Il M5S e la sfida della maturità

Da gruppo di pressione a partito politico: compiere una scelta rivoluzionaria o implodere

Siamo al dunque. L’anno che sta per iniziare sarà decisivo per le sorti della politica italiana e, visto che si è capito benissimo dove voglia andare a parare Renzi e quali siano le intenzioni della destra lepenista del duo Salvini-Meloni, è opportuno concentrarci sulla grande incognita del nostro panorama istituzionale, ossia il M5S: la variabile indipendente dalla quale deriva buona parte del nostro futuro.
Ricapitolando: il proposito di Renzi è quello di sopravvivere alle Amministrative, vincendo a Bologna, a Cagliari, possibilmente a Torino e, in particolare, a Milano e derubricando a questioni locali le probabili sconfitte di Roma e Napoli, per poi partire lancia in resta alla conquista della vittoria referendaria, costituendo nei comitati per il SÌ l’embrione del Partito della Nazione insieme a consistenti pezzi di ex destra berlusconiana, oggi renziana, e lasciando andare definitivamente la sinistra interna. Cambierà l’Italicum? Solo se le Amministrative dovessero andare particolarmente male, il M5S dovesse costituire un pericolo reale e dovesse avvertire il bisogno dei voti della sinistra interna per provare a vincere il referendum; in caso contrario no, non gli conviene ed è questo il suo auspicio.
La direzione di marcia dei piccoli Trump di casa nostra è altrettanto evidente: non puntano a vincere ma a garantirsi un’ampia rendita di posizione, intorno al 20 per centro, grazie alla quale conquistarsi un’egemonia culturale nella destra dura e pura e assicurarsi un congruo numero di seggi, tale da poter essere comunque attori politici di primo piano senza doversi assumere l’onere di provare a governare.
La sinistra attende. Sinistra italiana si guarda intorno e si tiene aperte tutte le strade: ricongiungersi con il PD in caso di sconfitta di Renzi al referendum, dando vita ad una nuova prospettiva ulivista, o costituire definitivamente un partito autonomo che, però, in caso di sconfitta referendaria, potrebbe nascere già morto e non raggiungere nemmeno la soglia di sbarramento del 3 per cento alle Politiche del prossimo anno.
Quanto a Possibile, al momento, è un grande progetto incompiuto. Diciamo che l’idea di Civati di dar vita a una sinistra moderna e con forti venature ambientaliste e liberali, movimentista e istituzionale o, per dirla con una terminologia antica ma tuttora valida, “di lotta e di governo” al tempo stesso, è molto buona, solo che non si è ancora ben capito quale direzione voglia intraprendere. I rapporti non idilliaci con la sinistra tradizionale e con la minoranza dem rendono alquanto difficile l’evoluzione autonoma di questa compagine: per mancanza di spazio e per oggettiva carenza di copertura mediatica; fatto sta che l’intuizione è buona e potrebbe avere un futuro. Vediamo come.
Per comprenderlo, bisogna tornare al M5S e rendersi conto che quel movimento, ormai, non ha più nulla a che spartire con gli ideali utopici delle origini. Nato come grande gruppo di pressione per indurre la sinistra a ritrovare se stessa, o quanto meno a ritrovare un’anima, e colpevolmente ignorato da una sinistra arrogante, presuntuosa e autoreferenziale della quale io stesso ho fatto parte per anni, a un certo punto ha deciso di trasformarsi in un partito, senza però avere alcuna intenzione di accettate le regole della politica né, tanto meno, di darsi una struttura e quel minimo di solidità necessaria per compiere una sintesi efficace fra idee differenti.
In poche parole, un think tank sorto per restituire voce e protagonismo a cittadini costantemente ignorati da una politica asserragliata nei palazzi romani e nelle proprie errate convinzioni, ha deciso di concorrere alla guida del Paese senza operare al proprio interno quel filtro e quell’opera di composizione delle diverse visioni che sola può evitarti di imbarcare tutto e il contrario di tutto e di dar successivamente vita a quell’umiliante fiera delle espulsioni cui purtroppo abbiamo assistito.
Ora, però, dopo la morte del co-fondatore, ideologo e guru di questa formazione, sono arrivati a un bivio: strutturarsi come un partito con tutti i crismi o implodere. Per strutturarsi, intendo: dotarsi di una segreteria, di una direzione nazionale, di segreterie locali e regionali e, quel che è più importante, di una chiara visione ideologica che consenta loro di schierarsi di qua o di là, in quanto quest’ibrido indistinto, un po’ di destra e un po’ di sinistra, non solo non può governare ma, se governasse, condurrebbe il Paese ancora più nel baratro di quanto già non sia.
Per questo, sostengo da tempo che il M5S subisca una miriade di critiche ingiuste, strumentali e tendenti alla macchina del fango e non subisca mai l’unica, vera critica che meriterebbe, cioè di aver perso l’attimo. C’è stato, infatti, un preciso momento, lo scorso anno, in cui persino osservatori radicati nelle proprie convinzioni come il sottoscritto si sono resi conto che in quell’ambito ci sia molto di buono e che con esso varrebbe la pena di provare a dialogare: un processo indotto anche dallo sfarinamento del PD e dal varo di leggi come l’Italicum e la Buona scuola, le quali hanno convinto molti di noi a mollare gli ormeggi e a scegliere definitivamente il mare aperto piuttosto che restare abbarbicati a uno scoglio ormai invaso dalle peggiori forze conservatrici e incapace di generare al proprio interno le energie necessarie per contrastare con esito proficuo una deriva senza ritorno.
In quel momento, molti di noi si sono guardati intorno e si sono resi conto che questo “mostro”, nato soprattutto dai nostri sbagli e dalle nostre inutili chiusure, aveva proposto, oltre ad un discreto numero di populisti e a vertici sui quali mantengo le mie riserve, anche una classe dirigente di tutto rispetto: ragazze e ragazzi preparati, studiosi, rispettosi delle istituzioni e in grado di lavorare con passione e impegno sia in commissione che in Aula. Al che, ci siamo convinti che fosse opportuno ripartire dal tentativo di Bersani, dalla giusta intuizione di dar vita a un governo del cambiamento in grado di liberarci dai miasmi di un politicismo esasperato ed esasperante che sta facendo naufragare ogni afflato civile e ogni speranza di riscatto; il che costituisce la peggiore sconfitta che si potesse immaginare, andando al di là di ogni appartenenza di schieramento. Peccato che, proprio in quei mesi, diciamo fra giugno e ottobre dello scorso anno, anziché aprirsi, compiere un’opera di selezione al proprio interno e iniziare a collaborare con la nascente sinistra, i vertici di quel movimento abbiano deciso di chiudersi a riccio, rifugiandosi in quest’impossibile equidistanza ideologica che li porta a isolarsi dal resto del mondo, in una sorta di settarismo che sta ottenendo come unico obiettivo quello di far perdere all’intera compagine la spinta propulsiva degli inizi, fino a trasformarsi in una grande struttura di potere non poi così dissimile dai pachidermi che giustamente avevano contestato e messo in discussione per anni.
A conferma di ciò, basti pensare allo scarso impegno profuso in occasione del referendum sulle trivelle dello scorso 17 aprile, alle candidature, nel complesso, non proprio esaltanti presentate alle Amministrative e all’eccessiva prudenza manifestata nei confronti del decisivo referendum d’autunno, come se l’investitura di Di Maio a candidato premier fosse prioritaria quando invece, in caso di vittoria del SÌ a ottobre, il nostro eroe potrebbe anche concedersi una lunga vacanza, in quanto Renzi sarebbe inarrestabile.
E allora cosa può accadere? Personalmente, credo che la strada sia ormai tracciata: o il M5S cresce, si apre, diventa adulto, si sottrae alla pressione di chi lo vorrebbe sempre urlante e in lotta col mondo, acquisendo la cultura di governo indispensabile per proporsi come alternativa credibile al renzismo, oppure, in seguito alle prossime sconfitte, che inevitabilmente giungeranno, è destinato a implodere, disperdendo energie preziose e restando con una tastiera in mano e innumerevoli rimpianti.
Poiché, purtroppo, sono pessimista, avendo capito che la prova di maturità che stiamo chiedendo loro da anni difficilmente arriverà, conservo un’unica speranza, ossia che la parte più ragionevole e desiderosa di provare a cambiare davvero questo Paese, rendendolo migliore, a un certo punto, decida di fare autonomamente ciò quel movimento dovrebbe fare in blocco: aprirsi all’idea di una collaborazione a sinistra e trasformarsi così nel propulsore di un progetto di riscatto, di rinnovamento e di rigenerazione morale, culturale e politica. Se ciò non dovesse accadere, i rancori, le incongruenze e l’assenza di un programma credibile (perché l’onestà è un valore imprescindibile ma non è e non sarà mai un programma politico, in quanto dovrebbe accomunare tutte le forze politiche e non può essere appannaggio di nessuno, proprio come la Costituzione) provocheranno la decomposizione ineluttabile di quel movimento, la scomparsa di ogni prospettiva ulivista e di sinistra e l’eterno trionfo del renzismo, con tanto di realizzazione del sogno di dar vita a un Partito della Nazione organico con tutte quella che fu la Casa delle Libertà. Più che un incubo, sembra quasi una distopia orwelliana: sarebbe troppo persino per un Paese come il nostro.

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