Crew 11. Si parte per la Luna, Marte è rimandato

Viaggi nello spazio con la premiata ditta Trump & Musk: salvo imprevisti meteorologici, giovedì 31 luglio, dal Kennedy Space Center in Florida partirà il razzo della missione Crew 11, per la prima volta targato Nasa e insieme Space X, l’azienda spaziale di cui è proprietario il leggendario Elon Musk, che da qualche tempo si dedica più ai suoi lucrosi affari che all’attività politica all’ombra del lunatico presidente Trump.  

E proprio di Luna parleranno i quattro astronauti a bordo, tre uomini e una donna, che andranno a raggiungere la stazione spaziale internazionale per fare da base ai prossimi balzi sulla Luna.

Come era già stato per la nostra Samantha Cristoforetti, sui tre uomini la donna avrà ha la responsabilità del comando del volo: si chiama Zena Maria Cardman, una bella bionda di 38 anni, astronauta della Nasa, al suo primo lancio nello spazio. 

Ai suoi ordini si troveranno l’americano Mike Finche, il giapponese Kimiya Yui e il russo Oleg Platonov. Tutti e quattro, a bordo della stazione orbitante resteranno sei mesi, salvo imprevisti.   

La nuova missione di fine luglio è importante perché prende il via mentre sulla Terra infuriano ancora le polemiche sul ruolo di Musk nella politica spaziale degli Stati Uniti, vista la sua manifesta ostilità nei confronti della Nasa, di cui il magnate sudafricano naturalizzato americano vuole tagliare il 30 per cento del budget allo scopo di rimettere sulla rampa di lancio i propri missili Starship, proprio quelli che finora hanno fatto registrare clamorose esplosioni alla partenza. 

E siamo solo agli inizi di una stagione che si annuncia politicamente burrascosa. Perché è in arrivo Artemis 3, il programma della Nasa che non prima del 2027 dovrebbe riportare l’uomo sulla Luna per un primo tentativo di colonizzazione del nostro satellite. 

 Fra l’altro, una questione spinosa riguarda anche la composizione degli equipaggi: secondo informazioni apparse mesi fa sul sito della Nasa, prima che ne fossero state inopinatamente cancellate, l’equipaggio di Artemis 3 avrebbe dovuto portare sulla Luna “la prima donna e il primo uomo non bianco”: così erano definiti. 

 E la cosa non era piaciuta a Trump, decisamente contrario ad ogni iniziativa di diversity equity inclusion:” Passi per la donna ma pure di colore?” avrebbe obiettato dalla Casa Bianca. Come si vede, gli americani torneranno un giorno sulla Luna per colonizzarla, ma attenti a chi saranno i primi coloni a stelle e strisce. 

Dopo Artemis 3 da Cape Kennedy dovrebbe partire una serie di altre missioni per costruire una base lunare dalle parti di quello che gli scienziati chiamano il polo sud, dove i crateri sono sempre in ombra perché il sole è basso sull’orizzonte, e dove c’è ghiaccio. 

Non in cubetti per i drink degli astronauti ma quel ghiaccio significa idrogeno e ossigeno, due elementi indispensabili per le celle a combustibile che saranno alla base della sopravvivenza dei primi coloni lunari. 

A parlare in termini espliciti della fattibilità del progetto è Patrizia Caraveo, una delle più note astrofisiche italiane, dirigente di ricerca dell’Ina, l’istituto nazionale di astrofisica, impegnata in varie missioni della Nasa e dell’Esa, l’agenzia spaziale europea. 

“Artemis nasce dopo il tramonto di altri progetti di missione verso Marte e verso gli asteroidi pianificati nel corso della prima presidenza Trump – spiega la scienziata – ma per i programmi spaziali bisogna fare investimenti a lungo termine e soprattutto non avere fretta”. 

La filosofia di Musk e di Space X, invece, è all’opposto: “fallisci e rifai”, il contrario di come faceva Wernher von Braun, lo scienziato tedesco padre riconosciuto della missilistica mondiale, che dopo aver messo a punto la bomba volante V 2, con cui Hitler nel 1944 bombardò l’Inghilterra, passato dopo la guerra negli Stati Uniti von Brown è stato il creatore del programma spaziale americano che portò allo sbarco sulla Luna nel 1969. 

E non è mai esploso un razzo lanciatore ideato da lui perché all’epoca a Peneemunde, la base segreta nazista scoperta solo all’ultimo dagli inglesi, “c’era un grande lavoro di prove e controprove – ricorda la nostra scienziata – e la fretta è sempre stata una cattiva consigliera, anche per chi spara missili”. 

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