RAVENNA – “Il problema del cambiamento climatico è un tema nell’agenda della politica mondiale dal 1979, anno della prima conferenza globale su questo tema. Già allora vi erano diversi indizi che lasciavano prospettare che l’uomo, con uno stile di vita ed un’economia troppo invasiva sulla natura, stava destabilizzando l’atmosfera.
Tuttavia fino al 1997, con l’approvazione del protocollo di Kyoto, furono solo bellissime parole e del resto anche quest’ultimo, fino al 2005, rimase solo una bella promessa su un per niente banale pezzo di carta. Seppur negli ultimi anni politici e dirigenti delle grosse multinazionali indorano velenose pillole sulla tutela del clima per guadagnare i consensi di un popolo disinteressato e ignorante sul tema, le emissioni globali di gas serra parlano chiaro: la è aumentata negli stessi anni di oltre il 25%.
Lo scenario che si prospetta nel prossimo futuro può assumere diversi sfondi a seconda che gli interventi a tutela del clima siano più o meno invasivi, ma a grandi linee si parla di un aumento delle emissioni di CO2 compreso tra il 25% ed il 90%, con un effetto devastante sul clima. Le ricerche scientifiche non lasciano dubbi su questo cambiamento:la “Terra ha la febbre”, e la sua temperatura si è alzata di poco meno di un grado solo negli ultimi 150 anni, con una sintomatologia che si ritrova nell’aumento del livello dei mari fino allo scioglimento dei ghiacciai.
Dall’inizio della Rivoluzione Industriale, si parla della seconda metà del 1700, il contenuto di gas climalteranti nell’atmosfera è aumentato sensibilmente a causa dell’attiva antropica che ha iniziato ad impiegare fonti energetiche d’origine fossile. Questo ha portato ad una produzione di calore che il pianeta non è riuscito a supportare, così che i terreni hanno aumentato la loro temperatura di circa 2°C ed i ghiacciai dell’Antartide e della Groenlandia si sono sciolti producendo acqua che è scivolata fino ai mari, cresciuti di poco meno di 20 cm solo nell’ultimo secolo. Le zone orientali delle Americhe, il Nord Europa e l’Asia Centrale ha mutato sensibilmente il clima, perdendo le giornate fredde in favore delle ondate di caldo con temperature in aumento sia di giorno che di notte accompagnate da un incremento delle precipitazioni. In pratica l’Atlantico Settentrionale sta assumendo un clima sempre più vicino a quello tropicale, anch’esso vittima di cambiamento in quanto caratterizzato da tempeste sempre più devastanti. L’Africa e le Regioni Mediterranee sono testimoni impoveriti di un clima distrutto dalla siccità. Per questo, un’efficace politica a protezione del clima non solo riduce l’emissione di CO2 e dà vantaggi a livello socio-economico migliorando la qualità dell’aria a livello locale e riducendo, di conseguenza, i costi sanitari da essa correlati, ma soprattutto rafforza la sicurezza delle singole nazioni nel campo dell’approvvigionamento energetico.
Nella seconda metà del ‘900 il protocollo di Montreal ha trasformato il mutamento climatico in un problema planetario. In questo periodo si cominciò a parlare del cosiddetto “buco nell’ozono” e si concordarono strategie a livello internazionale per combattere i famigerati gas CFC ( cloro-fluoro-carburi ), capaci di generare conseguenze a livello mondiale. La diversa condizione tra l’Occidente e il resto del mondo portava che la produzione di CFC era concentrata in poche aziende, che in tempi relativamente rapidi furono in grado di presentare prodotti alternativi. Per una volta, quindi, la disequità del mondo portò al quasi immediato raggiungimento dell’obiettivo divenendo così, egoisticamente, un fattore positivo. Tuttavia vi deve essere una specie di “giustizia climatica” in quanto l’atmosfera è un bene di tutti ed al tempo stesso di nessuno, per questo gli abitanti del pianeta hanno lo stesso diritto di disporne in egual misura. Al giorno d’oggi un nordamericano emette 20 t di CO2 l’anno, un europeo 10, un cinese 4 ed un africano malapena 1. Il protocollo di Kyoto che ha tessuto le basi del processo d’autoregolamentazione dell’uomo è stato “minato” dal menefreghismo americano che nel suo egocentrismo non ha voluto rinunciare a nulla. Se anche i paesi industrializzati dovessero smettere totalmente di produrre CO2, quella prodotta dal sud del mondo basterebbe a mettere definitivamente in crisi l’atmosfera. Ora, è giusto che il nord voglia mantenere uno stato di predominio energetico a fianco di un sud che ha sete di sviluppo? Ovviamente sarebbe sensato che nord e sud si unissero per combattere il problema, concedendosi reciprocamente i relativi spazi. Trovo di un’ipocrisia disarmante parlare di equità energetica in quanto il sud del mondo non ha il reale bisogno del nord. Affermare il contrario sarebbe come dire che un cittadino statunitense ha bisogno della stessa energia di un cinese e sarebbe come paragonare un abitante di New York ad uno di Pechino. A mio parere è più sensato stabilire una regolamentazione percentuale delle emissioni, ad esempio partendo dalla situazione attuale. Dichiarato il 20-10-4-1 come “formazione d’attacco” si nota che in campo ci sono 35 tonnellate di che ipotizziamo di ridurre a 25 con una nuova formazione che potrebbe essere il 10-8-5-2. Con questo esempio ho ridotto le emissioni dei paesi in gioco di 10 t mantenendo un predominio dell’occidente che ha comunque esigenze maggiori ed aumentando quelle dei paesi meno industrializzati che hanno così una piccola chance in più. Ora non sono io un organo di competenza in merito a questo problema, tuttavia credendo assennata una soluzione su questa falsariga, spero che i potenti saranno capaci di prendere le giuste decisioni, affinché io non debba temere un’eventuale privatizzazione dell’atmosfera divisa in fasce di danneggiamento ed usufruibile a pagamento.
Certo, forse questa è solo una mia personale provocazione, tuttavia ogni giorno un pezzetto in più di una natura che “sulla carta” dovrebbe essere “di tutti” è, spesso con mere scuse di tutela, privatizzata e/o affittata divenendo così uno strumento di guadagno per chi può permettersela. Ora questo ragionamento non è del tutto sbagliato in quanto già nel 1775 si era dichiarato che “la prima regola degli affari è proteggere i tuoi investimenti”. Ma l’uomo non è abbastanza furbo per essere un buon affarista in quanto continua a dimezzare i fondi per tutelare il suo investimento sperando di ricavarci maggiormente. In questo modo si limita ad avvicinare la data di scadenza sul prodotto nel quale ha puntato. Anche questa considerazione ha però un diverso lato d’osservazione. Se si pensa che colui che possiede i fondi o quantomeno le referenze per poter possedere un bene su cui avere un guadagno ha un’aspettativa di vita tendenzialmente di 25 anni, probabilmente non farà in tempo a vedere il deperimento del suo investimento, cosa che gli garantisce una via di fuga per non preoccuparsene troppo.
Sta così nell’intelligenza dell’oligarchia di potenti regolamentare definitivamente le risorse energetiche, magari capendo che la tutela delle generazioni di domani, tra cui saranno presenti anche i nostri figli ed i nostri nipoti, non può essere solo la patinata favoletta raccontata ad un popolo incapace di vedere la realtà effettiva solo per porre radici sempre più profonde su una poltrona che dovrebbe essere, spesso, solo la brandina di una cella.”