Media e politica: siamo sempre all’ultima spiaggia. Razionalità e ritmo sincopato

ROMA – Ci piacerebbe lanciare una petizione rivolta a tutti i protagonisti del dibattito pubblico, specie in ambito politico: si restituisca maggiore razionalità ai messaggi che si diffondono. Qualche interrogativo in più e qualche iperbole in meno. Possibile non ci si accorga che ogni aggettivo di sapore ultimativo “sparato” in un tweet o in un titolo di prima pagina alimenta scetticismo e noncuranza nella opinione pubblica a cui ci si rivolge?

Perfino il clown a 5 stelle è costretto ad alzare i toni ogni giorno di più per non finire risucchiato nella palude del già visto, del già sentito, del “tanto è una finzione”. La questione riguarda tanto i protagonisti della vita politica quanto i loro megafoni, cioè chi gestisce la comunicazione.

Non ci riferiamo tanto alla ignobile pratica dell’insulto e della volgarità gratuita – su questo tutto è già stato detto e scritto – quanto al senso di “appuntamento definitivo” che si tende ad attribuire ad ogni normale evoluzione della situazione in essere, esasperandone artificiosamente il significato, caricandola di aspettative iperboliche. Così si disperde il senso dell’impegno quotidiano e del richiamo alla responsabilità, che abbisogna sempre di razionalità, di senso del limite e del possibile. Si svilisce, cioè, quanto di più pregiato dovrebbe caratterizzare il civismo dei singoli e delle collettività.

Mentana, un vero fuoriclasse nel campo dell’enfasi

“Ultimo tentativo”, “sfida finale”, “resa dei conti”, “ultimatum”, … ecco alcuni titoli pronunciati con foga; basta sfogliare i quotidiani o ascoltare i titoli dei telegiornali di un giorno qualunque. Per gli appassionati del genere consigliamo i titoli del tg. di Chicco Mentana, un vero fuoriclasse nel campo dell’ enfasi. E via a fare i conti con le settimane che mancano alla chiusura della finestra temporale che ancora consentirebbe di andare al voto nella primavera 2014, perché tutti questi enunciati altisonanti alludono, come deterrente, ad una ipotetica crisi di governo a cui potrebbero far seguito elezioni politiche immediate. Per non dire di chi ha fatto bandiera della richiesta di nuove elezioni subito; taluni per lucrare qualche consenso puramente emotivo a fronte della “anomalia” effettivamente rappresentata dalla attuale maggioranza, altri per la scelta deliberata di alimentare ulteriormente senso di impotenza e discredito della politica. 

Tutti però sanno che l’evento elettorale non ci sarà se non – tutt’al più, e non è detto – nella primavera 2015. E la cosa è evidente da almeno un anno a questa parte, dato il risultato elettorale del febbraio 2013, la vicenda dell’elezione del Presidente della Repubblica e la palese necessità di riformare sia la legge elettorale che taluni profili del sistema istituzionale. O si può davvero pensare che tutto ciò sia in fondo secondario? Che non ci riguardi?

 

Persino il pregiudicato ha smesso di evocare il lavacro elettorale

 

 Persino il pregiudicato di palazzo Grazioli, che di bluff se ne intende, ha smesso di evocare il lavacro elettorale subito.  

Le cronache quotidiane ci parlano di una partita a scacchi sui ruoli (premier, segretario di partito, correnti interne, candidature future), immaginano scenari e retro-pensieri dei leader. Quasi mai si interrogano su quali politiche industriali siano necessarie per riposizionare la nostra manifattura sui mercati, su come rendere più equo il nostro sistema fiscale, su come introdurre fattori di coesione in un corpo sociale sempre più frammentato, sulle risorse da dedicare alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale. E quando lo fanno, questi temi appaiono nelle pagine interne, del tutto scissi dalla dialettica politica.

In questa dicotomia sta la irrazionalità di molta parte del dibattito corrente. Alzare i toni, drammatizzare la dimensione astrattamente politica, finisce per essere, da una parte, pura finzione, dall’altra alibi per sottrarsi al difficile compito del governo effettivo di questa delicatissima e difficile fase. E si ottiene l’effetto – aspettando Godot – di tollerare di fatto l’incedere claudicante e sotto-tono dell’azione di questo governo.

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