Gentrification in parallelo, Roma e New York a confronto

ROMA – Quartieri tra Roma e New York”, Aracne, Roma 2014 è frutto della ricerca di dottorato in sociologia urbana svolto tra Roma (La Sapienza) con incursioni e interviste a docenti della CUNY (City Univesity of New York) tra il 2010 e il 2013.

La ricerca mette a confronto i cambiamenti di due quartieri di Roma e di New York, rispettivamente Testaccio e Astoria, fino a circa 15/20 anni fa considerate zone popolari e periferiche, con riferimenti ad altre aree simili delle due città prese in analisi. In particolare, attraverso questo parallelo la ricerca sul campo ha cercato di evidenziare, con le opportune differenze tra Italia e Stati Uniti, i mutamenti sociali e territoriali, avvenuti sulla spinta del fenomeno denominato «gentrification». Trasformazioni che hanno interessato ex aree industriali e popolari della città, in cui è avvenuto un processo di riqualificazione e di ricambio di classi sociali rispetto all’identità urbana e sociale preesistente.

 Queste aree sono state caratterizzate da un vero e proprio passaggio di stato e di classe: da territori svalorizzati da un punto di vista economico, soprattutto quelli dove erano dislocate varie attività produttive ormai finite in disuso (si pensi all’ex Mattatoio a Testaccio o alla fabbrica di pianoforti Steinway in forte crisi ad Astoria), si passa a nuovi quartieri/village dove l’industria del consumo culturale diventa l’attività prevalente. Nel tessuto urbano di questi quartieri popolari cambiano mode e modi di abitare e consumare i territori. Sorgono nuovi locali, ristoranti, centri espositivi, punti di ritrovo per artisti di ogni genere. 

I nuovi residenti appartengono alle classi medio-alte. Queste nuove geografie urbane diventano così un nuovo centro di attrazione e di richiamo per un folto pubblico, alla ricerca di controtendenze (che in ultima analisi si fanno tendenze e si appiattisco su un gusto omogeneo), spesso ben miscelate con una buona dose di inscenata «popolanità» e un’atmosfera rigorosamente: green, biologica, multietnica. Dove tutto rischia di diventare un brand. La gentrification assume quindi, il carattere di un meccanismo di rigenerazione urbana che non solo favorisce lo sviluppo o, a seconda dei punti di vista, la mira speculativa del mercato immobiliare e l’aumento delle attività imprenditoriali, secondo regole dettate dall’economia, ma influenza anche tendenze e comportamenti delle persone attratte e dal grande rito della mercificazione del vissuto urbano. È la risposta ad un bisogno, spesso indotto, di socialità e di luoghi identitari, veri o artefatti che siano, dove però, insieme alla produzione simbolica di realtà, molto probabilmente vive, da parte dei nuovi abitanti, anche il desiderio di voler ri-costruire rapporti e relazioni autentiche. Una ricerca di connessioni, quindi, tra simbolismo urbano, narrazione e identità sociale quella avvenuta nelle due città.  

La parola gentrification, ormai usuale negli studi sulle trasformazioni delle città negli Usa e altrove, non è così universalmente nota in Italia. A partire da questa consapevolezza, il libro concede ampio spazio a questo filone di studi ripercorrendo le vie della sociologia urbana e dei suoi principali esponenti, parlando della posizione dei classici della sociologia (da Durkheim a Mumford, da Toennies a Simmel e a C.W. Mills, senza dimenticare M. Weber ed altri) giungendo ad autori più vicini a noi nel tempo: meritoriamente, oltre a M. Castells ricorda così Arthur J. Vidich e J. Bensman, per riportare poi il pensiero di Ruth Glass, cui si deve il termine di gentrification, quello di Bourdieu, che ipotizza che si tratti in realtà di una sorta di maschera, per giungere quindi a trattare della studiosa che è tra coloro che maggiormente si sono occupati del tema, la docente americana Sharon Zukin.  Ma cosa si intende allora quando si parla di gentrification? Ci si richiama, con questo termine, al cambiamento di zone un tempo popolari e de-privilegiate, magari zone un tempo industriali, dove però l’industria non è più presente e portante. L’arrivo in questi quartieri di nuovi abitanti, di regola di classe medio-alta, comporta l’apertura di nuovi esercizi, la proposta di attività più direttamente legate al consumo culturale. Di qui la riqualificazione dell’area, il salire dei prezzi delle case, il divenire da parte di quelle zone un luogo ricercato per la sua riqualificazione.

Si discute, oggi, se la gentrification sia una sorta di fenomeno ineluttabile, cui è impossibile opporsi.

 Comunque, il termine, si diceva, rinvia al rinnovo urbano. Secondo R. Glass bisognerebbe tenere conto di un punto di vista geografico (la base è una grande metropoli, al cui interno esistono aree deprivate ma non lontanissime dal centro, al cui interno si insediano persone del ceto medio che rimpiazzano gli antichi abitanti, espulsi), edilizio (si parla di vecchie abitazioni degradate, ora recuperate e ammodernate, tanto che i prezzi salgono; in genere, processi spontanei) e sociale. 

Quindi si dovrebbe parlare di gentrification allorché compaiano almeno due dei tre elementi individuati, vale a dire il ricambio sociale, la riqualificazione edilizia e la localizzazione centrale.

     La ricerca sul campo a Testaccio e ad Astoria (nel Queens, a NY) è avvenuta interrogando gli abitanti, parlando con loro, osservando le diverse situazioni. L’ipotesi è che esisterebbero tra le due aree prese in esame sia parallelismi che discontinuità. A Testaccio così come in altri luoghi della città e in genere in Italia il fenomeno non appare così ampio e avvolgente, così determinante come altrove. Tentativi, aspetti di gentrification, più che non una sua ampia, indiscussa realizzazione. A Roma vengono percorse alcune delle fasi previste dagli studiosi, come il passaggio degli abitanti da affittuari a titolari degli immobili, l’arrivo di singoli e di famiglie con interessi a nuovi servizi urbani, a nuove offerte con riguardo al tempo libero e alla cultura, l’aumento delle attività imprenditoriali e ricreative: il che comporta il variare della composizione etnica, del tasso di occupazione, del reddito. Ciò implica altresì, di regola, la perdita della cultura di origine, una trasformazione intesa a soddisfare i più ricchi abitanti: a Roma in vari casi c’è stata trasformazione sociale, avvicendamento, ma spesso l’apertura di nuovi esercizi ha comportato un’offerta troppo spesso di povere merci, piuttosto simili da un negozio all’altro, non particolarmente ambite dagli abitanti, vecchi e nuovi.

Ma tornando alle due zone prese in esame, si trovano interessanti assonanze, tra le diversità –date soprattutto dall’estensione territoriale oltre che dalla componente e varietà demografica-, con riguardo soprattutto a due punti: in entrambi i casi esiste una netta linea di demarcazione immaginaria che divide le case popolari dalle abitazioni costruite da gruppi privati, rispondenti magari a vari gruppi etnici; in secondo luogo, in entrambi i casi si sarebbe avuta la presenza di una sorta di branding della narrazione del proprio territorio.

Ci sono territori che sotto la pressione della gentrification gettano la spugna ed i cui abitanti, preferiscono migrare in nuove periferie. Altri che combattono per conservare la propria identità socio-culturale sul territorio, talvolta con azioni di protesta e contrasto esplicite, anche violente. In altri casi la convivenza è possibile ed ha effetti positivi per entrambi, in una sorta di simbiosi. Si assiste poi alla contraddittoria, ipocrita ed equivoca la posizione del gentrifier: “mi piace il posto per quello che è, ma devo inevitabilmente cambiarlo per vivere come sono”. Un modo di ragionare consumistico, non etico. Rispetto al fenomeno gentrification la proposta del volume è solo una delle tante sensibilità, anche più radicali e frontiste, esistenti. Politicizzare il conflitto è possibile perché, come scritto nel libro, la gentrification è in ogni luogo differente e non può essere ricondotta a una visione dicotomica, ma solo a quello che può essere individuato come ciò che accade in un determinato luogo in un determinato momento. Il resto sta a chi ci vive e alle relazioni che opera nel contesto con cui è in relazione.

Condividi sui social

Articoli correlati