Venezia 1582. Un agguato feroce nella Venezia del Cinquecento

VENEZIA – Questa storia avviene nel 1592 a Venezia. L’anno 1592 per Venezia è un anno particolare, un anno da dimenticare.

Tra marzo e giugno Giordano Bruno verrà sequestrato in città e poi consegnato al tribunale del Santo Uffizio che il 17 febbraio del 1600, dopo averlo condannato per eresia, lo condurrà al Campo de’ Fiori a Roma con una mordacchia per impedirgli di parlare, spogliato e legato ad un palo sarà bruciato vivo. Ma è anche l’anno in cui la Repubblica nomina Galileo Galilei lettore di matematica all’Università di Padova, dove terrà il suo discorso inaugurale e rimarrà per ben 18 anni. Nello stesso periodo, in città, avveniva un fatto di cronaca e come tutti i fatti di cronaca nera ha le sue vittime, i suoi carnefici e i suoi misteri. E’ un calda sera di giugno, precisamente è il 14 giugno del 1592. Ci sono due uomini che stanno percorrendo una stretta calle chiamata due corti nel sestiere di Cannaregio.  Quegli uomini si muovono veloci tra le calli scure. Non ci sono molte luci nella Venezia del Cinquecento e se non fosse per una luna piena ci si potrebbe sbagliare facilmente di strada. Ma loro conoscono bene la zona e arrivano fino in corte senza incontrare nessuno. Uno dei due chiede all’altro di attendere mentre guarda che non ci sia qualcuno affacciato ai balconi. Mentre i due uomini sospetti si nascondo nell’ombra, con passo veloce sta giungendo un terzo uomo. Quell’uomo si chiama Marcantonio Visentin e di professione fa il samiter.

Con il termine di  samiteri a Venezia si indicavano i venditori di tele di seta stracciata. Un lavoro basato sul riuso. Il Visentin conosce molto bene anche lui quella corte e sta per bussare al portone del palazzo dove aveva preso una stanza in affitto. Nel mentre, uno dei due uomini esce dall’ombra e senza proferire parola lo prende per il braccio. Sotto il vestito quell’uomo ha uno stillo e colpisce il samiter più volte. Il sangue comincia a macchiare i masegni della corte e le urla, di dolore e di sorpresa, della vittima, rimbombano tra le pareti della calle. Il terzo uomo si fa avanti e lo colpisce anch’esso con una spada. Alcuni balconi si cominciano ad aprire e da un portone esce tale Orsetta. Orsetta è la moglie di Zanetto, di professione barcaiolo. Lei lavora di ago quando serve e conosce quasi tutti in quella corte. Sebbene nascosti dalla poca luce riconosce subito quei tre uomini. Non ha dubbi sono Santo e Giovanni Battista entrambi samiteri, i quali stavano colpendo furiosamente Marcantonio Visenti.  Vede le spade e lo stillo ed urla: “no fe no fe no ghe che a quel povereto” ( non fate non fate non date a quel poveretto). Non si rende conto che lei, in quella situazione, non doveva esserci. Santo, senza dire nulla, si allontana da Marcantonio e la colpisce alla testa. Uno spruzzo imbratta lo stipite della porta e Orsetta si accascia a terra. Il referto dirà che la ferita aveva raggiunto il cervello, scoprendolo in parte. Nel mentre la vittima cerca rifugio presso il portone dove risiedeva. La porta si apre, dietro c’è tale Bernardina, vedova, di professione lavora la seta e affitta delle stanze. Sempre Santo si accorge che gli sta sfuggendo la vittima ed ancora una volta si lancia brandendo il coltello con il quale colpisce la povera donna, prima al braccio e poi in testa. Colpisce per uccidere. Anche in questo caso il referto specificherà che erano tutte ferite mortali.

Da uno di quei balconi si affaccia tale Elena. Elena è la moglie di uno dei due killer, precisamente di Santo. Come si affaccia alla finestra urla: ”amazza, amazza, anco il muraro”. (ammazza ammazza anche il muratore). Chi era il muratore? Non lo sappiamo. Ormai la tragedia si era conclusa. Marcantonio Visentin, giaceva morto al suolo in una pozza di sangue, sullo stipite Bernardina piange tenendosi la testa, sul portone vicino, Orsetta è priva di conoscenza, anch’essa in una pozza di sangue. I due killer si allontanano velocemente. E’ passata da poco la mezzanotte. Siamo in una corte del sestiere di Cannaregio, oggi non troppo distante dalla stazione, ma allora in una zona periferica della città.

Sono le ore 18 del giorno successivo, quando Domenico, di professione barbiere, si muove da casa sua a San Leonardo e raggiunge le case dei preti di San Geremia alle due corti in Cannaregio. Ad attenderlo un soldato è fermo sulla porta. Quanto entra nella stanza buia vede disteso sul tavolo un cadavere coperto da un telo. Il soldato, che nel frattempo è entrato, legge negli occhi del barbiere la curiosità e gli dice che quel cadavere è di tale Marcantonio Visentin, di professione samiter. Il barbiere si mette al lavoro e stila il suo referto. Il cadavere presenta diverse ferite, ferite da taglio al corpo e alla testa. Al ventre aveva dei colpi dati di punta, alla schiena una brutta ferita di taglio ed altre di punta, spalla e braccio sono anch’esse tagliate. Quell’uomo era stato ucciso il 14 giugno. Chiunque lo volesse morto non gli diede modo di reagire. Due giorni dopo vengono visitate le due donne, entrambe in fin di vita.

Il 27 giugno il Capitano Angelo, assieme ad alcuni soldati, di notte andò con alcuni uomini a prelevare Santo e il Veronese ma trovò solo Elena la moglie di Santo, la quale disse che erano scappati via la notte dell’omicidio.
Il 6 luglio, dopo aver interrogato numerosi testimoni, fu emesso il bando. Come da consuetudine se  fossero stati presi sarebbero stati decapitati. Elena, invece, fu bandita da tutta Venezia e se avesse rotto il bando avrebbe pagato con tre anni di carcere a Palazzo Ducale.
Restano molti quesiti, nel processo non emerge il movente di una simile ferocia. Sappiamo solo che il muratore, tale Bastian, era in casa quella notte ma fu trattenuto dall’uscire allo scoperto. Quell’anno, per Venezia, da ricordare non ci sarà solo il brutto ricordo di Giordano Bruno.

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