Venezia 1772. Il caso di una truffa risolto grazie ad una perizia calligrafica

La perizia calligrafica è una tecnica utilizzata in ambito giudiziario che permette di attestare la paternità di un testo attraverso la comparazione di uno o più scritti presi in esame, oltre che le scritture autografe del soggetto. Sebbene solo nell’Ottocento vennero intrapresi specifici approfondimenti e studi inerenti, già nella Venezia settecentesca si utilizzava questo sistema di indagine, come nel caso esaminato di Giovan Battista Bombonati e del prete don Giacomo Sutteri.

E’ l’8 maggio del 1772, il campanile batte i dieci rintocchi della mattina e, mentre il sole  risplende e illumina ogni cosa, alcuni soldati, minacciosi e  biechi, attraversano il campo di Santa Maria Formosa a Venezia. Questi stanno osservando un uomo che si trova a passeggiare nei pressi di un parrucchiere di nome Antonio Longhi, che risiedeva vicino a Ca’ Cocco. Notando lo sguardo sospetto dei soldati cerca di scappare invano, infatti, da dietro, lo afferrano quattro possenti braccia che lo gettano brutalmente a terra. Si chiama Giovan Battista Bombonati, originario di Vicenza, senza impiego e mestiere sulla carta anche se nella vita un mestiere ce l’ha, quello della truffa.

I soldati lo stavano cercando almeno dai primi giorni di maggio, da quando il capitano del Consiglio dei Dieci, Andrea Zanella, aveva inviato un rapporto ai suoi superiori dove, in poche righe, scrive che un certo Giovan Battista Bombonati, originario di Vicenza, era solito ingannare la gente e si era introdotto furtivamente dentro i confini della Serenissima.
Non è la prima volta che si tenta di arrestarlo. Esattamente un mese prima un gruppo di soldati era entrato nella casa, dove era stata segnalata la sua presenza, ma lui era già partito diretto a Castel Franco. Grazie ad un informatore i soldati si erano diretti nelle valli del nobile Baglioni ma, anche li, non lo avevano trovato. Ora, dopo assidue ricerche, finalmente si trovava rinchiuso nei camerotti di Palazzo Ducale.
Il giorno dopo l’arresto, Bombonati viene portato davanti al magistrato che si doveva occupare del caso.
Di statura bassa, scarno, pallido in viso, con una parrucca color cannella, l’imputato indossa un gabbano cenerino e un tabarro scarlatto. Il magistrato lo osserva e gli chiede di cosa si occupa nella vita.
– Son andato via da Vicenza nel 1737 e venni a Venezia dove feci il garzone da Giovanni de Lucca parrucchiere sotto le Procuratie Nove. Ora faccio il commesso da marcanti e lavoro in giro per il mondo, ovvero tra Genova, Cadice, Vienna, Francia, Baviera e in tutta la Germania.

– Sa perché è stato arrestato?
– No signore
– Dove risiedeva a Venezia?
– Quando arrivai a Venezia andai a casa del prete Giacomo Salvetti, che celebra messa a San Paterniano, residente a San Luca in corte del Teatro.
Di lui la Serenissima conosce già tutto, ma si cercano i complici. Dopo queste poche frasi fu ricondotto alle prigioni.
Ad occuparsi delle indagini è un magistrato che sa fare il suo mestiere. Dopo pochi giorni fu trovato un testimone che chiariva bene chi fosse il Bombasati, un certo Domenico Zonico che faceva il capitano delle barche del Magistrato sopra gli Oli, anche se in passato era stato vice contestabile a Verona, sotto il reggimento del nobile Marco Zen.
Grazia al suo ruolo aveva la gestione delle carceri e fu proprio in quella occasione che conobbe Giovan Battista Bombosati e tale Giovan Trento, il suo maestro. Giovanni Trento era conosciuto come Antonio Vis de Mar ed era stato bandito dal reggimento di Padova in quanto rubava denaro fingendo di trovare tesori.
Domenico raccontò che un giorno della Quaresima passata, si trovava ai piedi del Ponte di Rialto quando incontrò il Bombasati. Si stupì di vederlo fuori dal carcere e questi, in ricordo dei bei tempi passati, gli offri un caffè in Riva del Carbon. Gli raccontò di come un prete ed un secolare gli avevano rubato dalle tasche 160 zecchini pochi giorni prima e di come lui li stesse cercando. Un truffatore che veniva truffato. Si era senz’altro meritato il caffè, pensò il Capitano delle barche.

Ma il magistrato rifletteva, chi era quel prete? Forse Don Giacomo Salvetti prete di San Paterniano? Forse era proprio lui il complice che si cercava?  
Il 13 maggio viene perquisita la casa del prete veronese e sequestrate tutte le carte, che tutt’oggi si trovano nel fascicolo. Due libretti, di cui uno composto da fogli sciolti. Ora bisognava sapere se quell’uomo che abitava in quella casa fosse lo stesso che celebrava messa a San Paterniano.
Il giorno seguente viene ordinato al prete Gaetano Sandrinelli, sacrestano della chiesa di San Paterniano di presentare il libro delle messe, nel quale ogni prete segnava la propria messa. Questo registro iniziava dal 28 gennaio 1770.
E allora, a dare una mano agli investigatori, vengono chiamati due specialisti, due periti pubblici di caratteri, Gerolamo Osti e Sebastiano Pasetti.
Quando il perito entra il magistrato gli chiede:
– Secondo lei vi è nessuna sottoscrizione che dimostri essere fatta del medesimo pugno e caratteri con cui sono scritti i due libri e le tre pagine sciolte ?
Dopo una accurata visione, nella quale il perito confrontò i vari scritti disse:
– Per mia opinione e perizia, il carattere del sopra detti due libri e pagine volanti è simile et uniforme al carattere della sottoscrizione esistente nel suddetto libro messe che dice “Don Giacomo Salvetti”.
Questo era quello che serviva sapere. Il secondo perito diede il medesimo giudizio.
Il 15 maggio, grazie alle informazioni acquisite, viene arrestato il prete veronese Giacomo Salvetti.
Il prete interrogato fornì tantissime informazioni. Lui sapeva che colui che aveva rubato gli zecchini al Bombasati si chiamava Amatis ed era piemontese. Amatis era un frate fuggito da Roma e sembra che, grazie al suo interessamento, il frate ottenne una breve da Roma con la quale riuscì a tenere almeno l’abito da prete.
– E cosa mi dice della truffa del Bombasati?
– La truffa era la seguente: Il Bombasati ed un complice facevano vedere alle persone una pignatta di monete d’oro e davano la possibilità di far controllare la bontà delle monete a degli orefici. Quando le vittime scoprivano che erano di oro puro allora gli spiegavano che per aumentare il numero di monete dovevano depositare una cerca somma di zecchini. Come ricevevano la somma, fuggivano in un altra città.
– Tutto qui?
– No signore. Usavano anche dei profumi con salvia e rosmarino per facilitare la maggior credenza. Mi dissero che avevano raggirato anche un nobile di Ronco villa del veronese con questo sistema.
Ma le informazioni che aveva il magistrato erano numerose e chiese al prete:
– Conosce Domenica Bellisotta ?

Dopo un momento di riflessione disse:
–  Era l’anno 1754 o 1755, c’era un ragazzo di 14 anni che si trovava ad Abano ed era un servo di una masseria detta li Biasioli. Io ero un giovane prete. Quel ragazzo aveva una carta manoscritta che conteneva degli esorcismi da praticare. A quel tempo il prete che si interessò del caso fu prete Agostino Mastella che proveniva da uno stato estero, ma non ricordo quale. Grazie a quegli scritti liberò questa Domenica Bellisotta. Ma io volevo quel libro e cosi chiesi al vicario vescovile di Padova, monsignor Veronese di darmi la  facoltà di assolvere il ragazzo che teneva la carta.
– E la ottenne?
– Si. Mi fu concessa a patto che bruciassi quelle carte.
– E lo fece?
– Ero troppo curioso e prima di bruciarle ne trascrissi copia.
– Che fine fece il prete Agostino Mastella?
– Fu poi sfrattato da tutte le diocesi padovane per ordine del vescovo Rezzonico poi sommo pontefice perché eseguiva esorcismi senza autorizzazione.
– Ha ancora quelle carte copiate?
– Si signore. Sono tra quelle che mi avete sequestrato in casa.
– E l’altro libro sequestrato di cosa tratta?
– Il primo libro me lo diede un pellegrino di passaggio che mi disse essere tedesco. Questo libro racconta di come fare perché una persona che non possiede più soldi, previa la sacramentale confessione e comunione ed alcuni giorni di digiuno e d’orazione, possa attraverso un sacerdote di morigerati e santi costumi, ottenere una ingente somma di denaro necessaria per mantenersi.
– E’ la verità ?
– Si signore. Ma bisogna fare li scongiuri agli angeli contenuti nel libro.
A quel prete la Serenissima credette, soprattutto grazie alle nuove notizie e, infatti, poco dopo fu rilasciato. Al suo posto si cercò un altro prete, tale Giacomo Sutteri il quale, arrestato come complice e truffatore, morì in carcere il 14 dicembre 1774. Anche Giovan Battista Bombonati, il mago della truffa, morì di stenti in una cella umida delle prigioni di Palazzo Ducale, forse sognando di trovarsi ancora una volta in uno di quei saloni lussuosi di qualche palazzo a Venezia a raccontare di favolosi tesori mentre gli occhi di quei nobili si illuminavano e lui, con un gioco di prestigio, faceva roteare qualche una moneta d’oro.

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