Anno 1748. Una rissa mortale a Venezia

VENEZIA – Il chirurgo Nicolò Manon, nel campo santo della contrada di Sant’Angelo Raffael a Venezia, era circondato da alcune persone che gli stavano indicando il cadavere di un uomo sulla sessantina di anni. Francesco Fabris, fante del collegio dei Signori di Notte al Criminal, era intento a raccontargli i dettagli del trasporto di quell’uomo privo di vita, in quella saletta.

Erano le otto di sera del quattro marzo 1748 e la luce non era sufficiente per capire la causa della morte. Dopo averlo fatto spogliare completamente e distendere su di un tavolo aveva iniziato l’analisi autoptica giungendo, finalmente, a rintracciare il motivo del decesso. Sotto la scapola sinistra, vicino alla spina dorsale, c’era una ferita di punta, lunga circa mezzo dito, penetrata profondamente. Mentre il chirurgo osservava nei dettagli la ferita, il fante gli riferiva che il cadavere apparteneva a Francesco Zen, della casa dei Catacumeni, il quale abitava in calle sporca sopra la fondamenta a Santa Maria Maggior, dove oggi c’è il carcere maschile, ma dove all’ora esisteva un monastero femminile.

La ferita sembrava fatta da un coltello trentino e questo fu scritto nel referto che lo stesso chirurgo stillò il giorno successivo. La posizione della ferita indicava che era stato accoltellato mentre era di spalle, la profondità della stessa era un elemento che faceva pensare alla volontà di colpire con l’intento di uccidere.
Secondo le prime voci raccolte dai fanti del collegio dei Signori di Notte al Criminal, sembrava che l’omicidio fosse avvenuto nella contrada di San Polo, nella calle dei Saoneri, il giorno 3 all’una di notte. Chi aveva colpito lo Zen? E perché?

Il giorno successivo Francesco Novello, chirurgo in Rio Marin, visita tale Bastian Novello di professione barcaiolo. Quest’uomo, di circa 34 anni, è residente nella contrada di San Giovanni a Rialto, in calle dei Cinque. Si trova disteso sul letto e presenta una brutta ferita al torace, nella parte sinistra. Il chirurgo segnala una forte emorragia in corso, con una ecchimosi molto vasta. Il barcaiolo, che all’apparenza sembra calmo e rilassato, afferma che l’arma che gli ha procurato quella ferita è uno stiletto. Non vuole dire di più. Il chirurgo al termine della visita redige una relazione che deve presentare per forza ai Signori di Notte al Criminal entro ventiquattr’ore ma nel frattempo avvisa preventivamente i fanti di quanto visto e sentito. Al termine della sua analisi scriverà che per lui il paziente potrebbe morire a causa di quella ferita. Risse nella Venezia del Settecento erano frequenti e spesso le ferite che non erano curate nel modo adeguato portavano alla morte. Chi aveva attentato alla vita del barcaiolo? i due casi sono collegati tra loro?  
Lo stesso giorno Giuseppe Querini, notaio dell’Avogaria di Comun, per ordine dell’avvocato Malipiero, si fa accompagnare dal fante Acerbi, nella contrada di San Giovanni in Rialto, per visitare il ferito. Salita una scala entra in una stanza dove giace il barcaiolo che presenta i primi sintomi dell’infezione in corso.  
Il Querini gli chiede le generalità. Bastian afferma di chiamarsi Bastian Novello, soprannominato Buranello in quanto è nativo dell’isola di Burano. Suo padre si chiama Giovanni e lui lavora come barcaiolo al servizio del nobile Donato Tiepolo.

L’investigatore gli chiede i dettagli di quanto era accaduto
Il Novello comincia raccontando che domenica scorsa, dopo aver pranzato, trasportò il suo padrone a Ca’ Morosini e successivamente gli venne ordinato di trovarsi con la barca all’una di notte a Ca’ Gradenigo a San Pantaleon. Siccome doveva dar da mangiare ai figli chiese al collega se poteva fargli un favore ed andare lui alla riva di Ca’ Gradenigo con la barca. Successivamente lo avrebbe raggiunto da terra. Novello, parlando con voce tranquilla, muovendosi per trovare una posizione comoda, spiega che tornato a casa fece quello che doveva fare e senza rendersene conto era già mezzanotte. Cosi usci di corsa per raggiungere il palazzo che distava abbastanza da casa sua. Nulla di strano, tutto regolare. Quando passò il ponte di San Polo, di fronte alla calle dei Saoneri, un uomo intabarrato, non sa se per volontà o per sbaglio gli diede una gran spinta. Senza soffermarsi troppo gli disse «Jesu Maria come che spensè». Sarebbe potuto finire tutto li ma quell’uomo gli si piantò davanti e gli diede una coltellata nel petto, prima che lui potesse reagire. Mentre lo accoltellava gli disse «ciò che ve averò spento». Non capiva il significato di quello che gli veniva detto. Continuò il racconto dicendo che in quel momento la sua mente era annebbiata e l’unica cosa che cercò di fare fu quella di scappare ma l’aggressore lo rincorse e lo fece cadere a terra. A quel punto si sentì perso, senza possibilità di fuga e con uno strattone disperato riusci a fargli cadere il coltello. Poi il suo racconto diventa confuso. Sembra che per difendersi raccogliesse il coltello e riuscisse a ferirlo. Alcune persone lo aiutarono e lo portarono dal barbier, per ricevere le prime cure.
Ma perché fu aggredito cosi ? E chi era l’aggressore? Quello che si ricordava era l’immagine di un uomo intabarrato con cappello in testa, ma a causa del buio non aveva modo di dire di quale colore fosse il tabarro né se portava o meno una parrucca. Secondo alcune immagini rimaste impresse si ricordava di aver sentito dire dalla gente che l’uomo era caduto a terra subito dopo e gli dispiaceva pensarlo morto. Disse che aveva riflettuto sul fatto che l’aggressore doveva avere un fodero per coltelli da becher, ovvero da macellaio.

Il Querini era interessato a conoscere se qualcuno potesse aver visto o sentito qualcosa. C’erano dei testimoni. Si ricordava sicuramente di un giovane mercante da tose che lavorava in una bottega a Rialto in Ruga Nuovo ed un altro giovane che lavorava in Calle della Bissa. Erano stati loro, dopo l’aggressione, ad aiutarlo e portarlo dal barbier. Il caso del barcaiolo ferito era la seconda faccia della medaglia rispetto al caso dell’uccisione di Francesco Zen. Il funzionario prese nota dei nomi e dei fatti cosi come gli erano stati raccontanti ed usci da quella stanza. Quanto tornò a Palazzo Ducale controllò le denunce dei chirurghi e secondo l’incrocio delle informazioni era presumibile che l’uomo intabarrato fosse proprio Francesco Zen.

Due giorni dopo viene interrogato il figlio dello Zen, tale Giuseppe. Per gli inquirenti risultava importante accertarsi se di fatto gli avvenimenti erano accaduti cosi come erano stati raccontati dal barcaiolo o se qualcosa era stato omesso. Apparentemente sembrava una semplice rissa finita male. Apparentemente. Il figlio di Zen offre una dinamica leggermente diversa.  Lunedi passato aveva sentito dire pubblicamente che suo padre era stato ferito, riposto poi nel campanile a San Polo e successivamente portato nella Sagrestia all’Anzolo. In seguito a questa informazione decise di correre a trovarlo ma quando arrivò era già morto. Secondo lui domenica sera alla prima avemaria suo padre stava camminando per la strada, giunto vicino alla calle dei Saoneri, nella contrada di San Polo, fu urtato da Bastian Buranello barcaiolo al servizio di Ca’ Tiepolo a Sant’Aponal, il quale camminava con passo veloce. Suo padre, urtato in malo modo disse «pezzo d’asino»», il barcaiolo a quel punto gli rispose «vecchio fio di una vacca» dandogli uno schiaffo. Lo Zen, sentendosi offeso, estrasse il coltello e gli menò una parata ferendolo ad una spalla, altri dissero vicino al petto. Il buranello diede una botta al braccio e gli fece cadere il coltello a terra. Dopo averlo spinto raccolse l’arma e colpi lo Zen alle spalle.
Quanto raccontato riassumeva i fatti ma con un punto di vista opposto, anche se il primo a colpire fu lo Zen in entrambe le versioni.

L’8 marzo viene sentito come testimone, tale Giacomo Medici figlio di Francesco intagliatore residente a Cassellaria. Racconta che a mezzanotte di domenica venendo giù dal ponte di San Polo calciò per sbaglio un coltello che prese in mano. Poco distante vide un tabarro a terra. Sotto c’era un uomo agonizzante, cercò di aiutarlo ad alzarsi e questo emise un tenue alito e sospirò. Si accorse che era morto.  Quell’uomo era Francesco Zen. Arrivarono due sacerdoti e gli confermarono la morte dell’uomo. Vide la ferita alla schiena e alcuni passanti gli dissero che era stato un barcariol di nome Marcello. Non tenne il coltello considerando che poteva essere l’arma dell’omicidio e lo lascio a terra. Un ragazzo nel frattempo trovò poco distante il fodero. L’arma non venne ritrovata.
Tre giorni dopo chiede di essere nuovamente interrogato il figlio dello Zen. Racconta ai giudici che nei giorni passati era andato a sentire cosa poteva aver visto il fruttivendolo che possedeva la bottega in calle dei Saoneri. Il fruttivendolo gli riferì che il fatto era accaduto davanti alla bottega del pistor nella calle. Sembra che il barcaiolo si accorse solo in un secondo momento di essere stato ferito e tornando sui suoi passi prese un coltello dalla tasca accoltellando alla schiena lo Zen all’altezza dell’uganegher. Se fosse vero la posizione del barcaiolo si aggraverebbe.
Il giorno successivo il capo contrada, Giovanni Pedrali, consegna un coltello con manico d’osso e il suo fodero. Gli era stato consegnato dal figlio dell’uganergher dietro il magazzino di San Polo. Risulterà l’arma del delitto che non si era riusciti a trovare sul luogo dell’accaduto.  

Siamo quasi all’epilogo. Il 20 marzo il chirurgo testimonia che Bastian è oramai fuori pericolo di morte. Il processo non è ancora concluso ma ora gli inquirenti sanno a chi possono chiedere per aver maggiori dettagli. Ci vogliono due mesi ma finalmente vengono sentiti dei testimoni chiave in questa delicata indagine. Il primo ad essere ascoltato è Giacomo Avanzo, figlio di Gasparo, residente in calle dei Saoneri a San Polo. Racconta che quel giorno sentì litigare ed urlare fuori del suo negozio ma per paura di rimanere ferito uscì solo quando vide correre il capo contrada. Il barcaiolo che conosceva di vista era ferito e gli veniva consigliato di andare a San Tomà dove c’era un chirurgo che poteva medicarlo. Anche lo Zen lo conosceva, si ricorda che fosse un portiere dell’Arsenale. Il secondo testimone era il pistor, tale Simon Nicolai di Giovan Battista nativo di Murano. Quel giorno lui aveva la saracinesca chiusa perché era festa, quando usci vide un vecchio con un coltello in mano che diceva «vieni avanti sangue di Dio te manderò l’anema a casa del Diavolo». C’era troppa gente in strada ed il pistor non riusciva a vedere cosa stava succedendo. Ad un certo punto sentì la gente che urlava che si era ammazzato un vecchio. Il barcaiolo si accorse di essere ferito solo all’altezza della bottega del fruttarol. Il terzo testimone era Bortolo Stefani di Iseppo nativo di Venezia in calle della Bissa abitante in calle della Testa a Santa Marina, il quale vide che il barcaiolo tornò indietro e diede un colpo allo Zen il quale stramazzò a terra. Anche Zuanne Pedrali calderer e capo contrada di San Polo vide la stessa scena e confermò quanto detto da Bortolo Stefani e dagli altri testimoni.

Il 30 luglio il processo era terminato. La Quarantia Criminal richieste che Bastian Novello soprannominato Buranello si presentasse entro otto giorni alle prigioni del Palazzo Ducale per discolparsi delle accuse di omicidio volontario. Non sappiamo se ebbe il coraggio di presentarsi. Durante l’inverno del 1748 un uomo esalò l’ultimo respiro sul selciato di una calle nei pressi di campo San Polo a Venezia, mentre la gente beveva e scherzava nelle osterie vicine. Un secondo uomo restò quindici giorni tra la vita e la morte nel suo letto a Rialto, a causa di una ferita ricevuta durante la rissa. L’unica certezza che si può trarre dagli incartamenti del processo è che tutto ciò accadde solo per la fretta e per un banale alterco tra i due. Questa era la Venezia al tempo del famoso Casanova.

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