Napolitano e il dovere della democrazia

ROMA – Una tragedia, l’ennesima, al largo delle coste della Tunisia. Con un macabro balletto di cifre sui morti in mare, 150 corpi sono stati ritrovati sulle spiagge tunisine dopo l’affondamento di un barcone a largo dell’isola di Kerkennah.

Si tratta «di uno degli incidenti più gravi e drammatici in termini di vittime quest’anno nel Mediterraneo» dice Carole Laleve, dirigente dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati.
Il barcone è naufragato la notte fra martedì e mercoledì a una ventina di chilometri dall’isola tunisina, a bordo soprattutto profughi libici in fuga dalla guerra, probabilmente diretti in Italia.
“Sono cifre davvero inquietanti – commenta Laura Boldrini, portavoce in Italia dell’Acnur (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) – che rappresentano una sorta di guerra nella guerra. Una strage che dovrebbe essere con tutti i mezzi evitata, attraverso più sforzi nell’azione di monitoraggio e soccorso da parte di tutti coloro che operano nel Mediterraneo”.

 

A dar man forte alle dure parole della Boldrini, il ministro dell’Interno italiano, Roberto Maroni, il quale ha richiamato per l’ennesima volta l’Unione europea a fare la sua parte sul tema immigrazione.
«Se l’Europa non fa nulla, a ottobre si rischia uno scenario dieci volte peggiore di quello attuale» ha detto il titolare del Viminale in un incontro al Festival dell’economia a Trento. L’Europa sta a guardare – sostiene Maroni – e non sa fare altro che mandare bombe sulla Libia. Serve aiutare la creazione della pace, di Governi stabili, per avere poi opportunità d’investimento e di infrastrutture».
Il ministro ha ammesso senza indugi che di fronte all’ultima tragedia davanti alle coste tunisine «si prova dolore e un senso di impotenza. È gente partita dalla Libia su un barcone che poi per le correnti si è spostato verso la Tunisia ed è naufragato. L’unico modo per evitare questa ecatombe sarebbe stato non farli partire».
E ribadisce «la richiesta alla comunità internazionale di passare dalle armi alla diplomazia per evitare simili tragedie».

 

Pochi giorni dopo il tragico evento, Claudio Magris, studioso di letteratura mitteleuropea e collaboratore per il Corriere della Sera, riporta sulle pagine del quotidiano una lunga riflessione sull’accaduto, mettendo in discussione sia i valori sia gli ideali umanitari tanto decantati nei salotti, e non solo.
Riportiamo alcuni stralci dell’articolo: «Su alcuni giornali, duecento morti o dispersi in mare come quelli dell’altro ieri, in una fuga della disperazione, non finiscono neppure più in prima pagina, scivolano in quelle seguenti fra le notizie certo rilevanti ma non eclatanti.
Le tragedie odierne dei profughi in cerca di salvezza o di una sopravvivenza meno miserabile che periscono, spesso anonimi e ignoti, in mare non sono meno dolorose, ma non sono più un’eccezione sia pur frequente, bensì una regola.
Diversamente da altri casi, in cui l’indifferenza o la livida ostilità si accaniscono sullo straniero, sul miserabile, su chi ci è etnicamente o socialmente diverso, in questa circostanza la nostra insensibilità non nasce dalla provenienza e dall’identità a noi ostica di quelli annegati.
Nasce dalla ripetizione di quei drammi e dall’inevitabile assuefazione che ne deriva.  
L’assuefazione – alla droga, alla guerra, alla violenza – è la regina del mondo. «Bisogna pur vivere – si dice in un romanzo di Bernanos – ed è questa la cosa più orribile». Forse una delle più grandi miserie della condizione umana consiste nel fatto che perfino il cumulo di dolori e disgrazie, oltre una certa soglia, non sconvolge più. … uomini da noi mai visti e non concretamente amati sono altrettanto reali.  
Sta qui la differenza tra il pensiero reazionario e la democrazia. Il reazionario facilmente irride l’umanità astratta e l’astratto amore ideologico per il genere umano.
La democrazia – schernita come fredda e ideologica – è invece concretamente poetica, perché sa mettersi nella pelle degli altri, come Tolstoj in quella di Anna Karenina, e dunque pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare».

 

Unico interlocutore ufficiale il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale in una lettera aperta al Corriere della Sera mette in grande evidenza la questione sollevata dal giornalista. Anche qui riportiamo alcuni stralci di quanto scritto:
«Caro Magris, lei ha dolorosamente ragione. Tocca noi tutti. Di fronte alla tragedia dei tanti migranti inghiottiti dal mare, l’indifferenza è un rischio da scongiurare e per questo occorre reagire moralmente e politicamente. L’assuefazione alle tragedie dei «profughi in cerca di salvezza o di una sopravvivenza meno miserabile» che periscono in mare.
Le notizie relative sono sparite dai giornali e dai telegiornali prima ancora che si sapesse qualcosa di più sull’accaduto. E con eguale rapidità è sembrata cessare la nostra inquietudine per un fatto così atroce.
Ma se in qualche modo è istintiva l’assuefazione, è fatale anche che essa induca all’indifferenza? A me pare sia questa la soglia che non può e non deve essere varcata. Se è vero, come lei dice, che la democrazia è tale in quanto sappia «mettersi nella pelle degli altri, pure in quella di quei naufraghi in fondo al mare», occorre allora scongiurare il rischio di ogni scivolamento nell’indifferenza, occorre reagire con forza – moralmente e politicamente – all’indifferenza.
Ma è un crimine che si chiama «tratta» e «traffico» di esseri umani, ed è come tale sanzionato in Europa e perfino a livello mondiale con la Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite nel 2000.
Stroncare questo traffico, prevenire nuove, continue partenze per viaggi della morte (ben più che «viaggi della speranza») e aprirsi – regolandola – all’accoglienza: è questo il dovere delle nazioni civili e della comunità europea e internazionale, è questo il dovere della democrazia.
La ringrazio, caro Magris, per la sua sollecitazione: che ho sentito come rivolta anche a me, come rivolta, di certo, a tutti gli italiani».

 

L’analisi del giornalista-scrittore è senza dubbio un vero j’accuse che non si limita alle sole “poltrone” e/o ai vari “intelletuali” (silenziosi come non mai e ai quali si chiedeva invece di alzare la voce, occasione persa, peccato!); è uno j’accuse che entra nelle case di ogni singolo cittadino, che penetra, o dovrebbe penetrare, nelle coscienze (?) di ciascun cittadino.
Qui si inscena il vero dramma, dicono Magris e Napolitano: dove è finita la coscienza? È veramente possibile assuefarsi alle notizie e al dolore che esse portano e provocano? L’indifferenza è figlia dell’assuefazione? La velocità delle notizie non da forma e sostanza alle nostre coscienze di prendere atto degli eventi? È credibile questa risposta? Che sia semplicistico e/o banale non cambia la sostanza del risultato, ovvero il totale silenzio e abbandono dalla notizia, – trasmessa come una qualsiasi notizia di cronaca – da parte dell’opinione pubblica; ma se la morte non crea più in noi alcun effetto, cosa in noi ha ancora sembianze di onorabilità per la com-partecipazione alla vita altrui? Se gli “Altri” rimangono tali significa che vengono meno i nostri doveri? E i diritti che richiediamo nei confronti di questi altri che fine fanno? Se vivere-per-gli-altri diventa quindi un mero sofisma siamo nel pieno essere nichilistico? È qual è il compito della democrazia? Caro Magris, lei ha perfettamente ragione. Avere un “Nome” aiuta nel presunto riconoscimento – degli altri, degli Illustri – ma non aiuta, di certo, un intero sistema fondato altresì sull’indifferenza verso le vite-degli-altri. Forse perché si dimentica, troppo spesso, che tutti noi abbiamo un Nome, il nostro nome-per-gli-altri, non solo per noi e i nostri cari. D’altronde le lacrime sono uguali per tutti, ma questo è affare per pochi! Ahimè…

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