Creatività, il dono degli dei o dei demoni

ROMA – Ad agosto, quando, qualche giorno dopo la morte di Amy Jade Winehouse causata da eccesso di droga, scoppiò il ‘caso Vasco’, su queste pagine, uscì un articolo a firma di Gian Carlo Zanon, ‘Vasco Rossi e la sua ‘vita (troppo) spericolata’, dove, in chiusura, veniva annunciato che avremmo approfondito l’argomento nella nostra rubrica   ‘Cronache dal sottosuolo’. Nell’articolo, che trattava della pericolosità dei psicofarmaci, veniva scritto: “il tema della psichiatria è un tema difficile da affrontare qui, cercheremo di parlarne a settembre nella nostra rubrica, ‘Cronache dal sottosuolo” , accostando la sofferenza psichica alla creatività  di persone come Vasco Rossi e di altri e altre come lui che, per questo ‘dono degli dei’, ci rimettono la salute mentale e poi, spesso, anche la vita”.

“L’uomo dal multiforme ingegno raccontami o musa … “questo è l’incipit dell’Odissea, dove immediatamente il cantore, negando, religiosamente, il suo essere artista, dichiara che il canto scaturito dalla sua bocca non gli appartiene, ma è la musa che parla attraversando la sua voce.
Il timore di essere l’unico agente della creatività è da sempre presente nella storia degli artisti: l’autore non ha il coraggio di prendersi la responsabilità della propria fantasia interna, perché non sa da dove nasce, perché nasce, quando nasce. Egli teme, non sapendolo, la sua intenzionalità inconscia, perché egli sa di non poterla controllare con la ragione. Inoltre questo invisibile che si palesa in suoni verbali e musicali o in immagini a volte c’è, a volte non c’è, e tutto questo è difficile da reggere per chi non ha ancora realizzato un’identità irrazionale, vale a dire umana, a livello di pensiero verbale.

La cultura dominate gli ha sempre detto che tutto ciò che viene creato ‘dal nulla’ può essere solo opera degli dei, ed egli ci ha sempre creduto. E così tutto ciò che è stato creato all’interno della cultura occidentale, dall’Iliade al ‘Don Quijote de la Mancha’, dalle liriche di Archiloco a ‘Il manoscritto trovato a Saragozza’ non è stato, dall’autore, definito come creazione nata dalla propria creatività inconscia.

Cervantes, pur di non prendersi la responsabilità di aver creato el Quijote, aveva inventato vari intermediari, i quali avevano partecipato alla creazione della sua opera: un sapiente storico arabo, Cide Hamete Benegali e un traduttore morisco. Egli scriveva nel prologo “Pero yo, aunque parezsco padre, soy padrastro de don Quijote …” : “Io anche se sembro padre, sono patrigno del Quijote”. Questo anche per prendere astutamente le distanze da questo personaggio così irrazionale e ribelle ad ogni convenzione morale e civile. Erano tempi difficili si ergevano roghi per molto meno.

Tutto questo pensare alla creatività, scivolando sempre nella credenza religiosa, naturalmente ha cambiato forma nello scorrere dei secoli ma la creatività, questa alchimia visibile oggi anche nelle canzoni con musica e i testi uditi da milioni di esseri umani, continua ad essere vissuta in modo ambivalente e pericoloso. Per accedere ad essa si deve valicare la porta dell’invisibile, e Rimbaud sentendo di perderla la va a cercare con l’alcool e la droga e scrive ‘Una stagione all’inferno’ e ‘Le Bateau ivre’ dichiarando, tra le righe, il suo fallimento esistenziale. Ma il poeta francese, che con la sua poesia aveva disarticolato  la poesia petrarchesca, a diciotto anni smette di scrivere e dopo quindici anni lo si troverà morente in Africa dove negli ultimi anni aveva commerciato in armi e forse anche in esseri umani.

Milos Forman nel suo famoso film ‘Amadeus’ ben rappresenta la questione della creatività nei due personaggi principali; Mozart e Salieri. Nella film Salieri si chiede come era possibile che, Mozart, un essere senza morale che si lasciava dominare completamente dalle passioni, possedesse una creatività di gran lunga più grande della sua avuta per un patto con Dio, per il quale aveva dovuto rinunciare anche alla propria sessualità. Salieri prima se la prende con Dio, poi, non ricevendo, ovviamente, risposta, decide di distruggere il suo nemico cercando e trovando il suo punto debole, perché egli sa che un artista ha sempre un nemico interno che lo aspetta nell’ombra.
Il problema è dare un nome a questo ‘nemico’ interiore che da la creatività ma spesso a costi troppo elevati. Rimbaud scrivendo ‘Una stagione all’inferno’ sembra indicare qualcosa di luciferino nella creatività “… il demonio che mi incoronò di così amabili papaveri (…) Mio caro Satana (…) voi che amate nello scrittore l’assenza delle facoltà descrittive.” Sembra chiaro: lo scrittore che ha delle facoltà descrittive non è un poeta e quindi non è amato da Satana l’angelo più luminoso, Lucifero che si ribellò al demiurgo celeste, l’unico essere che può creare dal nulla. Essere poeti significa quindi ribellarsi a Dio.

Giunti a questo punto si potrebbe dire che il problema dell’ambivalenza degli esseri umani di fronte alla creazione artistica va cercato nell’alienazione religiosa. Creare, essere artisti,  per chi non ha superato l’alienazione religiosa significa ribellarsi sfidando il dio creato per la propria schiavitù. L’artista maledetto e ribelle che aliena in un ente inesistente  – musa, dio, diavolo – ma creduto tale, il proprio mondo interno e quindi anche la propria creatività, poi dovrà pagare un tributo con la propria malattia psichica, generata dall’alienazione religiosa. È un cane che compulsivamente si morde la coda.
Certo si potrebbe anche credere, come fa il buon Vasco Rossi, alla psichiatria organica, che, secondo lui, con un miscuglio di psicofarmaci e droghe, crea una ‘medicina’ capace di dargli un equilibrio psichico e allo stesso tempo lasciargli inalterata la sua creatività e magari anche la gioia di vivere. Ma forse è un po’ riduttivo, anche perché si potrebbe arrivare a pensare che se è la chimica che fa la malattia che toglie creatività all’artista, logicamente deve essere la chimica che produce creatività. E chimica significa droga, alcool, psicofarmaci, allucinogeni ecc. vale a dire tutto ciò che uccide il corpo e la mente più o meno lentamente, con la promessa della creatività.
Sicuramente c’è già qualche industria farmacologica che sta pensando di pubblicizzare la ‘pillola della creatività’; d’altronde lo hanno fatto con la ‘pillola del desiderio’, il Viagra, e con le ‘pillole della felicità’, gli psicofarmaci. Perché la logica è logica! Sei depressa perché tuo marito ti umilia? Non c’è bisogno di separati da tuo marito, perché andare ad agire sulla causa del sintomo, troppo faticoso, prendi la pillola ‘Belmaritin’ e vedrai che, nonostante quello stronzo, sarai sempre bella euforica e pimpante.

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