Rave party : la tragica assenza dell’umano

Lunedì, quando in redazione si è deciso di scrivere la cronaca di quanto avvenuto, a Rovegno, durante un rave party, non si pensava di creare un vespaio. Avevamo scritto del coma in cui era piombata una ragazza di Napoli e della morte di un trent’enne, Fabrizio Turrini.  Nel giro di poche ore una miscela mortale d’alcool e di droga aveva piegato i due giovani: la ragazza ce l’ha fatta, Fabrizio no.

Avevamo annunciato un approfondimento su questi fatti di cronaca. Si era pensato di cercare di conoscere i motivi per cui ragazzi, che dovrebbero essere pieni di vita, rischiano la morte per un’estasi di pochi minuti. Ma, come dicevamo, la pubblicazione della cronaca dei fatti, accompagnata da commenti, che, a noi, sembravano di buon senso, ha scatenato una reazione di alcuni lettori francamente inaspettata: sono arrivate lettere e commenti su face book che difendevano i rave party a spada tratta e  alcune lettere che, in verità, non sono state ritenute pubblicabili perché insultanti, mentre con altri commentatori si è aperta una, se pur accesa, dialettica civile.
Dopo queste comunicazioni chi scrive ha deciso, in accordo con la redazione, di fare una ricerca proprio partendo dalle indicazioni che quelle lettere davano, e dai pareri dei partecipanti, per poi tirare conclusioni, chiaramente soggettive, sul fenomeno dei rave party.
Le contestazioni sono state soprattutto di carattere sociologico. In un commento preso da facebook veniva detto “Nei Rave party c’è di tutto, così come nella società intera. I giovani che partecipano ai rave non sono alieni sbarcati sulla terra, come questo articolo bigotto e pieno di pregiudizi vorrebbe presentarli, ma il prodotto di una società che magari contestano giustamente”.

Che nei rave c’è di tutto è chiaro, se no sarebbero morti duemila persone e non ‘solo’ Fabrizio, ma la stragrande maggioranza degli individui che va a questi incontri ci va per trovare lo sballo, che tradotto in termini psichiatrici, significa assentarsi dai rapporti umani, in altre parole ‘non essere’.
I partecipanti ai rave non sono “alieni sbarcati sulla terra” sono una piccola minoranza di esseri umani che, come nel film ‘L’invasione degli ultra corpi’, hanno già perduto o stanno perdendo completamente  la vitalità e gli affetti. Dire che questi giovani vanno ai rave per contestare la società è un falso culturale molto pericoloso, perché persuade anche i dubbiosi ad abbandonare l’umanità per una finta ‘ribellione’  suicida che non serve né a loro né alla società.
Ma è proprio seguendo le indicazioni che dava una lettera piena di insulti, che si possono trovare risposte a quanto si sta cercando. La lettera, dove le parole galleggiavano nelle rabbia impotente e nell’odio feroce per chi scrive per cercare di salvarne almeno uno su mille di questi ragazzi, indicava, con una modalità che faceva intravedere un essere umano disperato che urlava a “il nostro mondo di merda!”, un articolo.
La persona che ha scritto quest’articolo, e altri che citeremo, parla di malessere evidente e di cose gravissime e disumanizzanti, abbellendole retoricamente, legittimandole e rendendole socialmente congrue. O perlomeno il senso che arriva al lettore è questo.
Gli articoli descrivono un rave party svoltosi Baudenasca, nei pressi di Pinerolo, nell’agosto 2007: “L’impatto delle onde sonore sul petto, la scatola cranica, basterebbe a stordire un bisonte sano (…) Eppure a molti non basta. Per uno che beve succo di frutta, dieci mischiano alcol e tabacco a tutto quanto c’è d’illegale. Il risultato sono camminate oscillanti, discorsi incoerenti, occhi persi, mani che tremano, saliva che non c’è più (urca. Ma gli articoli vengono bene, no?).

E ci si chiede:  “ma questo ….., che scrive con questa fatuità di persone che stanno visibilmente male e che potrebbero anche morire da un momento all’atro, si rende conto che questo suo modo di fare ‘cultura’ è devastante? O no?”
Scorrendo l’articolo citato, alla voce ‘Economia’ troviamo queste preziosità “Ovunque spuntano banchetti che vendono di tutto, dalla bottiglia d’acqua ai monili, dal cous-cous alle sostanze stupefacenti (…) Marianna, trentadue anni, da Perugia, alle 19:30 vende hamburger; venderà speed alle 23:00 e caffè e buondì alle 8:00. Colpisce vedere banchetti che espongono cartelloni con listini del tipo “Speed: 10 EU – MDMA(capsule): 10 EU – Ketamina: 35 EU,” e non tanto perché non siamo soliti vedere sostanze illegali vendute come zucchine al mercato, ma anche per i prezzi popolari a cui vengono vendute. Non c’è grande speculazione nello spaccio, basta osservare la perizia con cui il tipo della ketamina prepara le buste, mostrando preciso ad ogni cliente il peso della tara, per capire che il suo atteggiamento è quello di chi sta svolgendo un servizio. Liz, ventiquattro anni, belga, vende cristalli di MDMA: mezzo grammo, 30 euro. “Quanto ci guadagni?” “Poco, mi rifaccio le spese del viaggio e qualche extra.”
Che bel quadretto, questi ‘ribelli che contestano la società’ lo fanno vendendo ‘amorevolmente’ “per qualche ‘ piccolo’ extra” , veleno puro ai loro ‘amici’ i quali non vedono l’ora di uscire dalla realtà. Realtà che non riescono ad affrontare perché la perdita di vitalità li ha resi vigliacchi e impotenti.
Ma qui si parla di ‘speed’ e ‘ketamina’ insieme ad hamburger e cous-cous come fossero la stessa cosa senza dire che l’abuso di anfetamina, in arte ‘speed’, causa una grave dipendenza psicologica. L’abuso – e chi va in giro facendo discorsi incoerenti, con occhi persie e mani che tremano, ha già abusato di stupefacenti – provoca esaurimento fisico, malnutrizione estrema fino alla cachessia e alla morte.
La Ketamina è un anestetico per animali. Essendo un’ anestetico, produce un effetto di estraniamento dalla realtà, intorpidimento dei sensi, spesso allucinazioni. I danni della ketamina sull’organismo sono notevoli. È infatti una delle poche sostanze che l’organismo umano non riesce a smaltire, per cui si accumula nel fegato e, anche dopo diversi anni, i danni che provoca non guariscono. Mentalmente produce mancanza di memoria, incapacità di concentrarsi, indebolimento dei riflessi, fino a favorire il sorgere di epilessia e/o malattie al sistema nervoso centrale.

Veniamo al delirante paragrafo IV: Politica “: il marxista – o il postmarxista – non è in grado di spiegarsi un movimento che rifiuta aprioristicamente una logica di cambiamento: l’utopia tekno (la ‘filosofia’ dei Rav Party N.d.R.) è quella del “qui e ora” e non ha pretese di cambiamento del sistema che rifiuta. La festa è qui, e quando finisce, tutti a casa. La tekno crea la sua area di utopia, non cerca proseliti, non vuole la rivoluzione: la sua rivoluzione c’è già, e dura una notte (o sei). Aggiungiamoci che il movimento tekno rifiuta violentemente un’etica del lavoro ancora ben radicata nell’estrema sinistra”.
Non è necessario chiamare il ‘prode Giovanardi’ il quale ci farebbe un bel sermone cattolico condito di berlusconismo, per giungere al senso, sarebbe meglio dire il non senso, che pervade questo ‘sistema filosofico’ che, a sentire “Tania, ventotto anni, cagliaritana, dottoressa in storia da un anno, alle feste da dieci – è – l’unico movimento giovanile genuino prodotto dagli anni ’90 e 2000.” Beata ignoranza!
Come tradurre tutto ciò che questo tizio, che si definisce un ‘giornalista non allineato, scrive per glorificare ‘l’utopia’ del non essere. Come decifrare questa filosofia del “La festa è qui, e quando finisce, tutti a casa.”
Sembra che chi scrive non si renda conto, se si rendesse conto sarebbe un criminale, che le sue parole non fanno altro che spingere questi ragazzi – i quali hanno certamente, chi più chi meno, gravi problemi psichici, altrimenti non si drogherebbero rischiando la morte –  nelle mani del potere politico/economico, che è ben felice, contrariamente a quello che crede chi ha scritto l’articolo,  che questi ragazzi tornino, dalla loro ‘festa’ ottenebrati nel pensiero. Li riceveranno come fu accolto il figliol prodigo e poi li metteranno nei call center a lavorare come bestie da soma per pochi euro che serviranno loro a pagarsi un po’ d’alcool e di droga in un rave party che serve a far loro dimenticare le loro catene materiali e mentali. Oppure torneranno da mammina cara, che, tutta contenta di aver in casa un figlio coglione e nullafacente di 30/35 anni, gli preparerà gli gnocchi.
Su queste ribellioni suicide, invece di fare una ricerca seria, si preferisce usare frasi fatte e miti metropolitani. E così si parla di religioni pagane, di riti voodoo e/o eleusini, di droga per comunicare col mondo della trascendenza, e si afferma che la voglia di droga letale fa parte del nostro DNA comune. Perché è di alcolismo e di droga letale che si sta parlando non di un bicchiere di vino o di uno spinello in spiaggia con gli amici.
Poi ci sono le frasi sconnesse e senza senso come questa: “lasciare l’individualità terrena in favore di una collettività spiritualizzata.” O questa “attraverso la condivisione di un momento rituale si cerca una purificazione interiore (in questo caso dalle imposizioni e dai valori della società dei consumi) e una ridefinizione del sé.”

Hai Capito? Ti suicidi lentamente impasticcandoti per purificarti dalle imposizioni della civiltà dei consumi! Sai che rivoluzione sociale! Ma non sarebbe meglio partecipare alla lotta ecologica e non, durante i rave party, distruggere ettari di bosco come viene spesso denunciato dalla associazioni ecologiste locali?
Insomma tutto un armamentario affabulatorio che serve solo a mascherare un vuoto mentale e a legittimare l’assenza di umano nei rapporti con l’altro da sé. Assenza di umano che è malattia mentale. Un parlottare inconsulto e criminale perché spinge anche i dubbiosi verso l’inferno della droga convincendoli che con la droga si fa la rivolta sociale. Tutto ciò è demenziale e pericolosissimo.
Forse per capire la differenza tra un edonismo sano e auspicabile, che porti alla realizzazione umana di sé,  e queste feste di morte, psichica, e a volte fisica, si dovrebbe rileggere con attenzione ‘Le Baccanti’ di Euripide. Nella tragedia euripidea Diòniso si presenta sulla scena seguito dalle donne barbare che intonano il suo canto. Non saranno queste donne gioiose ad impazzire e a trasformarsi in deliranti assassine, ma le bravi madri di famiglia di Tebe che hanno rifiutato i riti dionisiaci e per questo sono state punite dal dio tellurico. Queste donne costrette dal loro finto moralismo non hanno capito che la pazzia bacchica, dalla quale vengono soggiogate fino all’orgia cannibalica, non dà loro la felicità ma solo l’insensibilità di fronte all’infelicità.
Ed è questo che chi si droga pesantemente cerca: l’insensibilità. L’insensibilità momentanea offerta dalle droghe sintetiche, consumate credendo di poter fermare quel dolore interno divorante che ha un nome, come hanno un nome coloro che l’hanno generato. Spesso quel dolore invisibile si chiama depressione. E non si può chiamare società ciò che ha generato questo mal di vivere, lo si deve chiamare per nome: madre, padre, amico, amante … coloro che hanno deluso e leso l’immagine interna, spesso già nei primi mesi di vita. Immagine interna che si può ancora realizzare curandosi e trovando un altro da sé che non delude.
Gli psichiatri, quelli seri, non iniziano neppure un percorso terapeutico se il paziente è alcolista o ancora tossicodipendente. Non iniziano perché è inutile tentare di curare una persona che ha perso la sensibilità. Perché coloro che l’hanno perduta non ‘sentono’ più, hanno perduto quel sentire che nei primi mesi di vita li rendeva certi dell’odio e dell’amore. Si sono anestetizzati barattando pochi minuti di non dolore con la propria umanità.

 

 

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