Grecia, la lotta solitaria contro la Troika

ROMA – Ricordiamo Kobane, dove la resistenza curda contro gli attacchi dell’Isis è stata lasciata sola dalla Turchia, che aveva schierato le sue truppe a solo un chilometro di distanza, ma si è ben guardata dal sostenere chi reggeva tutto il peso dell’attacco di quello che è considerato oggi il nemico numero uno. L’ambiguità politica e militare della Turchia metteva nel conto la sconfitta dei curdi che, per fortuna di tutti, sono invece riusciti a respingere gli attacchi dell’Isis.

Atene rischia di trovarsi nella situazione dei curdi a Kobane. Il successo di Tsipras ha incarnato la speranza dei greci di non morire di austerità. E’ stato salutato come un successo della sinistra che vincendo le elezioni ha dimostrato che da una crisi economica devastante, aggravata drammaticamente dalle misure di austerità imposte dall’Europa, si può provare ad uscire da sinistra e mettere nell’angolo la destra, in questo caso per di più neonazista. Dovrebbero fargli un monumento. Invece nel coro di applausi c’era anche chi in realtà si riprometteva, più o meno consapevolmente, di imitare i turchi a Kobane. 

Infatti appena il confronto tra il nuovo governo greco e quelli dell’area Euro si è fatto più duro è scattato il meccanismo che ha schierato sullo stesso fronte sia chi aveva molte ragioni per sostenere il governo di  Tsipras sia chi è stato e continua ad essere alfiere delle politiche di austerità ad ogni costo. Nel caso tedesco si può capire, perché per questo paese, che si considera il modello da imitare, l’austerità riguarda essenzialmente gli altri paesi, soprattutto se in difficoltà, mentre altri governi hanno ragionato più o meno come fossero vittime della sindrome di Stoccolma, che come è noto rendeva subalterne le vittime ai carnefici.

Resta il fatto che finora la Grecia è rimasta sola a reggere lo scontro contro le politiche di austerità e i suoi simboli, a partire dalla troika. Renzi aveva promesso di andare in Europa per cambiarne le politiche di austerità, ma dopo le prime scaramuccie ha invertito rapidamente la sua posizione iniziale, limitandosi ad invocare fumose interpretazioni flessibili dei trattati e ribadendo che l’Italia rispetterà il 3 %, che pure non condivide. Ai cosiddetti “compiti a casa” di cui parlava Monti  oggi sono state sostituite “le riforme che servono all’Italia”, come piace dire a Renzi. Troppi si sono esaltati con facilità di fronte ad un mirabolante piano di investimenti di Juncker che avendo disponibili solo 21 miliardi di euro conta in realtà sui soldi che ogni governo metterà negli investimenti che gli interessano, se andrà bene non verranno calcolati nello stock del debito ma dovranno comunque essere restituiti e pagati i relativi interessi. Anche gli evviva all’iniezione di liquidità della Bce, che comprende l’acquisto sul mercato secondario dei titoli degli stati, sono stati precipitopsi perchè l’80 % degli acquisti è a carico delle banche centrali nazionali. Tenendo conto che il 12 % del restante 20% riguarda il sostegno ad iniziative europee ne deriva che la solidarietà europea vera e propria è solo per l’8 % dell’intervento complessivo della Bce. 

In altre parole se qualcuno medita di lasciare l’euro o rischia di essere cacciato sappia che le sue riserve sono già impegnate. 

Nel caso della Grecia poi è esattamente questo meccanismo di rinazionalizzazione degli interventi che consente di finanziare le banche greche in crisi di liquidità, la Bce si è chiamata fuori e ha solo autorizzato – in assenza di accordo – la Banca centrale greca al finanziamento delle banche nazionali.

Ancora una volta i governi dei paesi in maggiore sofferenza non riescono a fare fronte comune e il Pse non qualifica le sue posizioni distinguendole da quelle dei conservatori. Anzi alcuni importanti esponenti del Pse sembrano d’accordo più con la Merkel che con Tsipras. Il risultato è che tutti i paesi dell’eurogruppo si sono schierati insieme nel chiedere alla Grecia di accettare la proroga per sei mesi dei finanziamenti e insieme il controllo della troika, senza nominarla, sugli impegni presi dal governo greco precedente, sconfitto alle elezioni. 

Come dire: chiunque vinca le elezioni le politiche economiche non possono cambiare, confermando così che le tecnocrazie europee servono per affermare politiche di destra sotto mentite spoglie e se gli elettori non sono d’accordo pazienza.

Se la Grecia dovesse essere costretta a capitolare sarebbe un grosso guaio per tutta l’Europa, anche per gli ambigui imitatori dei turchi, che si troverebbero alla mercè del team dominante a egemonia tedesca. Perfino la tanto decantata flessibilità dei trattati ne risentirebbe.

Qualcuno sta probabilmente mettendo nel conto anche le estreme conseguenze del no alla Grecia, che pure ha individuato una piattaforma realistica: fateci crescere e inizieremo a restituire il debito, poi si vedrà. Prodi ha detto parole di verità sul debito greco, lasciarlo a questo livello rende irrisolvibile il rebus.

Chi fa questi calcoli di rottura è un apprendista stregone, perché se inizia la rottura dell’Euro nessuno è in grado di dire dove si finirà e chi pensa che la tempesta riguarderà altri e quindi può sperare di respirare meglio si illude, perché quando parte lo tsunami finanziario le difese, anche quelle della Bce, non è detto che bastino.

C’è ancora un poco di tempo, non molto. Sarebbe bene che il modesto coraggio che ha portato il commissario francese Moscovici a presentare un testo di accordo, che il governo greco era pronto a firmare, ma che è stato ritirato e rovesciato nei contenuti, risorgesse con nuovo vigore. Potrebbe essere utile a tutti, non solo ai paesi più deboli ma anche a Italia e Francia. Purtroppo, come i turchi a Kobane, troppi assistono ai “combattimenti” tra Grecia e gruppi dominanti in Europa senza il coraggio di intervenire, cioè senza mettere in discussione l’unanimità del fronte che oggi isola la Grecia. Altrimenti potrebbero aprirsi scenari interessanti e nulla sarebbe più come prima. Continuare a sperare nei favori di Angela Merkel è una linea che non pagherà. Angela Merkel ha dimostrato di avere un orientamento prudente e condivisibile nella crisi ucraina, questo non vuol dire che occorra condividerne gli orientamenti in politica economica. Destra e sinistra ci sono ancora, solo che la destra pensa di avere vinto e di bastare per tutti, mentre la sinistra sembra troppe volte avere smarrito gli obiettivi per cui dovrebbe “combattere”.

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