Cambiamenti climatici, cementificazione, sconsiderata gestione del territorio, mancanza di una efficace politica di prevenzione. Cogliati Dezza: “L’emergenza ci costa 875 mila euro ogni giorno, eppure non si trovano le risorse per un piano di prevenzione programmato”. Legambiente lancia il Servizio volontario per la prevenzione del rischio idrogeologico: tre mesi dedicati alla formazione dei giovani per prevenire e fronteggiare le emergenze
ROMA – 00 millimetri d’acqua in sole 13 ore sulla città di Genova, 366 millimetri di pioggia in un giorno sul territorio della Lunigiana, 500 millimetri a Brugnato in provincia di La Spezia. “Eventi estremi, certamente, ma non più eccezionali perché solo negli ultimi due anni si sono succedute ciclicamente piogge di eguale se non superiore intensità su tutto il territorio italiano – ha dichiarato il presidente nazionale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza -. Una gestione sbagliata del territorio e la scarsa considerazione delle aree considerate ad elevato rischio idrogeologico, la mancanza di adeguati sistemi di allertamento e piani di emergenza per mettere in salvo la popolazione, insieme ad un territorio che non è più in grado di ricevere precipitazioni così intense, sono i fattori che hanno trasformato un violento temporale in tragedia. Crediamo sia necessario lanciare un piano di prevenzione complessivo, che contempli le operazioni di messa in sicurezza delle zone a rischio, le delocalizzazioni degli edifici nelle aree golenali, la manutenzione del territorio ma anche e soprattutto la formazione dei cittadini. I cambiamenti climatici in atto ci obbligano infatti, a cambiare approccio e a non considerare più questi eventi come eccezionali ed è per questo che abbiamo deciso di organizzare una grande campagna di Servizio volontario per la prevenzione del rischio idrogeologico. Tre mesi dedicati alle attività utili per prevenire e intervenire utilmente in caso di emergenza, per fare manutenzione leggera del reticolo idrografico, educare la popolazione su come deve comportarsi in questi casi, organizzare esercitazioni”.
In tema di emergenza, al momento per l’area di Genova si parla di oltre duecento milioni di danni e anche l’isola d’Elba ha chiesto lo stato di calamità. Intanto per il disastro nelle aree della Lunigiana e nella provincia di la Spezia del 28 ottobre scorso, il Governo ha stanziato 65 milioni di euro. Una somma che si aggiunge alle centinaia di milioni di euro stanziati negli ultimi anni per fronteggiare i disastri causati da frane e alluvioni nel Paese. Il bilancio delle emergenze dalla colata di acqua e fango che ha travolto nell’ottobre 2009 Giampilieri e Scaletta Zanclea (Messina), agli ultimi eventi in Lunigiana e nella provincia di La Spezia è di circa 640 milioni di euro, ovvero 875mila euro spesi ogni giorno. In contrasto con questo continuo stanziamento di fondi per le emergenze c’è la totale assenza di risorse per mettere in pratica il piano straordinario di prevenzione programmato dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare negli ultimi anni. Un piano che prevede lo stanziamento di 2,5 miliardi di euro tra fondi statali e regionali, che ancora oggi tarda a partire per via dei tagli delle recenti manovre finanziarie che hanno azzerato anche il miliardo di euro messo a disposizione a fine 2009 per la difesa del suolo e la mitigazione del rischio idrogeologico. Una scelta in palese contrasto con le esigenze di sicurezza e di prevenzione di cui invece ha sempre più bisogno il nostro Paese.
Un paese dove ogni anno si perdono 500 km2 di superficie naturale, rurale o agricola trasformati in cemento, edifici e nuove infrastrutture, dove in dieci anni c’è stata una perdita della superficie agricola utilizzata pari a 300 mila ettari (censimento Istat).
“Se osserviamo le aree vicino ai corsi d’acqua – ha dichiarato Giorgio Zampetti, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente – è evidente l’occupazione crescente delle zone di espansione naturale con abitazioni, quartieri, scuole o industrie. Un’incontrollata urbanizzazione che negli anni ha aggravato il rischio idrogeologico in tutto il Paese. Per affrontare il problema occorre una reale inversione di tendenza che metta al centro interventi di delocalizzazione dei beni esposti a frane e alluvioni, la tutela dei corsi d’acqua e il ripristino dei loro spazi, come elemento per coniugare la valorizzazione dell’ambiente e la sicurezza delle persone. Gli eventi di questi giorni inoltre, confermano che la prevenzione deve essere accompagnata dall’attuazione di una politica attiva di convivenza con il rischio, attraverso sistemi di previsione delle piene e di allerta e piani di protezione civile aggiornati, testati e conosciuti dalla popolazione”.
Genova
Nella città di Genova oltre 100mila persone, 1 abitante su 6, vivono o lavorano in aree ad elevato rischio idrogeologico. Solo un anno fa Sestri Ponente, a pochi chilometri dal centro di Genova, è stata colpita da un’alluvione che ha coinvolto i rii di questa parte della città. Il fango ha sfondato vetrine e portoni, prelevando e trascinando tutto con sè. Un uomo è stato travolto dalla corrente. Ad un anno di distanza, venerdì 4 novembre 2011, la città è stata nuovamente sconvolta dalla furia dell’acqua con conseguenze disastrose e drammatiche. Alla base di tutto ci sono le piogge fortissime che hanno colpito l’area genovese, con un picco di 300 mm misurati in sole tredici ore nel bacino del Rio Fereggiano. Le conseguenze peggiori si sono avute dove il Ferreggiano si immette nell’ultima copertura, quella che lo farà sfociare direttamente nel Bisagno, passando sotto la via, attraversando Corso De Stefanis, percorrendo Via Monticelli per oltre 700 metri.
L’area colpita non è nuova a simili disastri, visti gli eventi che nel 1970 causarono la morte di 25 persone, ma che ancora oggi si è presentata totalmente impreparata.
Nel caso del Bisagno il problema è nel tratto che entra in città a valle della ferrovia, alla altezza della Stazione di Brignole, ricoperto, intubato e tombinato, senza alcuno sfogo delle acque che si riversano su strade, parcheggi, abitazioni, attività commerciali e quant’altro negli anni ha occupato gli spazi che in origine erano di pertinenza fluviale. La soluzione migliore per il Bisagno e gli altri corsi d’acqua sarebbe la rimozione delle coperture e delle strade, o una loro rivisitazione dal punto di vista idraulico, con la delocalizzazione dei palazzi che impediscono il deflusso verso il mare.
Lunigiana, Val di Magra, Val di Vara e Cinque Terre
Nell’85% dei comuni liguri in cui vi siano aree ad elevato rischio idrogeologico che hanno partecipato all’indagine ecosistema rischio di Legambiente e Protezione Civile, sono presenti abitazioni nelle aree golenali, in prossimità di alvei e nelle zone a rischio di frane, e nel 46% dei casi sono presenti in tali zone interi quartieri. Addirittura nel 56% dei comuni intervistati sono stati edificati fabbricati industriali in zone soggette al pericolo di frane e alluvioni, nel 31% ci sono strutture sensibili e nel 39% strutture ricettive turistiche e commerciali. A fronte di questa pesante urbanizzazione delle aree ad elevato rischio idrogeologico solo il 4% delle amministrazioni ha attivato interventi di delocalizzazione di edifici o aree industriali.
La bassa Vallata del Magra (SP)
Fin dagli anni ’60 la bassa vallata del Magra è stata oggetto di un’aggressione del territorio che ha portato a un’urbanizzazione caotica, fatta di capannoni, condomini, villette, centri storici e residui appezzamenti agricoli. La tenuta di Marinella (Sarzana – Ameglia) prospiciente la spiaggia omonima, che si salvava da questa urbanizzazione caotica è ora minacciata dall’invasivo Progetto Marinella: una megadarsena da 831 Posti barca Equivalenti (PE) con centri commerciali e centro artigianale, e realizzazione complessiva di oltre 200.000 m3 di nuovo edificato, con il sottoferrovia di Castelnuovo e Ortonovo.
L’urbanizzazione delle aree a rischio di Aulla
Qui il disastro non era solo annunciato ma ben segnalato (e da ben 13 anni) nelle mappe del rischio idraulico dell’Autorità di Bacino del Fiume Magra. Osservando la cartografia, infatti, è impressionante l’esatta sovrapposizione dell’area a ‘Rischio idraulico molto elevato’ della mappa con la superficie coperta dall’acqua il 25 ottobre scorso ad Aulla. Nonostante lo studio e la perimetrazione di queste zone da parte dei tecnici da 13 anni a questa parte si è continuato a costruire ed autorizzare attività commerciali, servizi pubblici ed abitazioni in un’area prima soggetta alle misure di salvaguardia e poi dichiarata a ‘Rischio idraulico molto elevato’ con Delibere dell’Autorità di Bacino e dei consigli Regionali di Toscana e Liguria. Aulla nuova è stata costruita occupando ben metà dell’alveo del Fiume Magra. Inoltre, nonostante la documentata conoscenza del rischio idraulico, nessun Ente preposto ha mai realizzato dispositivi di allerta ed evacuazione adeguati, come ampiamente e tristemente confermato il 25 ottobre scorso.
L’isola d’Elba
I nuovi estesi allagamenti all’Elba sono il frutto di una “messa in sicurezza” che in alcuni casi sembra essere stata fatta non per allontanare e mitigare il rischio, ma per continuare a costruire dove il rischio si era già manifestato. La Piana di Marina di Campo è sott’acqua e a Procchio, dove dopo l’alluvione del 2002 venne costruito il cosiddetto “ecomostro” del quale rimane l’osceno scheletro di cemento, tutta l’area è nuovamente esondata proprio in questi giorni, mentre l’Elba aspetta ancora il “Piano Strutturale Unico” promesso da tempo.
Intanto si è proceduto con l’approvazione di Piani Strutturali singoli per tutti gli 8 comuni, con varianti, variantine, “messe in sicurezza” che hanno permesso di costruire e di appesantire il territorio con nuovo cemento ed infrastrutture che cambiano la situazione ambientale, impermeabilizzano ulteriormente il territorio, generano nuovi rischi.