Wikileaks: Pop Machine o giornalismo politico?

In uscita il nuovo libro di Charlie Beckett, storico giornalista della BBC e del Guardian, e professore alla London School of Economics.
LONDRA – Trasparenza per la democrazia. Ovvero controllare il potere per la libertà di potere. E se il re è nudo, poco importa se Assange sia nel frattempo diventato un’icona pop: il cablogramma ha ristabilito la verità e nella rete (è proprio il caso di dire) è finito il giornalista con tutto il suo taccuino.

Così i tipi di Polity, un’importante casa editrice internazionale, pubblicheranno in autunno il nuovo libro di Charlie Beckett, giornalista del Guardian e professore alla London School of Economics, sul significato del fenomeno Wikileaks. Ovvero su cosa il giornalismo è o sta diventando, precisa l’autore. Perché, secondo lui, la domanda madre è: “Invece di chiederci se Wikileaks sia giornalismo o meno, che tipo di giornalismo Wikileaks sta creando?”.
Beckett spiega infatti che Internet e le news in rete stanno cambiando il concetto di notizia in sé. Potrebbe essere un cambiamento molto profondo di un semplice riadattamento della struttura dell’industria dei media.
Le news intese come cronaca dei fatti non sono più controllate dal giornalismo: capita sempre di più, in realtà, che vengano prodotte da cittadini connessi e che i giornalisti invece agiscano come semplici curatori e facilitatori piuttosto che come reporter, analisti o investigatori come è stato finora.
La ragione è copernicana: potenzialmente, un evento può essere istantaneamente reso visibile e trasmesso da qualcuno in qualsiasi posto si trovi. E proprio questa perdita di controllo sul flusso delle notizie ha messo in discussione il tradizionale discorso giornalistico.

In un’anticipazione della sua ricerca leggiamo: “Wikileaks è un esempio di questa nuova forma di giornalismo che sta emergendo e rimodulando l’ecologia dell’informazione e la natura della notizia in sé. Per esempio, la classica idea di obiettività o imparzialità costruita negli anni dei mezzi di comunicazione di massa nel 19simo e 20simo secolo sta cominciando a essere sostituita con la nozione di responsabilità e interattività”.

Il ragionamento di Beckett non fa una piega soprattutto se capita di fare un salto nel libro dell’ex portavoce di Wikileaks, Daniel Domscheit-Berg, Inside Wikileaks. My time with Julian Assange at the World’s Most Dangerous Website. “Per rimanere imparziali” scrive Daniel “il nostro desiderio di trasparenza doveva diventare un principio blindato. Altrimenti, saremmo potuti essere accusati di soggettività o parzialità nella scelta di ciò che pubblicavamo”.

Si apre dunque un nuovo filone nel modo di fare giornalismo politico? Di certo emerge un nuovo modello, quello del “networked data journalism”: indipendente, no profit, basato sui contenuti user generated, ideologico, che lavora con i media mainstream, che condivide materiale in rete e che è supportato dal pubblico. Ma fino a quando durerà, si chiede Beckett? Resterà indipendente?
In un recente studio dell’Unesco infatti l’uso di internet come la maggiore fonte di informazione solleva importanti quesiti sul futuro dei media, sui modelli di business sostenibili ma più in generale sui modi più opportuni per difendere la libertà di stampa: il giornalismo è un bene pubblico e se è vero che Wikileaks ha squarciato un velo si solleva comunque un problema di indipendenza editoriale che non può essere sottovalutato.

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