Monti. Un ricco repertorio di ambiguità

Nel buio di una sala cinematografica si vede sempre l’omino bianco su fondo verde che segnala il percorso obbligato per l’uscita da una situazione di eventuale emergenza.

Molto più difficile sapere come si esca dall’emergenza sociale, economica politica; anzi, difficile anche sapere con certezza se ci si trovi o no (ancora) in situazione di emergenza.

Mario Monti, domenica mattina, ci ha detto che forse non siamo più in emergenza; ma ha detto anche che forse sì, quasi quasi …

Nessuna ironia; il dubbio è doveroso per la complessità dei problemi e per la indubbia autorevolezza di chi se ne fa interprete. La conferenza stampa però ha lasciato, almeno in noi, una inquietudine che travalica la percezione dei problemi che ancora travagliano la nostra società e il suo futuro.

Un senso di artifizio politicista inatteso. Un esercizio sapiente di equilibrismo che si impara nei corridoi e nelle stanze del potere costituito, più che nelle aule dell’Accademia.

Tutti noi che da anni frequentiamo con passione il dibattito politico conosciamo da sempre quelle modalità dialettiche, ne abbiamo osservato dimostrazioni lampanti durante i decenni della cosiddetta “prima repubblica”; interpreti eccellenti. Quindi non ci sorprende in sé il virtuosismo retorico supportato dall’enunciazione di intenti nobilissimi; né si può pensare -di certo non lo pensiamo noi- che le dichiarazioni odierne di Monti contengano un inganno deliberato. Costatiamo con disagio che, quanto meno sul piano del gioco politico, il Monti di oggi ci riporta indietro di molti anni, nel cuore delle premesse cultural-politiche di ciò che poi sarebbe diventata l’emergenza italiana, anche sul piano economico e sociale.

Perché la nostra emergenza -non dimentichiamolo- deflagra sul piano economico e sociale anche perché da molto tempo il gioco delle convenienze politiche, dei tatticismi, delle convergenze difficili, ha ostacolato l’affermarsi di strategie di governo nitide e lungimiranti.

Lo stesso Monti lo aveva affermato nei giorni del debutto del suo governo, più o meno così: nel residuo scorcio di legislatura ci impegneremo per scongiurare il precipitare dell’emergenza economico finanziaria, il perseguimento di questo obiettivo assolutamente prioritario necessita di un supporto politico straordinario, anch’esso “emergenziale”: la strana maggioranza. Superata l’emergenza sarà ripristinata anche l’ordinaria dialettica politica, contando che nel frattempo anche la politica abbia saputo riorganizzarsi e ridefinirsi.

Ebbene, presidente Monti, lei oggi ci ha confuso le idee. Perché ha impropriamente sovrapposto i due diversi piani dell’analisi. Ha rivendicato con orgoglio i molti passi avanti sul terreno del risanamento -ne prendiamo atto senza discutere in questa sede la congruità e l’equità sociale delle politiche economiche adottate- tuttavia non ha affermato conclusa l’emergenza. Allo stesso tempo è intervenuto pesantemente sulla prospettiva politica in vista delle elezioni; ma, anche su questo piano lo ha fatto con tutte le ambiguità. Non ha invocato, con chiarezza, la riedizione della “strana maggioranza”, né ha preso partito con trasparenza.

Un ricco repertorio di condizionali, periodi ipotetici, eventualità …; con lo stile di un democristiano d’antan, anche se molto british.

Ha annunciato l’agenda che dovrebbe essere bussola per un confronto aperto sui contenuti, ma non ha rinunciato ad esplicitare giudizi squisitamente politici non solo sulle singole formazioni politiche, ma sulla loro dialettica interna. Si è definito “extra partes”, ma è stato decisamente “pars”.

Insomma: non abbiamo compreso se, a suo avviso, sia il caso di imboccare la via obbligata della uscita di sicurezza (una nuova strana maggioranza), o se si possa assistere con serenità al finale del film (l’esito delle prossime libere elezioni).

 

    

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