Venezia 1734: Il caso del sacrestano uxoricida

VENEZIA – Notizie di cronaca hanno riportato, con accentuata frequenza, fatti di sangue che coinvolgono il proprio familiare. Quando questo è la moglie, la gelosia, causata dell’infedeltà vera o presunta, sfocia nel raptus omicida. Ma cos’è un raptus?: “Si parla di raptus quando una persona commette un gesto, solitamente delittuoso, che non sembra possa rappresentarne le intenzioni.

Quindi indica una temporanea incapacità di auto-coordinarsi. Quando si agisce in preda a un raptus possono essere commesse azioni irreparabili.” (Stella, 2001). Questa definizione rappresenta il fulcro del processo che si svolse a carico di Giuseppe Tomasuzzi nella Venezia del Settecento.
E’ il primo pomeriggio di un caldo 3 luglio del 1734 quando compare davanti all’ufficio del notaio della magistratura dei Signori di Notte al Criminal tale Domenico Mussato figlio di Berto, residente in Corte Loredan alla Madonna dell’Orto nel sestiere di Cannaregio. Domenico Mussato possiede una bottega di malvasia ma è davanti al notaio perché è anche il capo contrada di San Marcilian e doveva quel giorno relazionare sui fatti accaduti a tale Fiorina Molinari moglie di Giuseppe Tomasuzzi. Dopo che le guardia lo hanno fatto entrare inizia cosi il racconto: “L’altra notte venendo li due del corrente di luglio alle hore sei e mezza invenne la madre del detto Iseppo Tomasuzzi nonzolo della Madonna dell’Orto e suo fratello del detto Iseppo di nome Mozuolo, venero a batter alla porta della mia casa situata in corte Loredana alla Madonna dell’Orto, andai ad aprirgliela et introdotte le dette persone mi dissero che andarà subito alla loro casa in Corte Nova a San Marcilian poiché il detto Iseppo Tomasuzzi aveva ammazzato sua moglie. Perciò andai subito in detta casa con un mio collega capo di ditta Contrada che non so come si chiami e introvandomi che è una casetta appepian con un scalin che se va dentro, la quale casetta a due loghi una cusina et una cameretta”. Il notaio trascriveva diligentemente il racconto, oggi presente in uno dei centinaia di fascicoli nel fondo della Quarantia Criminal, miscellanea penale. Cosa trovò in quella stanza il capo contrada? Quando il Mussato entra nella camera, trova la donna riversa sul pavimento della camera, massacrata da alcuni colpi di un arma con lama. Fiorina, completamente nuda, ha una ferita di punta in mezzo al petto, un altro profondo taglio sulla faccia e numerose contusioni per tutto il corpo. Era stata visibilmente picchiata prima di essere uccisa.
Non era difficile capire cosa fosse successo ma la prima ricostruzione del crimine viene offerta dalla madre e dal fratello dell’assassinio.

Sembra che Giuseppe, sacrestano alla chiesa della Madonna dell’Orto, fosse tornato a casa sua verso le sei, trovando la porta chiusa. Per nulla insospettivo, lui dormiva spesso in chiesa, bussò forte fintanto che venne ad aprirgli la moglie. In casa la donna non era sola. Nascosto dietro la porta trovò un remer (gondoliere), del quale loro non sapevano il nome, che abitava in Corte Nova. L’incontro del tutto inaspettato ed alquanto bizzarro lo lasciò pietrificato. Il gondoliere si giustificò nel dirgli di essere li per mangiare uno “sfoggio” (una sogliola), in compagnia della moglie, poi scusandosi ancora se ne andò. La coppia comincia a litigare e mentre lei lo offende lui prese le forbici della moglie che trovò sul tavolino e la colpi fino ad ucciderla. Mentre raccontava i fatti che conosceva, il capo contrada tirò fuori uno straccio dove era avvolta l’arma del delitto che gli era stata consegnata dalla madre dell’accusato. Il notaio cerca di farsi una idea del luogo e della dinamica e gli chiede anche dove si trovava il letto di Fiorina e dove fu trovato il cadavere. Il letto era a sinistra della camera e la vittima giaceva a tre o quattro passi distante dal letto. Questo era tutto quello che lui aveva da dire. Il caso viene passato al magistrato avvocato Malipiero il quale, ordina di effettuare un sopralluogo della scena del crimine e di redigere una lista precisa di quello che si trova in quella casa. Per l’investigatore si dovevano verificare prima di tutto le accuse di infedeltà indagando sulle persone che conoscevano la vittima. La prima decisione del magistrato è quella di sentire la madre della vittima.

4 luglio. Marietta Trevisan fa la cuoca a Venezia ed è la madre di Fiorina Tomasuzzi. Il giorno dell’omicidio stava andando a messa quando incontrò una donna che conosceva, la quale le disse:  “non savè che gran accidente che xe nato a vostra fia Fiorina, so marido l’ha amazzada sta note in sua casa”. Senza dire una parola Marietta corre verso Corte Nova dove trova la porta di casa chiusa da dentro con la catena, i capi contrada avevano sigillato la scena del crimine. Una piccola folla in corte stava commentando l’accaduto. Marietta in pianto conferma al magistrato la storia già sentita dagli altri testimoni, ma aggiunge anche altro, anzi lo mette per iscritto in una lettera inviata il 9 luglio. Sembra che nel corso dei dieci anni che Fiorina era stata sposata, fosse spaventata da suo marito,  il quale la picchiava spesso. Ma è solo una lettera piena d’odio o esiste un fondo di verità? Le indagini del magistrato fanno emergere subito un brutto episodio, scoprono, incrociando varie testimonianze, che solo la mattina prima Fiorina era stata bastonata due volte, la prima perchè aveva bruciato troppo presto le legna di casa e la seconda perché aveva mandato a tagliare un abito per il figlio anziché farlo lei. Motivi futili per giustificare tanta violenza. Tra i testimoni ci sono anche i tre figli della coppia, che quel giorno per fortuna sembra non si trovavassero in casa. Paolo, di soli otto anni, racconta altri dettagli dei continui litigi tra sua madre e suo padre. Il quadro che emerge è dipinto a fosche tinte.

L’accusa comincia ad avere una base solida, dopo aver interrogato un collega del sacrestano, gli investigatori sanno che Giuseppe aveva mangiato fino alle tre e mezza, alle cinque e mezza, due ore dopo si era recato alla bottega di fruttivendolo in corte dei Muti a San Marcilian per mangiare due pesche e solo successivamente era tornato a casa sua. Un particolare però sembra non quadrare. Per i parenti dell’assassinio la vittima gli apri la porta completamente nuda solo con una camicia bassa a nascondere le proprie nudità, per gli altri testimoni questo non era vero. Inoltre, sembra che Giuseppe dopo aver ucciso la moglie abbia chiuso la porta della casa e si sia recato dalla madre per raccontare l’accaduto, prima di sparire. Ma dove si trovava ora ? Secondo Marietta, la madre di Fiorina, l’assassino si era nascosto nella casa dell’Ambasciatore di Francia.

Gli investigatori stabiliscono il 9 luglio che la notte dell’omicidio il gondoliere che si trovava in quella casa corrispondeva a Pasqualin Sabadin, residente in Corte Nova alla Misericordia e dopo una breve ricerca il 23 luglio lo trovano e lo interrogano.
Pasqualin la sera della vigilia della Madonna doveva recarsi con Giuseppe da Mira a mangiare a San Marcilian ma a causa della mancanza di soldi, quest’ultimo gli disse che lui se ne andava a dormire. Pasqualin a quel punto, passa davanti alla casa della Fiorina, dove trova la donna sulla porta che gli disse: “Sior homo de parola, dove è la mia promessa” Di fatto lei era passata tempo addietro dove lui lavorava e le aveva promesso di pagarle le frittole come aveva fatto con tutte le donne li vicino. Il Pasqualin rispose “le xe in campo, adesso ve le vado a tor” (sono in campo ora le vado a prendere) ed andò a prenderle. Andò in campo a comprarne per quattro soldi e ne diede una a Corazza barcaiolo che trovò a casa sua sulla fondamenta di San Marcilian.
Quando tornò a casa di Fiorina lei gli apri la porta e poi la chiuse con la catena. Lo portò in camera da letto e chiuse anche quella con la catena. Si misero sulla cassa a mangiare le frittole. Pasqualino era visibilmente agitato per la possibilità che tornasse il marito ma lei lo tranquillizzò dicendogli che il marito era al primo sonno dormendo quella notte fuori di casa. Gli raccontò di quel marito violento che solo la mattina presto l’aveva picchiata. Quando stavano finendo le frittole lei disse “Per esser la sagra non m’ha toccà granchè el saor” ( per esserci la sagra non ho mangiato ancora il saor (piatto tipico veneziano)) e lui gli disse che lo andava a prendere. A quel punto però qualcuno bussò alla porta. Lei al momento non rispose, poi visto l’insistenza andò in cucina e vide sulla finestra il marito. Pasqualin comincia ad agitarsi ed esclama “Cossa havem fatto, anime de morti agiuteme, andemo andemo” ( cosa abbiamo fatto, anime dei morti aiutatemi, andiamo, andiamo). Lei spense il lume ed apri la porta, lui era nascosto li dietro, il marito entrò e chiese perché non c’era luce. Il gondoliere per sbaglio lo toccò con il piede e Giuseppe chiese chi era li, Pasqualin rispose: “compare Iseppo amici boni, qua non vi è niente de male, vostra mogier è una donna d’oro, è donna da ben non sospetti d’alcun mal, li ho portato quattro frittole”.

Qui termina il racconto, il marito lo lasciò uscire. Anche secondo il gondoliere Fiorina era ancora vestita al momento che lui usci da quella casa, inoltre, controllando i tempi, sembrava di fatto improbabile che i due amanti si fossero coricati in un cosi breve lasso di tempo. Il 17 luglio viene spiccato un mandato di cattura per Giuseppe. I soldati non riescono però a trovarlo, sebbene lo cerchino anche a San Michele Arcangelo alla Madonna dell’Orto dove svolgeva la professione di sacrestano.
Il 31 luglio 1734 i Signori di Notte al Criminal dichiarano che Giuseppe Tomasuzzi sia arrestato e se non si trovava fosse proclamato il bando che si presentasse entro 8 giorni.
Viene emanato il bando il 18 agosto. Il testo del bando riassumeva l’idea che si erano fatti i magistrati: Giuseppe Tomasuzzi di Paolo era solito picchiare sua moglie, anche per cose lievi, cosi come accadde la mattina del primo luglio. Il giorno della sagra di San Marcilian si era incamminato alle cinque senza però che la moglie gli aprisse la porta. Siccome era solito dormire in chiesa pensò che lei non lo aspettasse e cosi decise di ritornare alle Sei. Quando tornò lei apri in stato di confusione al marito e lui dopo aver mandato via il gondoliere, che trovò in casa, la uccise con le forbici.
L’11 settembre si presenta al fante del collegio dei Signori di Notte al Criminal, a Palazzo Ducale, un uomo,  non è una persona qualsiasi, è quel Giuseppe Tomasuzzi, ricercato da almeno due mesi. Viene interrogato il giorno stesso. La versione dei fatti è la stessa sentita dagli altri testimoni.

Quella sera, quando si rese conto che al buio c’era il gondoliere disse: “ Si ti è Pasqualin, cosa fasto qua” (Se sei Pasqualin, cosa fai qui), “son mi,  vi domando perdonanza e la vita” e gli disse che era li per mangiare un poco di pesce in saor con sua moglie. Giuseppe domanda al magistrato che considerazione poteva avere il gondoliere di sua moglie per mangiare a quell’ora il pesce a casa sua, il magistrato gli dice di proseguire il racconto. Quando salutò Pasqualin andò in camera e trovò sua moglie vicina al letto ancora nuda. Qui la testimonianza si fa poco verosimile: perché avrebbe dovuto restare calmo con il gondoliere se veramente la moglie gli aveva aperto nuda la porta? e se al momento in cui entrò in casa lei era vestita, qual’era il senso di andare in camera e spogliarsi? Lui vedendola in quello stato si alterò le urlò dov’era il suo onore e picchiandola le dava dell’infame. Lei continuava a dichiararsi innocente. Non sa perché lo fece ma quando vide le forbici da sarta sul tavolo le prese e le diede con quelle uccidendola. Al cuore ed al viso, come per uccidere la sua bellezza e i suoi sentimenti. Poi chiuse le porte di casa e se ne andò. Per il resto del tempo rimase nascosto fin tanto che non decise di consegnarsi.
Il 13 ottobre viene estratto dal carcere e gli venne letto quanto scritto, lui confermò.
Tra il 21 ottobre ed il 22 il monaco sacerdote cistercense di Santa Maria dell’Orto confessa l’accusato. Il 24 novembre viene inviata una lettera ai Signori di Notte al Criminal. Giacomo Molinari ed Emilia fratelli della defunta, uniti dalla voce della madre Maria Molinari, chiedono che le fedi di Fiorina Tomasuzzi siano prese a prova dell’onesta virtù della vittima, trucidata dal marito.
Sono le ultime battute del processo. Il 30 novembre, viene condotto ancora al giudizio Giuseppe e gli viene letto il referto del ritrovamento del cadavere con la lista delle ferite. Poi il magistrato gli legge tutte le testimonianze ed attende una confessione completa. La storia del sacrestano uxoricida finisce qui. Le vere ragioni che hanno spinto Giuseppe ad uccidere la moglie, sono e rimarranno per sempre sconosciute. Se la trovò veramente vestita e la spogliò lui per simulare un raptus, una semplice reazione d’impulso, non venne mai comprovato definitivamente, ma non ci son dubbi riguardo la sua condanna.

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