Due casi di pediatri pedofili. Omertà e complicità culturale. intervista alla psicologa Gabriella Terenzi

ROMA – I casi del pediatra di Vicenza, Domenico Mattiello, e del suo collega americano Earl Bradley, di  Lewes, nel Delaware, hanno riportato a galla un mondo sommerso e parallelo nel quale, questi due criminali malati di mente, per molti anni, hanno impunemente abusato e violentato bambini e bambine durante le visite mediche.

E qui, come in moltissimi casi di pedofilia, la parola ‘impunemente’ non è casuale o fuori luogo, ma è fatalmente congrua. Nella stragrande maggioranza dei delitti di pedofilia il criminale era già stato o denunciato, o inquisito, o segnalato ai suoi superiori, come ad esempio nei casi di preti o anche insegnanti i quali, nonostante i segnali evidenti, hanno continuato per decenni a violentare i bambini a loro assegnati da genitori poco attenti se non completamente assenti. Perché sono soprattutto i genitori che si devono rendere conto, anche da un’espressione di tristezza o d’angoscia del bambino, che gli sta succedendo qualche cosa di anormale, e devono chiedere loro cosa sta succedendo, e poi magari anche guardare negli occhi, magari anche ‘sentire’,  la persona a cui affidano il loro bambino.

Sappiamo che le violenze sui minori accadono, nel 70% per cento dei casi, tra le mura domestiche, e che i carnefici sono padri, fratelli, zii e nonni. Sappiamo anche che la pedofilia è molto più rara nelle donne, ma sappiamo bene che le madri dei bambini abusati, nella stragrande maggioranza dei casi, sanno e tacciono. Tacciono perché spesso sono state loro stesse vittime di pedofilia familiare, e in quei frangenti hanno perduto la propria identità umana che gli avrebbe consentito di ribellarsi alle violenze e interrompere la catena di questo crimine orrendo. Perché il pedofilo uccide il bambino, lo uccide psichicamente, e, a chi è stato ucciso il bambino interno, è impossibile poi la difesa del proprio figlio o della propria figlia.

Il fenomeno della pedofilia è una vera e propria piaga sociale. Si calcola che almeno un bambino su quattro, e quindi il 25% della popolazione, ha subito o vere e proprie violenze da parte di un pedofilo, o quantomeno atti genitali che ledono comunque l’identità umana del minore e che un emendamento, firmato da alcuni parlamentari del Centro destra, voleva far passare come ‘atto sessuale di minore entità”. L’emendamento 1707, presentato e poi ritirato dopo le proteste di alcuni componenti della sinistra, prevedeva una variazione dell’articolo 380 del codice di procedura penale che elenca i casi in cui si deve (non si può, si deve) procedere all’arresto in flagranza. Tra i reati per cui si “deve” arrestare non c’era il delitto di atti sessuali con minorenne (609 quater codice penale). Questo emendamento prevedeva che, chi commette atti sessuali con minorenni e viene sorpreso in flagranza, non deve necessariamente essere arrestato se commette un atto sessuale di “minore gravità”. Se questo emendamento fosse passato, le forze dell’ordine, che si fossero trovate nella situazione di cogliere un pedofilo con i calzoni abbassati, avrebbero dovuto decidere, prima di arrestarlo, se quello che stava facendo fosse di gravità normale o minore del normale. Questo emendamento è stato presentato l’anno scorso proprio quando gli scandali dei preti pedofili coprivano le prime pagine di molti giornali, ma erano completamente assenti dai giornali di destra e dalle testate televisive. Sarà stato un caso, o questo emendamento faceva parte di taciti accordi naturalmente non trascritti in nessun documento del Concordato?

Quindi anche da questa oscura vicenda politica si può ben vedere come il crimine di pedofilia, che, in Italia, solo da pochissimi anni è definito legalmente ‘crimine contro la persona’, subisca un’omertà silente, che scivola in vera e propria complicità, da parte di giornalisti, politici, vescovi, cardinali, papi, magistrati, presidi e dirigenti sportivi.
Si può affermare questo perché anche in questi ultimi due casi criminali, finiti sulle pagine di cronaca, vi erano già state segnalazioni importanti che però non hanno avuto seguito. Per quanto riguarda il pediatra vicentino, c’è un precedente di dieci anni fa: un gruppo i genitori di una scuola media di Cavazzale di Monticello Conte Otto (Vicenza) si rivolse ad uno studio legale per denunciare presunte anomalie durante le visite sui ragazzi effettuate nell’istituto dal Mattiello. Non ci fu querela né denuncia ma una segnalazione alla Procura. Le autorità raccolsero alcune testimonianze ma successivamente il procedimento fu archiviato. E così, il dottor Domenico Mattiello, ha continuato indisturbato per altri dieci anni a violentare bambini, senza che né i genitori di quegli alunni abusati, né la scuola, né il giudice si prendessero la briga di avvisare almeno l’Ordine dei medici che, forse, avrebbe potuto fare una propria inchiesta sul medico pedofilo.

Il caso del pediatra americano è ancora più inquietante. Bradley era stato segnalato alle autorità nel 2003, per aver baciato una paziente di appena 3 anni. Nel 2008 tre genitori aveva segnalato alle autorità “esami vaginali inappropriati” eseguiti dal dottor Bradley alle loro figlie. L’accusa del 2005 fu archiviata per insufficienza di prove, mentre quelle del 2008 furono lasciate cadere dopo che un giudice della Corte Suprema si rifiutò di autorizzare un mandato di perquisizione. In questo caso sono state avviate indagini approfondite per identificare chiunque abbia ignorato le lamentele nei confronti del dottore. Questo non sembra che sia successo anche per il caso avvenuto a Vicenza.
Un altro fatto che lascia stupefatti è questo:  quando a indagine avviata gli inquirenti hanno incoraggiato le vittime a farsi avanti, sono stati sommersi di telefonate. Fino a quel momento persino chi aveva subito violenze aveva taciuto.
Per cercare di capire meglio cosa accade in realtà nella psiche dei pedofili, nella mente delle vittime, e anche in questa nostra società, apparentemente omertosa, proviamo a fare qualche domanda alla dottoressa Gabriella Terenzi, Psicologa e Psicoterapeuta, che svolge il suo lavoro presso una AUSL di Roma.

Dottoressa prima di addentrarci su questi casi di cronaca ci potrebbe aiutare a comprendere cos’è in realtà la pedofilia?

Mi sembra importante dare subito una definizione scientifica di questa malattia psichiatrica: la pedofilia è una perversione  legata ad una grave patologia psichiatrica: il pedofilo ha un pensiero lucido, capace di calcolare e gestire il comportamento, malato, che nulla a che vedere con una dimensione di sessualità.
Questo fenomeno criminale, molto spesso nascosto perché consumato o nel segreto di famiglie collusive che si strutturano sull’annullamento dell’identità del bambino, o in ambienti  ‘insospettabili’ come le parrocchie, le scuole, gli ambulatori, le palestre, affonda le sue radici nella storia del pensiero occidentale.
Citerei a questo proposito una importante intervista  allo psichiatra Andrea Masini, presente nel libro ‘Chiesa e Pedofilia’ di Federico Tulli, (ed. L’Asino d’Oro), che recita: “Storicamente questa cultura nasce nel periodo della Grecia classica di Pericle, verso la quale abbiamo si un grande debito di conoscenza per averci fornito le basi del nostro sapere di uomini occidentali e razionali, ma da questa razionalità del pensiero filosofico di Platone, di Socrate  e di Aristotele, deriva appunto, la pedofilia. Teorizzando a livello filosofico, che era più progredito l’amore per il fanciullo rispetto all’amore per la donna, considerata specie inferiore rispetto al maschio razionale, è nata la ‘paideia’, intesa come educazione del bambino, che comprendeva ‘tranquillamente’ il rapporto sessuale con il maestro (…) In Occidente non abbiamo mai voluto fare i conti con questo bagaglio culturale.  Ed ecco che questo annullamento dell’identità del bambino, perpetrato dalla filosofia platonica, viene ripreso e ricodificato da Freud con la storia della sessualità infantile. C’è tutta una cultura, anche sessantottina, per cui in fondo al bambino piace avere rapporti sessuali con l’adulto. Lo sosteneva anche Foucault. Ancor di più c’è un pensiero violentissimo che affonda le radici nel freudismo, e che si è diffuso nella mentalità comune, in base al quale si crede che il bambino abbia sessualità. Il bambino non ha sessualità. Questa comincia alla pubertà con lo sviluppo degli organi genitali, prerequisito indispensabile per poter parlare di sessualità, a meno di non fare una confusione assoluta di termini. Prima della pubertà c’è una dimensione di rapporto affettivo, profondo e potente che può essere con il padre, la madre, il fratello, l’amico o gli insegnanti. Ed è di questa dimensione che si ‘approfittano’ i criminali pedofili. Ed è questa una delle tante drammatiche confusioni che sono state fatte sulla figura del bambino, per qui può essere torturato, violentato senza che sia considerato un crimine particolarmente grave.”
Nello stesso libro di Tulli, sopra citato, lo psichiatra Massimo Fagioli afferma: “Ricompare il pensiero terribile che il bambino in fondo non avrebbe un’identità. Per cui gli si può fare tutto quello che si vuole (…) E mi ci sono scontrato. E’ un raptus psicotico per cui si va a trovare un ragazzino da violentare. Sotto c’è una pulsione omicida. Io da decenni continuo a ripetere che non si può parlare di desiderio di morte, perché la morte è una cosa e il desiderio è tutta un’altra faccenda, non si può parlare di violenza sessuale. Perché se è sessuale non è violenza e se è violenza non è sessuale. La pedofilia non è sessualità. E’ violenza. Non bisogna fare giochi di parole . Il desiderio di morte non esiste. Se c’è morte, è violenza. Chi parla di desiderio di morte non conosce la pulsione, non conosce la violenza invisibile. Solo se qualcuno rompe una gamba o un braccio e un altro, allora parlano di violenza.”

Dottoressa, secondo lei, quali sono i motivi più o meno latenti che spingono a queste complicità, sopra denunciate, con il pedofilo? Per quale motivo, a volte, sono addirittura le stesse vittime ad essere ‘complici’ del criminale pedofilo?

E’ bene chiarire e ribadire l’inganno che c’è nella relazione e ‘seduzione’ pedofila perché all’interno delle  apparenti attenzioni e gentilezze, il pedofilo agisce una pulsione di odio e di negazione del bambino in quanto soggetto nella sua interezza. Come è stato già detto non c’è nessuna sessualità in tutto questo, ma violenza come pulsione di odio contro l’identità del bambino e l’agito è per bloccare e distruggere le sue possibilità di sviluppo. Si può uccidere la mente di un bambino anche senza toccarlo nel corpo, e, se a questa violenza psichica si unisce un agito fisico, con grossa difficoltà un bambino potrà elaborare una resistenza a tanta aggressione e una separazione dalla violenza.
Può capitare dunque che la vittima ceda psichicamente e si confonda fino a ‘gradire’ e legarsi psichicamente al suo aggressore. Può anche sentirsi in colpa per quello che è successo come ad averlo favorito o addirittura fatto qualcosa per meritarlo. Anche per questo è molto difficile per gli abusati denunciare le violenze subite.
Si può supporre inoltre, che  quegli  elementi  del freudismo, che sono purtroppo ancora presenti in una certa ‘cultura’ pseudoscientifica, e che hanno ricondotto a mere fantasticherie e ‘desideri’ non soddisfatti, i ricordi e le descrizioni di eventi ‘sessuali’ subiti da pazienti, quando erano minorenni, non favoriscono tali denunce per timore di non essere creduti.

Sappiamo che, a parte i delitti contro i minori che avvengono in famiglia, i bambini corrono rischi soprattutto con chi è preposto alla loro educazione intellettuale, morale ed anche fisica. Parliamo di preti, di allenatori sportivi, educatori in genere ed ora, purtroppo, anche medici pediatri. Secondo lei queste persone scelgono appositamente una professione che gli permetta di avere contatti con minori, o è un fatto casuale?

Come già affermato essendo la pedofilia una grave patologia psichiatrica non esplode nell’individuo improvvisamente e dietro l’aspetto compulsivo dell’abusante, c’è un progetto lucido perseguito con fredda determinazione. Da vari studi e rilevazioni statistiche è stato appurato che il pedofilo si indirizza verso professioni e ambienti (asili nido, scuole materne,  parrocchie, ecc…) dove ci sono più possibilità di relazionarsi con minori, magari assumendo un ruolo che può attivare nel bambino una risposta idealizzante e di dipendenza. A questo proposito ‘Chiesa e pedofilia’ di Tulli è ancora illuminante: “Non c’è dubbio che l’organizzazione della chiesa risponda a certi requisiti. Le gerarchie ecclesiastiche hanno coperto i pedofili per decenni e questo è un dato che non ha bisogno di ulteriori conferme. Inoltre aggiungerei la questione del perdono, concesso nel segreto del confessionale ai pedofili, oppure richiesto pubblicamente alle vittime, come se questo delitto, gravissimo per qualunque diritto civile, fosse una lieve ‘deviazione’ dalla norma. Il pedofilo, da calcolatore qual è, sa che il suo comportamento sarà coperto dal silenzio delle gerarchie ecclesiastiche, perché all’esterno deve rimanere integra la figura del sacerdote misogino, che non ha rapporti sessuali, e che non ne deve avere”.
Questo è lo stato delle cose, perché  non è ancora sufficientemente diffusa una cultura che tuteli l’integrità del bambino, ed è solo negli ultimi  anni che si è cercato, a livello sociale, una maggiore attenzione alla prevenzione,  alla definizione e allo studio del fenomeno.

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