Afghanistan, la guerra infinita

ROMA – Una notiziola quasi nascosta come se non ci appartenesse, così lontana da noi. Oggi a Farah, nella parte occidentale dell’Afghanistan, c’è stata un’altra strage: 48 morti, 108 feriti, un tribunale distrutto da un’autobomba e dall’assalto di nove terroristi.  Quella è zona talebana, crocevia tra l’Iran e Kandahar, sulla Ring Road presidiata dai militari italiani.

Ci sono stato l’ultima volta a novembre, tre mesi fa. Frequento il Paese degli aquiloni da dodici anni, immediatamente dopo la tragedia dell’11 settembre che convinse gli americani a scatenare una guerra contro al Qaeda anche se l’Afghanistan non c’entrava nulla perché il network del terrore si è sempre nascosto in Pakistan, finanziato dall’Arabia Saudita: due Paesi che invece gli Stati Uniti hanno incredibilmente scelto come alleati. Ho vissuto tutto lo svolgersi dell’operazione: un fallimento totale che ha prodotto solo tante vittime, soprattutto tra la popolazione locale. E continua appunto a produrne nonostante qualche timidissimo segnale di ripresa avvertito a Kabul. Anche oggi a Farah la maggior parte dei morti sono civili. Certo, stavolta sono stati i talebani, ma quanti ne hanno uccisi le bombe indiscriminate sui villaggi?

E’ una guerra infinita ma soprattutto strana. E’ l’unica volta, così come in Iraq, che più passa il tempo e più la situazione peggiora. Sono gli stessi americani ad ammetterlo: dopo dodici anni di guerra e migliaia di vittime gli insorti controllano ancora il 74 per cento dell’Afghanistan, comprese le zone-chiave, quelle dell’oppio che continua a foraggiare la sanguinosa reazione degli estremisti. E’ una percentuale clamorosa che conferma tutti gli errori occidentali. Gli afghani muoiono letteralmente di fame: invece di bombardare sarebbe bastato portare un pò di benessere, il minimo che li toglieva da una condizione sociale vergognosa dove è un lusso pure mangiare un pugno di riso al giorno.
Una volta gli americani lo facevano, sullo stile degli antichi romani. Compravano. Conquistavano cioè i territori ma almeno portavano quel soffio di economia che bastava a risollevare la popolazione: lo hanno fatto anche da noi. E allora in fondo si accettava la perdita della sovranità. A un certo punto (Bush) gli americani hanno deciso non più di comprare, di prendere con la forza ed era ovvio che la popolazione si sollevasse. Un errore che, come è successo con i romani, rischia di decretare inevitabilmente anche la fine dell’impero occidentale.                                                                                 

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