VENEZIA – Succede il 24 gennaio del 1720. Siamo a Venezia, nei pressi del ponte di Rialto, dove oggi si trova l’antica chiesa di San Mattia.
Un ragazzo bussa da alcuni minuti al portone di un palazzo senza avere risposta. Sono due giorni che nessuno vede in giro Maria Teresa Alberti, la donna che abita in quel edificio e qualcuno comincia a preoccuparsi. Verso le 14 il capo sestiere decide con un fabbro di forzare il portone. Alcune ore dopo un chirurgo inviato dal magistrato della Quarantia Criminal sale le scale di quella casa e si dirige verso la camera da letto. La camera si trova nei pressi di una cucina e le finestre si affacciano sulla calle per andare al mercato di Rialto. Allora come oggi era una zona molto trafficata e alla mattina si sentivano le urla di chi ci vendeva la frutta e la verdura.
Un armadio con alcuni cassetti aperti arreda la stanza spoglia, il letto si trova addossato alla parete. Tutto in quella casa è immobile e silenzioso. Il chirurgo osserva il corpo della donna riversa sul letto, una larga pozza di sangue si era formata sotto il letto. Il corpo contrito dal rigor mortis è dilaniato dalle molteplici ferite. Molte ferite e molte armi usate. Ci sono numerose persone che girano per quelle stanze, alcuni soldati stanno controllando la cucina evitando accuratamente di entrare in quel mattatoio, non per evitare di inquinare le prove ma per evitare di vedere come era ridotta quella povera donna.
Nella perizia il chirurgo segnerà che la vittima “E’ affogata nel proprio sangue” e descriverà le decine di ferite che costellavano il povero corpo martoriato.
Sarà una indagine breve, in meno di un mese i soldati dalla Quarantia Criminal andranno a prelevare Rossi Domenico. Come nei migliori gialli l’assassino scoprirà che il suo piano che considerava perfetto, in realtà perfetto non lo era. In un mese saranno raccolte testimonianze e prove che non lasceranno vie di fuga a Rossi Domenico, farmacista di Rialto. Movente? economico, come nei migliori gialli, solo che questa è una storia vera che ci proviene dai fascicoli della Quarantia Criminal, magistratura che nel Settecento si occupava degli omicidi a Venezia. Il 24 febbraio davanti al magistrato a Palazzo Ducale, il farmacista, prelevato dai carceri, racconterà come si svolsero i fatti. Aveva conosciuto la vittima circa un mese prima, quando si era presentata nella farmacia dove lavorava lui. La farmacia che si chiamava “Vecchia” e si trovava in campo San Luca, era particolarmente rinomata per alcune polveri che alleviavano vari dolori. Dopo aver amabilmente parlato per quasi un’ora il Rossi le promise di portarle lui stesso la polvere a casa. Alla donna quell’uomo dava sicurezza e si fidò fin dal primo momento. Iniziò cosi una relazione che presto divenne intima. Dopo soli tre giorni Maria Teresa Alberti riceveva nella propria abitazione il farmacista anche all’una di notte. La scusa era sempre quella di portarle della nuova polvere e cosi i due amanti potevano vedersi. Ma questa non è una storia romantica. Mentre la donna nella sua buona fede non temeva alcun male, il Rossi dichiarò al magistrato che fin dalla prima notte aveva pensato di ucciderla per rubarle i gioielli, ma voleva organizzare con cura il delitto, perché sapeva che se fosse stato scoperto la Serenissima non gli avrebbe concesso una seconda possibilità. Un giorno di festa di carnevale verso le tre di notte, dopo aver giocato e perso nella barca del Procurator Antonio Ceriato, alla riva del Ferro, avvisò la donna che sarebbe andata a trovarla e si presentò tra le cinque e le sei di notte. Il piano era molto semplice. Uscire senza farsi notare in modo tale che nessuno potesse sospettare di lui.
Per farlo aveva agganciato una corda al balcone della camera dove dormiva, la quale si affacciava alla calle stretta chiamata del Lasagner. Dopo essersi calato a terra arrivò a casa di Teresa dove cenò e vi rimase fino alle ore 10. Mentre la donna dormiva lui la osservava, ma anche quella sera decise di risparmiarla. Non conosciamo il motivo. Passarono altri giorni. La notte dell’assassinio l’uomo arrivò a casa verso le 23. Cenò con lei e andò a letto, come aveva fatto nelle notti precedenti. Si svegliò alle nove si vesti e si trattenne fino alle 11. Ora era il momento giusto, l’ultimo momento di vita per la povera Maria Teresa ed il momento che avrebbe trasformato un semplice farmacista in un temibile assassino. Il Rossi tolse dalla tasca la mazza di bronzo che usava in farmacia come mortaio e che si portava appresso oramai da tante notti. Si avvicinò al letto e la guardò per un momento, poi la colpi la prima volta alla tempia destra, lei aprì gli occhi ma lui la colpi altre quattro o cinque volte. Qui avviene qualcosa di strano. Secondo il farmacista la donna respirava ancora e per questo estrasse un temperino e la colpi, squarciandole la gola. Ma non si fermò. Non contento prese la spada e la trapasso dalle viscere fino al collo. La sua furia omicida ancora non si placava ed infierì sulla vittima prendendo la mazza usata la prima volta e colpendola ancora sopra l’osso sacro. Del corpo restava poco e questo fu quello che trovarono i chirurghi e soldati quando scoprirono il cadavere.
Per essere un semplice furto non si può non notare la furia omicida. Non c’erano stati litigi e non vi era la gelosia di mezzo. Probabilmente il farmacista restò ipnotizzato dal sangue e dalla morte, restandone affascinato e continuando a colpirla senza rendersi conto che la giovane donna era oramai priva di vita. Il rossi raccontò che trovando l’armadio aperto prese il cordone d’oro e gli orecchini di perle da collo che erano riposti in un cassetto. Nel mentre si spense la candela. Non aveva ancora le chiavi di casa e doveva scoprire dove erano ma nel buio non ci sarebbe mai riuscito. Cosi, con l’intento di riaccendere la candela, andò fino in cucina dove ardeva un fuoco ma non riusci a farci nulla. Preso dall’ansia decise di uscire e si diresse verso la pescheria a Rialto dove montò sulla gondola per passare la riva. Poi, nel dubbio di essere scoperto, cambiò strada ed andò sopra la Riva del Vin. Li trovò una persona che conosceva e si fece accendere la candela con la quale tornò a casa e finalmente trovò le chiavi. Avendo tempo ed essendosi riassicurato decise di rubare anche le stoviglie d’argento. Prese anche una crocetta trovata nella scatola delle perle. Verso le 12 ritornò a casa usando la corda lasciata appesa al balcone come da copione. Ma aveva seminato numerosi testimoni che al processo lo riconobbero. I magistrati trovarono anche la refurtiva che lui aveva successivamente venduto. Nel sopralluogo presso la sua casa fu rinvenuta la corda che usava per calarsi in strada, sotto il materasso del letto.
Il 24 marzo del 1721 fu proclamato che Domenico Rossi fosse condotto di giovedì dopo l’ora di pranzo tra le due colonne di San Marco, dove ad attenderlo ci sarebbe stato il ministro di giustizia con l’ascia in mano. Dopo la decapitazione il corpo sarebbe stato squartato e i quarti inviati ai soliti luoghi a monito di chi pensava di poter uccidere un innocente senza fare i conti con la Serenissima.