Venezia 1765. Un confronto all’americana ante litteram

VENEZIA – Si chiama identification ed è la procedura di riconoscimento di un criminale eseguita sottoponendo una fila di sospettati all’esame visivo di testimoni oculari o delle vittime di un crimine. E’ conosciuta anche come “confronto all’americana”, perché era spesso utilizzata nei distretti di polizia statunitensi fino a qualche anno fa ed è stata inserita in numerosi film e telefilm polizieschi girati negli Stati Uniti. Ma questo non è un film e questa non è l’America. Il caso della morte di Maddalena Pastor Tonetti si svolse a Venezia nel Settecento e questa procedura servi per chiudere definitivamente il caso.

A San Francesco della Vigna non succede quasi mai niente. E’ una piccola contrada del sestiere di Castello ed è periferica rispetto a San Marco. Inoltre, nei pressi c’è il monastero francescano e questo è sicuramente un motivo in più per considerare la zona tranquilla.
Quasi sempre tranquilla. E’ il 10 marzo 1765, Giovanna Battista Bressanello è una giovane nubile residente a San Lorenzo. La chiamano Buranella perché i suoi genitori provengono dall’isola di Burano. Sono le otto di sera quando trova nei pressi della Corte della Pietà a San Francesco della Vigna, sua sorella. La ferma e comincia a lamentarsi che è sparito un pacco di giubbe. Non vorrebbe stare li a litigare ma ad un certo punto vede una piccola folla che si sta radunando davanti al portone di una casa e coglie l’occasione per distrarre la sorella da quel pacco scomparso. Qualcosa è successo, qualcosa di brutto. In quella casa abita una signora che si chiama Maddalena Pastor Tonetti, affitta letti e vende pane e vino per vivere, per questo motivo è molto conosciuta in zona. Mentre Giovanna si avvicina sente la gente che mormora che quella donna è stata trovata impiccata. Ma perché si sarebbe dovuta suicidare? No, non sembra che si sia tolta la vita da sola, tutti concordano che le manca un cordon d’oro con una medaglia. Forse anche una scatola d’argento dove teneva il tabacco. Maddalena non si è suicidata, è stata strangolata con un laccio di cuoio per rubarle quei pochi gioielli. Il caso è di competenza della Quarantia Criminal la quale comincia ad indagare fin da subito. Il fascicolo, oggi presente in Archivio di Stato di Venezia, di oltre cinquecento carte, inizia proprio dall’interrogatorio delle buranelle, sentite il 29 aprile, oltre un mese e mezzo dopo l’omicidio. Ma non è passato cosi tanto tempo prima che la magistratura operasse, infatti nelle carceri di Palazzo Ducale, ci sono già alcuni sospettati, ma ora bisogna chiarire molti punti oscuri. Le due buranelle non hanno visto molto, la loro casa era situata in campo di San Francesco della Vigna, dalla parte del cimitero delle monache di Santa Giustina e questo impediva di vedere se c’erano persone sospette nella calle dove si apriva la porta della casa di Maddalena. Ma ci sono molti altri testimoni e i magistrati si sono già fatti una idea. Per prima cosa il movente e quei gioielli che mancano possono benissimo spiegare l’omicidio. Inoltre, proprio perché a Santa Giustina non succede mai nulla, la gente ha visto e sentito molte cose e le raccontano. Santina Crema nubile, sente dire che un tal Larese ha visto un uomo in tabarro cenerino, lei stessa quel giorno era a casa a pranzo di un Tiepolo, il quale aveva i balconi proprio sulla calle della Pietà e vide  chiaramente un uomo che stazionava di fronte la casa della Maddalena e se ne stava andando verso il campo di San Francesco. Oltre al tabarro cenerino si ricorda del cappello con ali calate. Non si ricordava quanto prima aveva visto la persona ma subito dopo lei era andata a pranzo. Chi era quell’uomo in tabarro ? I magistrati già lo sapevano. A metà marzo, dopo aver trovato il cadavere di Maddalena, la polizia seguì una pista che li aveva portati nei pressi del Palazzo di Ca’ Gussoni vicino alla Brenta Vecchia. Secondo alcuni “spioni” c’erano due uomini che si nascondevano in quel posto per aver strangolato una donna a Venezia. Giovedì sera era arrivato in città il Capitan Grande con alcuni uomini armati per arrestare i due sospetti, ma qualcosa va storto. La mattina seguente, quando si recarono sul posto dell’avvistamento, c’era solo un uomo che non appena li vide dall’argine si gettò in acqua. I poliziotti cercarono di aiutarlo, ma questi rifiutò qualsiasi aiuto e giunto nel centro del canale venne risucchiato verso il fondo. L’uomo che annegò aveva un tabarro cenerino con un cappello vecchio con ali calate. Chi era quell’uomo? si chiamava Marco Milio Alberghetti ed ha un passato interessante. Alcuni anni prima si trovava a Spalato a seppellire i morti di peste, per quel motivo fu liberato dalla galera dove era stato condannato dal General di Dalmazia per alcuni furti. Due mesi prima dell’omicidio di Maddalena si era recato nella Galera del nobile Nicolò Bollini, che stazionava in Canal Grande, di fronte all’Ospedale della Pietà. Salito a bordo aveva chiesto di incontrare tale Giovanni Battista Cavalier di Pomenico, nativo di Montecchio, condannato alla galera come rematore dal reggimento di Vicenza per omicidio. Gli mostrò della merce, probabilmente frutto di qualche furto, cercandola di vendere per otto o dieci zecchini, ma Giovan Battista rifiuta l’affare e Marco se ne va.

Marco Milio Alberghetti era un ladro e i testimoni lo posizionano nei pressi della scena del crimine solo alcune ore prima dell’omicidio. Ma non era solo, aveva un complice.
Il 12 maggio viene interrogato Sgualdo Magnegna facchino lavora di tavole. Il 5 marzo all’ora delle prediche si trovava a casa della Maddalena, le aveva chiesto sei soldi di pane e di vino. Mangiò ed usci. Alle 19 sentì dire che aveva ritrovato Maddalena impiccata. Forse è l’ultimo che la vide viva.

Racconta ai magistrati che in quella casa vi era tale Sgualdo Pin, Antonio suo figlio e Giuseppe. Erano già stati tutti arrestati ma forse loro non c’entrano. C’era un quarto uomo. Dopo che Marco Milio Alberghetti era annegato si era cercato il complice a Monselice. Il 31 marzo i Guardiani del collegio dei Signori di Notte al Criminal conducono nei camerotti dal Capitan Antonio Grillo un uomo. Quell’uomo si chiama Gasparo Zambler ed anche lui ha un passato interessante.
Andrea Rizzato nativo di Verona, marangone, residente a Brollo contrà di San Benedetto conosce bene Gasparo Zambler, lo conobbe quando era soldato di Ceruda in servizio villico a Zara e Zambler capitò nella compagnia del Maggiore. In quel luogo fecero presto amicizia. Zambler gli raccontò che era nativo di San Vido del Friul ed era stato in galera molti anni addietro ma non gli disse per cosa. Non ci voleva però molta fantasia per capirlo. A Zara praticava furti dove poteva, rubava fazzoletti o scatole.  Andrea Rizzato racconta al magistrato che aveva una capacità di aprire le casse con chiavi false, che non aveva mai visto in vita sua. Un giorno si trovava dove lavoravano i soldati e apri un cassone chiuso a chiave senza romperlo, lasciando a bocca aperta tutti quanti. Ma la sua bravura nell’aprire le casse chiuse non era sufficiente per impedirgli di essere arrestato più volte. Cosi venne imprigionato, Rizzato si ricordava di quella volta che fu fatto passare per la “bachetta”, alla fine del suplizio era senza pelle sulle spalle. Dopo quell’episodio non lo vide più per alcuni mesi, fin tanto che non lo incontrò a Padova che giocava in una corte. Ma questo testimone risulta una chiave di volta perché conosceva anche Marco Milio Alberghetti, lo conobbe sempre a Zara dove faceva lo “scapolo”. Con lui fece la quarantena all’isola del Lazzaretto Nuovo a Venezia e si ricordava di come fosse stato arrestato dal Magistrato alla Sanità per furto. Marco Milio Alberghetti quindi, poteva aver conosciuto a Zara Gasparo Zambler. Zambler a Monselice era stato arrestato perché aveva cercato di barattare una moneta d’oro che apparteneva alla defunta. Il cerchio si chiudeva. Ma era lo stesso visto da alcuni testimoni nei pressi della casa di Maddalena e sopratutto, tra le testimonianze era proprio lui quello che da Venezia era arrivato a Padova e poi a Monselice?
A questo punto la Serenissima decise di procedere con l’identification o confronto all’americana.

Il 15 maggio viene fatto estrarre dalle carceri e condotto al luogo solito del Balconcello di Palazzo Ducale. Gli vengono tolte le catene e viene messo in fila con cinque ufficiali del Capitano Giovan Battista Grillo. Sono tutti coperti con un tabarro dello stesso colore. Lui è il secondo della fila dalla parte dei balconi. Vengono fatti entrare nella Sala Grande dell’Avogaria e fatti passare davanti all’Avogador Civran. Entra accompagnato dai soldati tale Giacomo Gasparo, uno dei testimoni che aveva dichiarato di conoscerlo. Gli viene chiesto di individuarlo. Osserva con calma quei sei uomini sul balconcello e riconosce uno di loro. Il secondo della fila dalla parte dei balconi. Gasparo Zambler. Ma per i magistrati non è sufficiente. Viene ordinato che quel Gasparo fosse spostato alla quinta posizione dalla parte dei balconi. Passano cosi nuovamente davanti a Giacomo Gaspero e lui lo riconosce di nuovo al numero cinque e afferma, inoltre, che ha gli stessi abiti che aveva a Monselice. Viene ripetuto per la terza volta l’esame visivo e viene riconosciuto ancora.
Poi viene fatta entrare Catarina Gazara da Monselice e si prosegue con l’identificazione.

Alla fine non ci sono dubbi, quell’uomo è lo stesso che era a Monselice a vendere la merce che apparteneva alla defunta, in particolare la scatola d’argento dove teneva il tabacco e un orecchino con una grande perla.
Il 6 giugno del 1765 Zambler invia una lettera dal carcere scrivendo che non era stato preso in flagrante e non era reo confesso: “dove manca il flagranti e la legale giudiziaria confessione degli inquisiti, manca altresi per sentimento di tutte le leggi quella naturale parità di certezza, che fuor d’ogni dubbio passar deve con vicendevole relazione fra la pena e il delitto.”
Ma questo non gli serve molto. Il 9 agosto il Consiglio dei Quaranta conferma la pena al carcere.
Oramai il caso è chiuso. Il 1 dicembre del 1768, tre anni dopo i fatti raccontati, Gasparo Zambler da due mesi infermo e da otto giorni con un dolore al petto, durante la notte muore. Il suo nome compare cosi per l’ultima volta nel libro dei morti della chiesa di San Marco. Aveva quarantaquattro anni e buona parte di essi li passò tra le braccia della giustizia veneziana.

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