Il nodo strategico di Sigonella. Interventi in Africa e nuove tecnologie militari

MESSINA – Dal 1973 è una delle stazioni aeronavali chiave per gli interventi militari USA in Europa orientale, Africa, Medio Oriente e sud-est asiatico ed una delle infrastrutture  estere che ha assorbito i maggiori investimenti da parte del Pentagono (poco meno di un miliardo di dollari negli ultimi 15 anni). Si tratta di Sigonella, la grande base dell’US Navy che sorge nella piana di Catania, oggi trampolino di lancio degli attacchi della coalizione internazionale a guida NATO contro le forze armate libiche fedeli a Gheddafi.

Congiuntamente ad un’altra base siciliana (Trapani-Birgi), Sigonella sta funzionando da vero e proprio hub per la movimentazione di uomini, mezzi e sistemi d’arma destinati allo scacchiere di guerra libico. Operano in particolare dalla stazione aeronavale gli aerei senza pilota UAV MQ-1 Predator che il Pentagono sta utilizzando per bombardare caserme, aeroporti, postazioni radar e centri di telecomunicazione. Secondo l’International Institute for Strategic Studies (IISS) di Londra, nella base siciliana sono stati schierati due squadroni dell’US Air Force con velivoli Predator. Realizzati dalla General Atomics Aeronautical Systems Inc., i velivoli misurano 8,22 metri di lunghezza, raggiungono medie altitudini (sino a 9.000 metri sul livello del mare) e hanno un’autonomia di volo di 40 ore. I sensori ottici e i sistemi di video-sorveglianza possono individuare e fotografare qualsiasi target anche in condizioni di intensa nuvolosità. Ma più che aerei spia, i Predator sono un’arma letale in grado d’intercettare ed eliminare gli obiettivi con estrema precisione grazie ai missili aria-terra a guida laser AGM-114 “Helfire” di cui sono armati.

Per le missioni d’intelligence e per dirigere gli attacchi, il Pentagono utilizza pure un altro tipo di velivolo senza pilota, l’RQ-4 Global Hawk (“falco globale”), prodotto dalla Northrop Grumman. È il “grande fratello” teleguidato che intercetta ogni movimento sospetto in aree che si estendono per migliaia di chilometri quadrati, l’anello strategico delle catene di controllo e comando delle guerre del XXI secolo, quelle a costo zero – in termini di vittime – per gli eserciti che le scatenano, e dove restano invisibili i morti, civili e militari, dei paesi che le subiscono. Di dimensioni nettamente maggiori del Predator, i “falchi globali” godono di un’autonomia di volo di circa 30 ore e possono volare a 60.000 piedi di altezza in qualsiasi condizione meteorologica. Il viceammiraglio William Gortney, in un’intervista alla stampa statunitense, ha confermato che il Global Hawk “sta fornendo una sorveglianza continua del territorio libico, eseguendo missioni di volo dalla base aerea di Sigonella”. Dopo aver ingrandito con i propri visori di bordo le immagini captate e calcolate le coordinate geografiche dei potenziali obiettivi, il grande UAV invia le informazioni ai centri di analisi terrestri e agli aerei-radar AWACS della NATO (questi ultimi operativi da Trapani-Birgi) che stabiliscono i target da bombardare con i cacciabombardieri, i missili da crociera e i Predator.

Anche se il primo dei Global Hawk è giunto segretamente solo nell’ottobre del 2010, la base di Sigonella è destinata a divenire la “capitale internazionale” di questi velivoli destinati a coordinare i futuri attacchi, convenzionali e nucleari, contro ogni possibile obiettivo nemico in tre continenti (Europa, Asia ed Africa). Stando ai piani del Pentagono, nello scalo sarà pienamente operativo entro il 2012 un plotone di 4-5 Global Hawk, mentre altri cinque velivoli saranno consegnati entro il 2015 ai reparti della Marina USA di stanza in Sicilia. Anche per questo è in avanzata fase di realizzazione un complesso per la manutenzione generale dei “falchi globali” in dotazione alle forze armate statunitensi, un programma considerato di “altissimo valore strategico” dal Dipartimento della difesa, i cui lavori sono stati appaltati alla CMC di Ravenna (Legacoop). La NATO, da parte sua, ha scelto la stazione aeronavale quale “principale base operativa” dell’Alliance Ground Surveillance – AGS, il nuovo sistema di sorveglianza terrestre dell’Alleanza atlantica. Entro il 2014 giungeranno a Sigonella 800 militari, sei velivoli Global Hawk di ultima generazione e le stazioni fisse e trasportabili progettate per supportare il dispiegamento in tempi rapidi e in qualsiasi scenario internazionale delle unità terrestri, aeree e navali della Forza di Risposta (NRF) della NATO, divenuta operativa nel giugno 2006. “Grazie all’Alliance Ground Surveillance, la NATO acquisirà una considerevole flessibilità nell’impiego della propria capacità di sorveglianza di vaste aree di territorio in modo da adattarla alle reali necessità operative”, ha dichiarato Peter C. W. Flory, vicesegretario generale NATO per gli investimenti alla difesa. “L’AGS sarà un elemento chiave per assicurare l’assunzione delle decisioni politiche dell’Alleanza e la realizzazione dei piani militari”.

Il ruolo strategico di Sigonella nelle operazioni in Libia è consacrato pure dai velivoli per il pattugliamento marittimo P-3C “Orion”, gioielli dell’intelligence navale convertiti in aerei d’attacco: la US Navy ha dotato gli “Orion” dei missili aria-superficie AGM-65 “Maverick”, ampiamente utilizzati per distruggere le imbarcazioni libiche. Sigonella offre inoltre il supporto tecnico-logistico agli aerei a decollo verticale V-22 “Ospreys”, agli elicotteri CH-46 “Sea Knight” e CH-53E “Super Stallion”, e ai cacciabombardieri F-15 ed F-16 “Fighting Falcon” che l’US Air Force ha trasferito nel Canale di Sicilia. Da Sigonella partono inoltre i ricognitori Boeing RC-135 “Rivet Joint”, i velivoli di sorveglianza elettronica EP-3E “Aries II”, quelli per il rilevamento dei segnali radar EA-18G “Growlers” e gli aerei cisterna KC-130 e KC-135 utilizzati per il rifornimento dei velivoli impegnati nei raid, compresi i cacciabombardieri strategici B-2 (gli “aerei invisibili”) giunti direttamente dalla costa orientale degli Stati Uniti d’America. Nella base sarebbero pure schierati gli aerei A-10 “Thunderbolt” e AC 130 “Spectre”, infernali strumenti di morte dell’US Air Force. Il “Thunderbolt” è armato con un cannone lungo più di sei metri, il GAU-8/ “Avenger” (vendicatore), in grado di sparare fino a 4.200 colpi al minuto. I proiettili di 30 centimetri contengono ognuno 300 grammi di uranio impoverito per perforare blindati e carri armati. Conti alla mano, ad ogni raffica l’“Avenger” disperde nell’ambiente più di 15 chili di microparticelle radioattive. Lo “Spectre”, invece, può essere dotato alternativamente di un cannone da 105 millimetri o da cannoncini da 40 e 25 millimetri con proiettili perforanti anti-carro. Sempre secondo l’International Institute for Strategic Studies sono pure presenti a Sigonella sei cacciabombardieri F-16AM dell’aeronautica danese (armati di bombe GBU-49 da 500 libbre); otto cacciaintercettori JAS-39 e un aereo cisterna Tp-84 dell’aeronautica militare svedese; due pattugliatori marittimi Lockheed CP-140 “Aurora” (con missili MK-46 Mod V), canadesi; sei caccia F-16C e un aereo cisterna Boeing KC-135 “Stratotanker” dell’aeronautica militare turca.

L’African Connection della base USA di Sigonella non passa però solo dal conflitto libico. Organismi, reparti e mezzi di stanza in Sicilia operano da tempo remoto nel continente nero. Ufficiali del Naval Criminal Investigative Service (NCIS) vengono impegnati nell’addestramento “in tecniche di sicurezza marittime e portuali” dell’Africa Partnership Station (APS), la forza multinazionale che gli Stati Uniti hanno promosso con numerosi paesi dell’Africa occidentale e centrale. La maggior parte delle operazioni di rifornimento armi, munizioni e carburante delle unità impegnate in esercitazioni in ambito APS sono coordinate dal Naval Supply Center (NAVSUP) “Echelon IV”, il centro della US Navy che coordina da Sigonella la logistica dei reparti statunitensi nell’area mediterranea e mediorientale. Ufficiali della Combined Task Force 67 – CTF-67, partecipano invece alle sempre più numerose esercitazioni congiunte USA-forze armate africane. Il CTF-67 è il comando che sovrintende le operazioni nel Mediterraneo delle forze aeree della Marina militare ed è stato trasferito da Napoli a Sigonella nell’ottobre 2004 proprio per rafforzare la sua proiezione in Africa.

Il fiore all’occhiello delle nuove politiche interventiste USA nel continente è però rappresentato dalla Joint Task Force JTF Aztec Silence, la forza speciale creata dal Dipartimento della difesa per condurre missioni d’intelligence, sorveglianza terrestre, aerea e navale, nonché vere e proprie operazioni di combattimento in Africa settentrionale ed occidentale. Il generale James L. Jones, al tempo comandante delle forze armate USA in Europa (Eucom), in un’audizione davanti alla sottocommissione difesa del Senato (1 marzo 2005), ha spiegato che JTF Aztec Silence è stato istituita nel dicembre 2003 “per contrastare il terrorismo transnazionale nei paesi del nord Africa e costruire alleanze più strette con i governi locali”. “A sostegno di JTF Aztec Silente – ha aggiunto il gen. Jones – le forze d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) della US Navy basate a Sigonella, Sicilia, sono state utilizzate per raccogliere ed elaborare informazioni con le nazioni partner. Questo robusto sforzo cooperativo ISR è stato potenziato grazie all’utilizzo delle informazioni raccolte dalle forze nazionali locali”.

Alla Joint Task Force Aztec Silence sono attribuite in particolare le missioni della Operation Enduring Freedom – Trans Sahara (OEF-TS), il complesso delle operazioni militari condotte dagli Stati Uniti e dai suoi partner africani nella vasta area del Sahara-Sahel. Per OEF-TS le forze armate USA hanno potuto contare sino ad oggi sulla collaborazione di ben undici paesi: Algeria, Burkina Faso, Libia, Marocco, Tunisia, Ciad, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria e Senegal. Più propriamente, OEF-TS è la componente militare della più ambiziosa Trans Sahara Counter Initiative (TSCTI), il piano a lungo termine degli Stati Uniti d’America per “prevenire i conflitti” nella regione, “attraverso un’ampia gamma di strumenti politici, economici e per la sicurezza”. All’iniziativa trans-sahariana sono stati destinati circa 100 milioni all’anno dal 2009 al 2013. Sino al dicembre 2007, la JTF Aztec Silence si basava sullo sforzo operativo di differenti squadroni di pattugliamento aereo della US Navy che venivano trasferiti in Sicilia per periodi di circa sei mesi da basi aeronavali statunitensi. In seguito, il Comando centrale degli Stati Uniti ha istituito il Patrol Squadron Sigonella (Patron Sig), assegnando in pianta stabile in Sicilia uomini e mezzi provenienti da tre differenti squadroni (VP-5, VP-8 e VP-16), più il personale del Consolidated Maintenance Organization di Jacksonville (Virginia), addetto alla manutenzione dei velivoli. L’elemento strategico per “individuare, attaccare e colpire” gli obiettivi nemici è rappresentato dall’aereo radar P-3C “Orion, nato per il pattugliamento marittimo e la guerra antisottomarini, ma che a partire dagli anni ‘90 è stato orientato sempre di più alle attività ISR e alla cosiddetta “lotta al terrorismo”, l’eufemismo di Washington per giustificare i programmi di guerra globale. Come abbiamo visto, oggi l’“Orion è anche un efficace strumento per bombardare obiettivi civili e militari in Libia.

Con la costituzione di AFRICOM, il comando USA per le operazioni terrestri, aeree e marittime nel continente africano, sta ulteriormente crescendo il traffico aereo a Sigonella, specie dei velivoli che trasportano i reparti e i mezzi statunitensi destinati ai teatri più “caldi” del nord Africa e dell’Africa sub-sahariana. Una sfida, quella rappresentata dalle nuove missioni nel continente, che ha costretto gli strateghi dell’Air Mobility Command (AMC), l’alto comando per la mobilità aerea, a pianificare investimenti multimilionari per potenziare le grandi infrastrutture militari presenti nell’area mediterranea. Secondo quanto pubblicato il 25 marzo 2008 dal quotidiano delle forze armate USA, Stars and Stripes, per rispondere ai bisogni di AFRICOM “sarà necessario che una parte del personale dell’Air Mobility Command ospitato in Gran Bretagna e Germania venga trasferito in alcune basi d’Italia, Spagna e Portogallo”. Il generale Duncan J. McNabb, la più alta autorità militare nel settore del trasporto aereo statunitense, in un’intervista rilasciata al periodico Air Forces Magazine (novembre 2008), ha spiegato che “per assicurare il successo dell’intervento in Africa”, è indispensabile “sviluppare le infrastrutture delle basi chiave, come Lajes Field, l’isola Ascensione nell’Atlantico e Sigonella, Sicilia”. “L’Air Mobility Command – ha aggiunto McNabb – sta lavorando con il comando dell’US Air Force in Europa per trasferire in queste installazioni, dalla base aerea di Ramstein, Germania, il traffico aereo di AFRICOM”.

I sempre più numerosi arrivi nella base siciliana dei giganteschi aerei cargo dell’US Air Force, congiuntamente al dispiegamento dei velivoli senza pilota del tipo Global Hawk e Predator, rischiano di rendere ancora più sovraffollati gli spazi aerei della Sicilia e di buona parte del sud Italia, con prevedibile peggioramento delle condizioni di sicurezza per il traffico civile e le popolazioni che vivono nelle aree vicine all’installazione aeronavale. Sono in particolare gli UAV a porre pesanti interrogativi sui pericoli futuri, ma le ripetute denunce degli attivisti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella non hanno condotto sino ad oggi a un serio dibattito pubblico sui rischi di questi sistemi a controllo remoto per le attività di decollo e atterraggio del vicino aeroporto civile di Catania-Fontanarossa, il terzo scalo in Italia come volume di passeggeri (oltre sei milioni di transiti all’anno). Diversamente era andata invece in Spagna, dove le autorità statali che in un primo tempo avevano candidato Zaragoza come “principale base operativa” del sistema AGS in alternativa a Sigonella, si erano poi ritirate perché “l’installazione dei velivoli senza pilota presentava molti inconvenienti al normale funzionamento del vicino aeroporto della città”, come dichiarato dal portavoce del governo Zapatero. “Dato che le aeronavi della NATO voleranno continuamente per catturare le informazioni, si potevano generare restrizioni al traffico aereo, saturazione nello spazio aereo e problemi durante gli atterraggi e i decolli”.

Sui pericoli rappresentati dalla proliferazione degli UAV non mancano gli studi e gli interventi scientifici anche dall’altra parte dell’Oceano. Nel documento The U.S. Air Force Remotely Piloted Aircraft and Unmanned Aerial Vehicle – Strategic Vision, in cui l’aeronautica militare statunitense delinea la “visione strategica” sul futuro utilizzo dei sistemi di guerra, si ammette che “i velivoli senza pilota sono sensibili alle condizioni ambientali estreme e vulnerabili alle minacce rappresentate da armi cinetiche e non cinetiche”. “Il rischio d’incidente del Predator e del Global Hawk è d’intensità maggiore di quello dei velivoli con pilota dell’US Air Force”, si legge ancora, anche se si aggiunge essere “al di sotto dei parametri stabiliti nei documenti di previsione operativa per questi sistemi”. Il comandante Renzo Dentesano, pilota per quarant’anni dell’Aeronautica militate e di Alitalia (poi consulente del Registro aeronautico italiano e perito per diverse Procure della repubblica e studi legali in procedimenti relativi ad incidenti aerei) spiega che Global Hawk e Predator “non risultano in grado di assicurare l’incolumità del traffico aereo civile”, perché “sono stati progettati in modo tale che, pur disponendo a bordo di un sensore capace di “vedere”, secondo il principio ICAO di see and be seen, altro traffico in volo con il quale la loro traiettoria potrebbe interferire, non hanno la capacità completa di rispettare l’altro principio sul quale si basa la sicurezza dell’aviazione civile e cioè il protocollo see and avoid – vedi ed evita il traffico a rischio di collisione”. Per Dentesano, cioè, gli UAV “non sono in grado di variare la loro traiettoria di volo in senso verticale, salendo o scendendo di quota, come la situazione per evitare una collisione prontamente richiederebbe”.

Queste problematiche sono note alle autorità militari italiane. Durante un’ispezione compiuta nella base siciliana (31 marzo 2008) dal parlamentare di Sinistra Critica-PRC, Salvatore Cannavò, l’allora comandante del 41° Stormo dell’Aeronautica militare, colonnello Antonio Di Fiore, aveva negato l’ipotesi d’insediamento a Sigonella dei Global Hawk in quanto “la gestione di quel tipo di aerei non è compatibile col traffico civile del vicino aeroporto civile Fontanarossa”. Senza poi dimenticare che i velivoli decollano e atterrano a pochi chilometri in linea d’area dal cosiddetto “triangolo della morte” Augusta-Melilli-Priolo dove imperversano impianti chimici, raffinerie, depositi di carburante e munizioni per le unità navali USA e NATO, compresi i sottomarini e le portaerei a capacità nucleare.

Che Sigonella e dintorni siano ad altissimo rischio militare lo conferma la lunga lista d’incidenti verificatisi in questi anni: collisioni in volo, velivoli precipitati al suolo o nelle acque del basso Tirreno, atterraggi di fortuna su campi e strade siciliane, ecc.. Il peggiore dei disastri risale a ventisette anni fa. Il 12 luglio 1984, un quadrigetto C141B “Starlifter” dell’US Air Force precipitò in contrada Biviere, nel comune di Lentini (Siracusa), e nell’incidente morirono i nove membri dell’equipaggio. I militari statunitensi vietarono il soccorso ai mezzi locali e impedirono che giornalisti e fotoreporter si avvicinassero all’area. Massimo fu il riserbo sul carico trasportato dal velivolo e il segreto militare fu esteso pure alle cause di incidente. Per una quarantina di giorni, la strada statale 194 che collega Catania a Ragusa fu interdetta al traffico veicolare. Solo a seguito di uno studio del colonnello dell’US Air Force Paul M. Hansen sugli incidenti con oggetto i C141B (ottobre 2004), la Flight Safety Foundation di Washington ha pubblicato sul proprio data base una scheda di quanto accaduto a Lentini. La fondazione segnala che la destinazione del volo era la base aeronavale di Diego Garcia, Oceano indiano. “Immediatamente dopo il decollo da Sigonella – si legge nel report – il motore n. 3 del velivolo accusava una grave avaria. Il motore iniziava ad emettere dei rottami che causavano il danneggiamento del motore n. 4. I rottami entravano pure all’interno del compartimento di cargo, incendiando un pallet contenente vernici. L’incendio alle merci trasportate produceva uno spesso fumo velenoso che rendeva il controllo visivo dell’aereo estremamente difficoltoso. L’aereo finiva su un ripido terrapieno ed esplodeva ad appena 198 secondi dal decollo. Gli esami tossicologici effettuati dopo l’incidente indicavano che i membri dell’equipaggio avevano ricevuto potenzialmente livelli fatali di cianuro dal fumo assorbito prima dell’impatto”.

Dopo più di vent’anni, la Procura della Repubblica di Siracusa ha aperto un’inchiesta sull’incidente di Lentini facendo seguito alla denuncia dell’Associazione per bambini leucemici “Manuela e Michele” sull’altissimo tasso di malformazioni congenite e l’anomalo aumento di patologie leucemiche, tumori al cervello e alla tiroide, registrati tra il 1992 e il 1995 nel comprensorio dei comuni di Lentini, Carlentini e Francofonte. Secondo il Registro Tumori della Usl di Siracusa, infatti, il tasso di mortalità in quest’area è tre volte maggiore che nel resto d’Italia. A legare la vicenda del C-141B e lo sviluppo delle patologie oncologiche, l’ipotesi che a bordo del velivolo USA ci fosse un carico di centinaia di chili di uranio impoverito, utilizzato ancora sino a qualche tempo fa come contrappeso degli aerei da trasporto dell’US Air Force e di altri paesi NATO.

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