È deciso: il prossimo 7 maggio si aprirà il Conclave che eleggerà il successore di papa Francesco, a dieci giorni dalla repentina scomparsa. Quanto durerà non è prevedibile.
I romani hanno sempre avuto un rapporto di amore-odio con il papa, che è anche il loro vescovo. “Morto un papa se ne fa un altro” commentano con finto distacco, per dire che ad ogni disgrazia può esserci un rimedio. E alludono al Conclave di cui dicono che “non si sa quanto dura e come finirà” come di tante cose oscure della vita di cui non si può prevedere l’esito.
Al punto che “chi entra papa in conclave ne esce cardinale”, dicono a Roma di chi già canta vittoria e resta deluso. Perché ogni conclave può riservare una sorpresa, soprattutto da quando il Sacro Collegio dei cardinali il nuovo Pontefice lo va a cercare all’estero. È successo con il polacco Woytila, con il tedesco Ratzinger, con l’argentino Bergoglio.
Una volta non era così: nei primi conclavi le potenti famiglie romane pretendevano e ottenevano che un loro rappresentante fosse fra i papabili, e così la Chiesa ha avuto pontefici di alto lignaggio: Orsini, Della Rovere, Chigi, Farnese, fino a Pacelli, Pio XII. Ma in quegli stessi anni, nelle vie di Roma le statue di Pasquino e di Marforio irridevano alle malefatte del governo papalino e il popolo si divertiva: quelle statue parlanti erano l’equivalente della nostra “Striscia la notizia”.
Sarà forse un Conclave breve, data l’urgenza imposta dalla situazione internazionale, anche nel ricordo dell’increscioso conclave del 1270 che nel palazzo apostolico di Viterbo vide i cardinali impegnati nelle votazioni indugiare oltre misura.
Dopo mesi di votazioni infruttuose non erano arrivati ad accordarsi su un nome e il popolo di fedeli stanco di aspettare assediò il palazzo bloccando la consegna delle vettovaglie mentre i più facinorosi arrivarono a togliere un bel po’ di tegole dal tetto dell’edificio minacciando di esporre i cardinali alle intemperie. La clamorosa protesta entrata nella storia della Chiesa, accelerò il lavoro dei cardinali, ma non poi di tanto: infatti per eleggere Gregorio X presero ancora tempo, e la sede vacante, paradossalmente superò i mille giorni
Intanto, una curiosità è lecita: ai 133 cardinali (due hanno già rinunciato per ragioni di salute) che saranno rinchiusi in conclave sarà sequestrato il telefonino? Lo imporrebbe il divieto di comunicare con il mondo esterno mentre sono riuniti nella cappella Sistina per eleggere il successore di papa Francesco.
Così come è sempre stato proibito ai porporati disporre di qualunque apparato di informazione, come giornali, radio, registratori, piccoli televisori, così oggi il divieto previsto dalle regole sulla segretezza del voto cardinalizio potrebbe essere allargato allo smartphone di cui ogni porporato certamente usufruisce.
È successo anche per le scuole: ogni anno una circolare ministeriale ribadisce il divieto dello smartphone in classe, ma delega il rispetto della norma generale agli insegnanti che devono però gestire le proteste di genitori succubi di pargoli prematuramente tecnologizzati.
Analoga situazione con i nostri parlamentari: il regolamento interno della camera dei deputati non prevede il divieto generale del telefonino in aula, ma raccomanda sobrietà nell’uso nel rispetto della riservatezza. Quanto al conclave, chi avrà il coraggio di farsi consegnare dall’anziano cardinale lo smartphone sprofondato in una tasca del rosso abito talare?
Ma forse l’irriverente sequestro non sarà necessario perché la moderna tecnologia consente di isolare dalle comunicazioni telefoniche esterne, qualunque spazio chiuso e la Cappella Sistina potrebbe essere ugualmente isolata dall’etere. Telefonino a parte, la regola della segretezza su quanto avviene in Conclave è ferrea e risale a moltissimi anni fa.
Oggi, i cardinali (che dal 1970 per essere papabili non possono avere più di 80 anni) sono sistemati meglio che in passato: al termine delle riunioni per le votazioni, che saranno due al giorno, mattina e pomeriggio, potranno lasciare la Sistina per tornare a Santa Marta, il residence costruito apposta per loro nel 1996 e dove papa Bergoglio scelse di abitare rinunciando allo sfarzo del palazzo apostolico con la finestra dello studio che si affaccia su piazza San Pietro.
A Santa Marta, a poche decine di metri dalla cappella michelangiolesca, i porporati hanno a disposizione confortevoli camere con bagno e per i pasti un servizio di mensa. A sera, chi vorrà potrà recarvisi anche a piedi ma durante il breve tragitto dovrà evitare di farsi avvicinare da chicchessia per rispettare l’imposizione della riservatezza assoluta su quanto argomentato in Conclave. L’indomani, dopo la colazione, ogni porporato farà rientro nella Sistina con le stesse modalità.
A fine votazioni, una fumata bianca dal comignolo posto sul tetto della Cappella Sistina annuncerà al mondo che la Chiesa ha un nuovo Papa. Quel fumo verrà dalla stufa posta in un angolo delle Sistina e nella quale saranno bruciate le schede di ogni votazione.
Se la votazione sarà infruttuosa e nessuno dei candidati avrà raggiunto i due terzi dei suffragi il fumo sarà nero perché alla carta delle schede sarà aggiunto un fascio di paglia umida. Così nell’antico: oggi si usa in prodotto chimico che produrrà un fumo nero, mentre dal bruciare delle sole schede di carta si avrà la classica fumata bianca che la folla di fedeli raccolta in piazza San Pietro accoglierà, come sempre con rumorose manifestazioni di giubilo.
Subito dopo il cardinale camerlengo annuncerà al mondo l’elezione del nuovo pontefice. “Habemus papam” dirà al microfono dalla loggia al centro della Basilica, facendo seguire il nome dell’eletto secondo una formula in latino che prevede anche il nome che il neo Papa avrà deciso di assumere all’atto dell’investitura.
Quando nel 1978 fu eletto papa Giovanni Paolo II, al nome Woytila dalla folla si levò un mormorio: non tutti sapevano chi fosse il cardinale polacco che avrebbe regnato per ben 26 anni, nonostante si fosse detto che sarebbe stato un papa di transizione.
Non sempre il papa uscito dal Conclave aveva l’approvazione dei potenti dell’epoca: nei primi conclavi, intorno all’anno Mille, le potenti famiglie romane candidavano i loro rappresentanti al soglio di Pietro e spesso la spuntavano.
Poi fu il turno degli imperatori: il primo fu nel 557 Giustiniano sottomise all’approvazione imperiale l’elezione di papa Pelagio, come pure pretese di fare, anni dopo, Ottone I all’elezione di papa Leone VIII.
L’ultimo fu l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe che mise il veto alla candidatura del cardinale Mariano Rampalli, ma il sacro Collegio quella volta respinse la pretesa ed elesse un altro candidato, il cardinale Giuseppe Sarto che prese il nome di Pio X. Accadeva, insomma, come se oggi Donald Trump, presidente degli Stati Uniti non volesse riconoscere il papa, se non verrà eletto uno dei cardinali americani.
Ma i tempi sono cambiati e la Chiesa in più di duemila anni ha imparato a farsi rispettare, anche dai più prepotenti dei potenti del mondo. E l’incontro in San Pietro dei grandi del XXI secolo il giorno dei funerali di papa Francesco ne è la innegabile dimostrazione.
La Chiesa non ha divisioni in armi, (“Quante sono? chiedeva il capo del Cremlino), ma ha comunque un ruolo importante nella storia del mondo, perché ha una lunga storia alle spalle: il primo conclave fu riunito nel 1118 in un monastero sul Palatino, e ne uscì papa Gelasio.
Nella Cappella Sistina i cardinali si riunirono nel 1492, l’anno della scoperta dell’America, e non va dimenticato che dal 1621 ininterrottamente i cardinali in conclave richiamano ogni volta la formula secondo la quale il nuovo pontefice è eletto per ispirazione dello Spirito Santo. “Ma, – fa osservare un porporato che i pronostici della vigilia danno per favorito – lo Spirito Santo ispira, ma non vota. E quindi un’intesa dobbiamo trovarla fra di noi”.