L’Argentina e la nemesi del liberismo

ROMA – Mauricio Macri, cinquantasei anni, imprenditore di origini italiane, ex presidente del Bocca Juniors e uomo convintamente di destra e pronto a far entrare una bella ventata di liberismo nel paese: sarà lui a guidare l’Argentina per i prossimi quattro anni, dopo aver battuto al ballottaggio Daniel Scioli, anche lui di origini italiane, peronista vicino alla dinastia Kirchner e membro del Partito Giustizialista.

È una notizia triste e un grosso passo indietro per l’Argentina, la quale, dopo la catastrofe economica dei primi anni Duemila, si era avviata lungo un percorso di crescita e di cambiamento, favorendo anche l’affermazione di importanti diritti civili come le nozze fra omosessuali e facendo da apripista alle grandi svolte di un continente che sembrava ormai destinato a lasciarsi definitivamente sulle spalle la barbara stagione dei dittatori sanguinari e dei signorotti al servizio delle multinazionali e dell’imperialismo americano di stampo kissingeriano.

Mauricio Macri, al contrario, rappresenta un drammatico passo indietro rispetto alle rivoluzioni gentili che hanno investito nazioni come il Cile, il Brasile e l’Uruguay, soprattutto se si prova a immaginare, e non occorre una fervida fantasia, quali ripercussioni potrà avere la sua condotta politica e quali conseguenze potranno derivare dalle sue scelte.

Ha promesso giustizia sociale, un mercato amico, una seria lotta alla povertà e altre mirabilie ma la sua biografia e le sue idee non rendono credibile alcuno di questi propositi.

Macri, per dirla in breve, è una sorta di berlusconiano residente a Buenos Aires, città di cui è stato sindaco, con una spiccata propensione a curare unicamente i propri numerosi interessi, una capacità politica discutibile, una visione del mondo pressoché nulla e una comprensione della portata delle sfide che attendono l’Argentina e l’intero Sudamerica nei prossimi decenni quasi inesistente.
Non sa, il povero Macri, che il Sudamerica avrà un senso e un ruolo nel mondo solo se riuscirà ad essere promotore e punto di riferimento di un modello di sviluppo radicalmente alternativo a quello che lui stesso propugna; non sa e non riesce a comprendere che la bella enciclica pubblicata qualche mese da papa Francesco è un monito rivolto innanzitutto al proprio continente, oltre che ad un Occidente stanco, indifferente e prigioniero della propria sconsiderata opulenza; non sa che l’Argentina, per dimensioni e per importanza storica, costituisce sempre e comunque un modello per i paesi vicini, nel bene e nel male, sia che si tratti di tiranni sia che si tratti di economia; non ha idea di come confrontarsi con un episcopato, quello latinoamericano, che è stato il vero sponsor dell’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio e, dunque, presumibilmente, ne condivide i princìpi e le iniziative; non si rende conto che la sua linea e il suo modo di porsi sono l’esatta antitesi della saggezza di Francesco, il che renderà i contrasti sotterranei fra loro sempre più frequenti, anche quando questi scenderà dal soglio di Pietro e tornerà ad essere un semplice pastore; non conosce la pericolosità di questo scontro e non ha valutato i rischi che potrebbe correre il suo Paese se dovesse trovarsi isolato e, oltretutto, sottoposto agli attacchi predatori dei fautori di un capitalismo smodato giunto ormai al capolinea e, pertanto, ancora più pericoloso per le sorti di chi vi è sottoposto; non sa nulla di nulla e non se ne cura, essendo l’ennesimo prodotto del marketing e del business che si butta in politica per perseguire i propri interessi e, infine, ne viene travolto.

Andrà così anche in questo caso, non c’è dubbio, perché l’inadeguatezza, prima o poi, si paga e alla lunga produce danni e disastri che nemmeno l’abilità mediatica e l’asservimento generale della stampa possono nascondere, specie se sono accompagnati dal malessere, dalla rabbia e dallo sconforto di chi ha riposto la propria fiducia nell’ennesimo uomo nuovo, ovviamente solo al comando, senza macchia e senza paura, e si vedrà tradito dalla sua prosopopea illusoria e inconcludente, dal suo affarismo e dalla sua condiscendenza, per non dire dal suo asservimento, verso poteri che nulla hanno a che vedere con le scelte e la volontà democratica dei cittadini.
La nemesi del liberismo è che non è altro che un’ideologia distruttiva e devastante, la quale finisce col divorare chiunque provi a trasformarla in un metodo di governo e d’azione politica.

Macri, in tal senso, non farà eccezione, anche perché non è né un politico né uno statista. Ciò che ci preoccupa e ci addolora è che a pagare le conseguenze più gravi della sua arrembante quanto effimera scalata al potere saranno, come sempre, i più deboli, quei milioni di persone che nessuno risarcirà mai per essersi lasciate abbindolare dall’ennesimo venditore di fumo e di promesse irrealizzabili, in palese contraddizione con i dettami di un’ideologia che ha al centro unicamente il profitto, l’ulteriore arricchimento di chi sta già bene, l’emarginazione dei poveri e degli ultimi e la scomparsa dei concetti stessi di uomo e di società dai radar delle classi dirigenti.

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