al suo arrivo al Tribunale di piazzale Clodio, l’arresto e la sua detenzione nelle mani dei carabinieri. Se si fossero svolte indagini a 360°, come la logica imponeva, forse oggi la famiglia Cucchi avrebbe quella giustizia che da cinque anni va disperatamente cercando, e si sarebbero risparmiate sofferenze ed umiliazioni non solo ai familiari del povero Stefano ma anche a tutte quelle persone che sono state accusate e poi giudicate innocenti»