Il Boss Pesce in manette: «Sono diventato un personaggio»

REGGIO CALABRIA – «Sono diventato un personaggio». È questa la frase pronunciata questa mattina, da Francesco Pesce, sorridendo ai carabinieri, dopo aver trascorso la prima notte in caserma ed in attesa di essere trasferito in carcere.
Pesce era stato arrestato ieri sera a Rosarno nel corso di una operazione congiunta del Ros, del comando provinciale di Reggio Calabria e dello squadrone eliportato cacciatori e l’annuncio è stato dato dal Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Piero Grasso, a Reggio Calabria in occasione dell’incontro a ricordo del ventennale della morte del giudice Antonino Scpelliti. Francesco Pesce classe ’79, latitante da più di un anno, è figlio del boss ergastolano Antonino Pesce detto “Testuni” in carcere dall’inizio degli anni 90.

 

Ad assegnargli il ruolo di capo indiscusso della cosca di ‘ndrangheta è stato proprio il padre, in una lettera indirizzata alla moglie nella quale l’anziano capostipite della cosca, raccomandava le raccomandava di dire ai suoi fratelli di lasciare tranquillo e rispettare le decisioni di Francesco in quanto questi avrebbe pensato a «tutta la famiglia». Francesco Pesce, come è emerso dall’operazione ‘All Clean’, compiuta dai carabinieri e dai militari della Guardia di Finanza, che ha portato al sequestro di beni per un valore di 200 milioni di euro, rappresentava anche il volto imprenditoriale della propria cosca. Al momento dell’arresto Pesce, che è accusato di associazione mafiosa e molti altri delitti, si trovava nel bunker delle dimensioni di circa 40 metri quadri ricavato all’interno di un capannone di una grande azienda agricola di Rosarno, composto da cucina, bagno e camera da letto dotato di impianto di video sorveglianza attivo, aria condizionata, collegamento ad internet e televisione con parabola, ed al quale accedeva mediante una botola azionabile da meccanismo elettro-pneumatico attivato da telecomando. All’arrivo dei carabinieri Pesce era in possesso di alcuni “pizzini” ovvero i fogli di carta sui quali i boss impartiscono brevi messaggi in codice per gli affiliati della cosca. Nonostante abbia cercato di distruggerli, i militari sono riusciti a recuperarli ed in queste ore sono all’esame di valutazione per definire le strategie alle quali stava lavorando Pesce.

Oltre a Francesco Pesce, di cui ha parlato ripetutamente la cugina, Giuseppina, che sta collaborando con la giustizia e che avrebbe ricostruito per gli inquirenti l’organigramma e le attività della cosca, i Carabinieri hanno arrestato anche Antonio Pronestì, imprenditore accusato di favoreggiamento

Immediate il commento del ministro dell’Interno, Roberto Maroni che questa mattina ha telefonato al Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Leonardo Gallitelli, per compiacersi dell’operazione condotta dal Comando provinciale e dal Ros di Reggio Calabria. «È un duro colpo alla ‘ndrangheta -ha detto Maroni- ed è un successo investigativo di altissimo livello conseguito grazie al prezioso lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura».

«Francesco Pesce è il reggente della cosca, colui che teneva la cassa, il regista operativo che contava su una ampia rete di collegamenti esterni. Per lui c’è una richiesta di condanna a 20 anni di reclusione avanzata dal pubblico ministero Gerreti». A dichiararlo è stato il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone, nel corso della conferenza stampa durante la quale ha illustrato i particolari dell’arresto del boss ed ha fatto un bilancio dell’attività investigativa che in questi anni ha portato alla cattura di 50 latitanti. «C’è una nuova generazione di latitanti- ha detto Pignatone – comprendente Rocco Aquino, per la jonica, Domenico Condello per l’area di Reggio Calabria, Francesco Pesce per la Piana e Cosimo Alvaro nell’area intermedia tra la città di Reggio e la Piana di Gioia Tauro».

Durante la conferenza stampa il vice comandante del Ros di Roma, Generale Mario Parente, ha evidenziato che «Pesce è stato individuato in una zona molto vicina al suo centro di interesse». Il tenente colonnello Carlo Pieroni del Comando provinciale di Reggio Calabria ha affermato che c’è stata «una sinergia che ci ha consentito di mettere a sistema tutte le articolazioni territoriali dell’Arma. L’attività investigativa si è sviluppata sia in senso classico, con intercettazioni e pedinamenti, ma anche con un pattugliamento ed una pressione costante sul territorio del Comune»

 

 

 

 

 

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