Ancora sulle primarie del centro sinistra

ROMA – Il confronto televisivo fra i candidati c’è stato; ad una settimana di distanza tutto conferma che l’impatto sull’opinione pubblica è stato positivo, come positivo è stato per ciascuno degli sfidanti. Ma vale la pena riflettere ancora, come ha fatto Cardulli in questa sede nei giorni scorsi.

L’unica dissonanza, nelle valutazioni sulla esperienza, per noi inedita, è stato lo “spiazzamento” dei giudizi espressi nell’immediato da molti notisti politici importanti (per lo più orientati a sinistra) rispetto alla reazione pressoché unanime dell’opinione pubblica. Poi, fiutata l’aria, con la velocità della luce, anche i commenti “ex cathedra” si sono messi più in sintonia, e -mi pare- hanno incorporato una dose in più di salutare umiltà.  
Più in esplicito: molti giornali il 13 mattina -a poche ore dall’evento- hanno pubblicato primi commenti da cui traspariva una altezzosa presa di distanza. Come per dire “tutto qui? Ci vuole ben altro”. E chi aveva potuto intercettare, durante le ore notturne, tweet o battute lanciate sul web da “esperti comunicatori” vi aveva trovato allusivi parallelismi con personaggi da fumetto per bambini, figure di cartone, o altre simpatiche amenità. Salvo poi, a distanza di sole 24 ore, porre la stessa propria firma sotto pensosi editoriali che si compiacevano della positiva reazione dell’opinione pubblica tanto nei confronti dell’iniziativa in sé, quanto dei promotori, del PD in specifico.

Il nostro commento è semplice: va bene così! Ma qualcosa deve pur significare.
Cardulli pone sotto accusa la “casta dei comunicatori”; a me pare utile allargare un poco la riflessione. Un vizio antico connota di sé la cultura civile italiana: uno scetticismo sistematico che induce una diffusa estraneità alla cosa pubblica; gli fornisce l’alibi morale.
Ne conseguono frutti in ogni caso malati, seppur di segno diverso: la delega acritica al messia di turno, oppure la creazione di un partito personale che, in quanto tale, esime dalla pratica del confronto democratico. Ovvero la palingenesi del tutti a casa. O ancora, meno rozzamente, la propensione ad un sistematica presa di distanza, individualistica e aristocratica; ovviamente in ragione del fatto che…ci vuole ben altro.

Compete agli storici delle culture politiche indagare da quale condizionamento ideologico-culturale ciò derivi; io intendo solamente osservare che ciascuna di quelle reazioni, seppure in modi diversi, denuncia una tentazione di estraneità, quanto meno una diffidenza, verso la pratica della responsabilità.

Perciò la reazione della opinione pubblica al dibattito fra i candidati alle primarie, così come rappresentata da tutti i cronisti, manda un segnale di novità autentica; dice che l’opinione pubblica apprezza la semplicità di una comunicazione sobria e normale, magari inevitabilmente semplificata (il format), ma di certo non mirabolante nè compiacente.

Insisto: la novità più significativa non è stato il confronto in sé, quanto il riscontro d’opinione che vi ha corrisposto; nonostante qualche impaccio comunicativo dei protagonisti, qualche lacuna nelle risposte fornite, qualche approssimazione di troppo. Nonostante -o forse proprio in virtù di- nessun effetto speciale, nessun tono mirabolante.
Su questo piano “ la casta dei comunicatori” -per dirla con Cardulli- si è lasciata sorprendere. La cosa non è importante in sé, lo è, invece, perché il contrasto evidenzia una possibilità: che in questa nostra Italia, oggi più che in passato, sia possibile chiedere ai cittadini riflessione e assunzione di responsabilità. Se così è, il merito è da ascrivere innanzitutto al PD, che da tempo fa di questa sollecitazione la propria ragion d’essere. Nonostante gli scetticismi e le saccenti lezioni “ex-cathedra”.

Questo è davvero importante. Per quanto riguarda gli autorevoli “comunicatori” c’è da sperare che abbiano letto la recente intervista di Giovanni Minoli -uno che se ne intende- :”…la crisi del talk-show è la crisi della dittatura dei conduttori. Il talk-show è morto”.
E noi quella sera brinderemo.

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