Walt Disney e il mito americano

Senza Walt Disney l’America non esisterebbe o, per meglio dire, non sarebbe la stessa cosa. Può sembrare un’affermazione eccessiva ma è così perché la vera forza degli Stati Uniti non risiede tanto nella loro pur notevole potenza militare, nel loro strapotere economico e nel ruolo da gendarmi del mondo di cui si sono appropriati nel corso del Novecento quanto, più che mai, nel “soft power” che essi hanno saputo esercitare attraverso innumerevoli strumenti di propaganda. 

E cosa c’è di più americano, di più in linea con l’idea della Nazione dei sogni, del Paese in cui tutto è possibile, della riscossa garantita a tutti, della speranza che pervade ogni esperienza della vita e del bene che, alla fine, trionfa sempre sul male dell’epopea disneyana? Cosa c’è di più americano di questa grande favola che è stata una delle ragioni dell’ascesa e del consolidamento del mito a stelle e strisce ma, al tempo stesso,  anche del suo declino nei primi tre lustri del nuovo secolo, quando la bolla nella quale il Paese si era crogiolato per decenni è esplosa all’improvviso, in seguito alla mattanza dell’11 settembre? 

Walt Disney: un costruttore e un realizzatore di sogni, dai suoi personaggi alla sua idea di dar vita a un parco divertimenti, come se avvertisse costantemente il bisogno di regalare bellezza, di costruire una realtà parallela strettamente intrecciata con quella effettiva, come se volesse proiettare l’America verso un futuro diverso e migliore o, semplicemente, più spensierato, più felice, in grado di lasciarsi alle spalle ogni amarezza.

Nascono così i personaggi di Topolino, Minnie, Paperino, le animazioni di “Fantasia” e degli altri film di successo di questo ineguagliabile inventore di speranze, capace con “Topolino”, sbarcato in Italia nell’immediato dopoguerra, di regalare un sorriso e qualche attimo di gioia a bambini che all’epoca avevano poco altro per immaginare il domani.

Walt Disney è stato l’emblema dell’America di prima della guerra e, ancor più, dei due decenni successivi al conflitto mondiale: prima opponendosi, di fatto, al torpore, al grigiore e all’arretratezza di una Nazione stretta fra il proibizionismo dei ruggenti anni Venti e la devastante crisi dei primi anni Trenta e poi contribuendo a creare il modello della Nazione egemone, al punto che le sue creazioni vennero utilizzate in più occasioni per esportare, nel bene e nel male, il paradigma dell'”American way of life”.

Al pari di Frank Capra, al quale non a caso molti studiosi dei fenomeni di costume lo accomunano, Disney è stato il cantore dei buoni sentimenti, delle sensazioni positive, delle emozioni e delle buone azioni, destinate a prevalere e a rendere migliore la società mel suo insieme.

Ci ha lasciato a soli sessantacinque anni, il 15 dicembre del ’66, quando ormai lo stile di vita americano era entrato nell’immaginario collettivo dell’intero Occidente e nessuno osava più metterlo in discussione. 

Per questo, ribadisco che senza una personalità come quella di Disney l’America come la conosciamo oggi non esisterebbe: da un lato, specie per loro, sarebbe stato un bene, in quanto non si sarebbero mai illusi di essere più grandi di quanto realmente siano e di poter regnare incontrastati, imponendo a tutti le proprie scelte senza mai scendere a patti con nessuno; dall’altro, sarebbe stata una tragedia perché saremmo senz’altro più poveri, meno innamorati di un’idea ingenua e romantica del nostro destino che è anche la molla ottimistica che ci consente di farci forza e andare avanti nei momenti difficili.

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