La direttiva Ue sulla tutela penale ambientale: un’occasione persa per l’Italia
ROMA – Lo schema di decreto legislativo con cui, ad aprile, il governo ha dato seguito all’obbligo imposto dall’Unione europea di tutelare penalmente l’ambiente rappresenta un’occasione mancata per una “riforma di civiltà”: inserire nel codice penale i delitti contro l’ambiente.
I limiti della nostra legislazione ambientale sono stati oggetto, oggi a Roma, di una conferenza stampa che ha visto la partecipazione di Pietro Grasso (Procuratore nazionale Antimafia), Vittorio Cogliati Dezza (presidente nazionale Legambiente), Roberto Della Seta (commissione Ambiente Senato), Francesco Ferrante (commissione Ambiente Senato), Enrico Fontana (responsabile Osservatorio Ambiente e legalità di Legambiente).
Il nostro Paese sconta, infatti, fenomeni di ecomafia e di criminalità ambientale gravissimi e il recepimento delle direttive 2008/99 e 2009/123 avrebbe potuto essere l’occasione per porre rimedio alla situazione attuale di norme solo contravvenzionali, sparse in diversi testi unici, codici, decreti legislativi, e per disciplinare con pene efficaci, proporzionate e dissuasive, come richiesto dall’Europa, alcune fattispecie specifiche e ben individuate. Tra queste: i delitti ambientali in forma organizzata, l’inquinamento ambientale, il danno ambientale e pericolo per l’incolumità pubblica, il disastro ambientale, l’alterazione del patrimonio naturale (flora e fauna), il traffico illecito di rifiuti, la frode ambientale, il ravvedimento operoso.
Ma nel testo approvato di tutto ciò non c’è traccia e i reati ambientali continuano a rientrare tra le contravvenzioni, con sanzioni scarsamente deterrenti, tempi di prescrizione bassissimi, l’impossibilità di usare adeguati strumenti investigativi e di chiedere rogatorie internazionali. Il provvedimento evita all’Italia di incorrere in un’ennesima procedura d’infrazione, senza, però, cogliere appieno lo spirito della direttiva europea.
“Una riforma efficace sarebbe quella che prevede pene reclusive crescenti in base alla gravità degli illeciti, dal danno ambientale al delitto di ecomafia o di frode ambientale – ha dichiarato il presidente di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. A fronte della sistematica aggressione al nostro patrimonio ambientale è stata elaborata, invece, una legislazione penale blanda, inefficace e priva di fattispecie delittuose. Così come lascia perplessi la mancata condivisione dell’iter di recepimento con associazioni, forze dell’ordine, magistrati e tutti coloro che si confrontano ogni giorno con i limiti di questa normativa”.
Per il reato di discarica abusiva, ad esempio, è previsto l’arresto da tre mesi a due anni (misura cautelare praticamente mai applicata) e una “ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro”. Chi ‘cagiona l’inquinamento del suolo, del sottosuolo, delle acque superficiali o delle acque sotterranee con il superamento delle concentrazioni soglia di rischio (quindi sostanzialmente avvelena l’ambiente) rischia l’arresto da sei mesi a un anno e l’ammenda da duemilaseicento a ventiseimila euro, se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente. Ed è chiaro che a chi inquina converrà pagare questa piccola sanzione pecuniaria, piuttosto che sostenere i costi altissimi – circa 200.000 euro a metro quadrato – per la bonifica del territorio. Stesso discorso per l’immissione in atmosfera di sostanze inquinanti di natura industriale in ambiente che, per una lunga serie di casi, è punibile al massimo con un’ammenda di 1.032 euro o scarico di acque reflue industriali per cui si rischia di pagare al massimo 52.000 euro. Cifre molto modeste che non fungono da deterrente per aziende che fatturano milioni di euro, e che il recente schema di decreto approvato dal governo non ha modificato.
La sola novità degna di rilievo è l’introduzione nel nostro ordinamento della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, che finalmente saranno chiamate a rispondere con il proprio capitale per i reati ambientali. A questo proposito, Legambiente si è rivolta a Confindustria per proporle di lavorare insieme affinché il decreto legislativo venga modificato: sia escludendo le violazioni meramente formali dall’estensione della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, sia introducendo nel codice penale i delitti contro l’ambiente al posto delle attuali contravvenzioni.
La direttiva 2008/99, inoltre, non prevede nulla per i reati nell’ambito del ciclo del cemento. Così la legislazione italiana, non elaborando niente di specifico, lascia senza un’adeguata tutela il paesaggio e la fragilità geomorfologia e urbanistica dei territori, mentre tutela chi costruisce abusivamente, ex novo o parzialmente, perché non punibile con la reclusione. Per chi realizza cave illegalmente l’ammenda massima rimane infatti di 1.032 euro, mentre per l’abusivismo edilizio l’unico deterrente è costituito dall’eventuale demolizione, evento, peraltro, eccezionale.