Corruzione. Una anomalia tutta italiana

ROMA – Abbiamo tutti gli elementi necessari per lottare adeguatamente contro la corruzione. C’è una storia d’Italia, di cui sono da un pò di tempo un modesto insegnante e cultore, da cui risulta con chiarezza che fin dall’unità nazionale (che conta ormai centocinquantadue anni di tempo) le “bustarelle” fanno impennare del 40 per cento il costo delle grandi opere (lo ha detto Nottola, procuratore generale della Corte dei Conti) e la Confederazione Generale degli Artigiani di Mestre ha sottolineato, le infrastrutture strategiche proposte  dal governo Monti pesano, per questa ragione, di 93 miliardi in più sui relativi lavori.

Sicchè ad ogni italianiano costa 1543 euro in più del dovuto. L’accenno del nostro pontefice Francesco I qualche giorno fa sulla piaga della corruzione è stato, nello stesso tempo, un atto di coraggio ma anche una spietata denuncia della invasione crescente di un morbo che potrebbe alla fine uccidere la nostra repubblica.

In meno di vent’anni l’Italia è passata dal 33mo posto nella classifica mondiale per la corruzione al 72 posto, uno sotto la Bosnia Erzegovina e otto posti sotto il Ghana. In un paese nel quale le condanne per corruzione si concludono di solito con un buffetto del giudice: il 98 per cento con meno di due anni di carcere secondo uno studio del 2007 del noto sostituto procuratore Piero Davigo con l’aiuto di Grazia Mannozzi. Uno studio che ci fa vedere la distanza enorme che si separa per civiltà (non per livello economico) dall’esempio americano che viene spesso citato. Ma chi lo fa, ricorda che noi siamo noti in tutto il mondo per il clientelismo, la corruzione, l’assenza di senso dello Stato e la competività che caratterizzano i paesi più avanzati del vecchio continente e gli Stati Uniti. Dimenticano ad arte che due famosi imputati statunitensi, il deputato californiano Randy “Duke” Cunningham (pur eroe nazionale per essere stato al centro del film Bestseller Top Gun) e il governatore dell’Illinois George Ryan (candidato al Nobel della pace per la sua avversione alla pena di morte,) sono stati condannati rispettivamente a otto anni il primo e sei anni e mezzo il secondo. Il successore di George Ryan, Rod Blangevitch che cercò di vendersi il suo seggio di senatore lasciato libero da Barack Obama a Chicago addirittura  è stato condannato a quattordici anni. Un dossier della Confederazione degli industriali del 2012 spiega come gli investimenti siano precipitati del 2% per cento spalmato in tutto il pianeta e a un misero 1,7 per cento in Italia negli anni del populismo trionfante che vanno dal 2007  al 2011. Il fenomeno, come sempre, è ancora più grave nel Mezzogiorno (nè si capisce perchè i nostri editori non vogliano in nessun modo confrontarsi con i problemi sempre più gravi del divario tra il Nord e il Sud, come se le favole fossero più piacevoli della realtà!).

Di tutti i soldi stranieri che arrivano in Italia quelli investiti in Campania, quella martoriata dalla diossina che i casalesi hanno sparso su gran parte del territorio, come ha dimostrato la confessione di Carmine Schiavone detto Sandokan, in Puglia sono stati l’0,8%, in Sardegna l’0,6% in Sicilia l’0,4%, in Calabria, in Basilicata l’0,1%. Risultato finale, come ha scritto il Corriere della Sera ieri 9 novembre, tutto il Sud messo insieme non ha raccolto che il 5,3 per cento degli investimenti stranieri. Di qui c’è da stupirsi se le classifiche mondiali (come la classifica nel 2010 del “Quality of Government Institute) pone le nostre regioni tra 172 regioni europee, come le più corrotte?

Nè si può dire che la legge Severino, oggi odiata dai berlusconiani per la scadenza del 27 novembre prossimo in cui l’uomo di Arcore  potrebbe decadere dalla carica di senatore, o altri provvedimenti presi successivamente riescano a combattere quella che americani e nord europei indicano come “l’anomalia italiana”. La verità che i mali italiani, messi tutti insieme, favoriscono in ogni modo i metodi mafiosi e la loro presenza sempre più forte anzitutto nella società politica ma – diciamolo con la necessaria prudenza – anche in tutta la società civile del nostro bel paese.

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