Anno 2011: le speranze perdute. Diventare umani è ancora possibile

Roma negli anni 60, in centro, odorava di cuoio e basilico. Nei caffè, la gente parlava forte e rideva. Tutti, avevamo negli occhi la luce frizzante di una promessa. Gli intellettuali francesi avevano da poco rilegate in cantina le vecchie pipe per l’oppio, gli industriali italiani aspiravano cocaina senza timore su vassoi d’argento; per tanti una birra all’uscita della catena di montaggio, per pochi un Jack Daniel’s nei primi piano bar con le poltrone di pelle.

Le Signore bene indossavano cinture di Hermès con pesanti bulloni di metallo sui primi jeans d’esportazione usa. La moda aveva eletto  la borsa Kelly realizzata in omaggio alla principessa, quella  “matelassèe” con la catena di Chanel, l’orologio ” baignoire ” di Cartier ad icone irrinunciabili, seppure per poche e nessun asiatico si sarebbe sognato di riprodurre quei must a buon mercato.  Non era vietato sognare e una “carta” di diecimila lire occupava un posto di rispetto nel portafoglio. La televisione in bianco e nero era un lusso nelle abitazioni e la Domenica pomeriggio Roma era deserta e si parcheggiava ovunque anche a piazza Navona. Gli uomini fischiavano al passaggio delle belle ragazze e non avevano paura di sfiorare loro un braccio o bisbigliare un apprezzamento inequivocabile. Nessuno sembrava preoccuparsi per l’avvenire tanto meno per il versamento di contributi, per una lontanissima pensione nel lontanissimo anno 2000. Negli anni 60 si moriva molto rispetto ad ora e senza troppe recriminazioni. Molti ascensori funzionavano soltanto inserendo monetine.

Le diciottenni appena diplomate in istituti religiosi indossavano twin-set di cachemere grigio o color sabbia e un filo di perle e, furtive, tracciavano una linea scura con l’eye liner all’attaccatura delle ciglia. Allora si usava bagnare con la saliva lo spazzolino per il mascara venduto in tavolette e cotonarsi i capelli per aumentarne il volume. Le cattive ragazze leggevano il divino Marchese con la torcia accesa fino a tarda notte sotto le lenzuola. Il telefono cellulare, le calze auto-reggenti, il gloss per le labbra, le carte di credito, il filo inter-dentale, il viagra, il push up, l’ipod, le e-mails, il telecomando, il divorzio, il digitale terrestre,  gli arresti domiciliari, sarebbero venuti molti anni dopo. Negli anni 60 era giusto ribellarsi, indignarsi, obiettare, contestare, fregarsene della verginità, non andare a messa, andare via di casa appena maggiorenni e in molti casi divertirsi lavorando. Molti fumavano erba per sperimentare una sorta di espansione della coscienza, una pace interiore che in seguito si sarebbe potuto raggiungere con la meditazione e la pratica di dottrine orientali non ancora divulgate in occidente. Era impossibile non conoscere i propri vicini nel palazzo in cui si abitava, non scambiare due parole con gli sconosciuti per strada; tutto sembrava più piccolo, più semplice. Era normale raggiungere i propri obiettivi e anche realizzare sogni “impossibili”. Era naturale abbattere per ricostruire, cambiare per migliorare: vivere appieno e cogliere le opportunità che si presentavano. Negli anni 60 si inventava, si condivideva, si scambiava e lo spirito di gruppo faceva da collante fra le diversità. La curiosità e l’apprendimento erano il nostro pane quotidiano condito di allegria e spensieratezza.

Oggi è divenuto impossibile sognare e facciamo continuamente i conti per tirare avanti; la povertà materiale e mentale abita i nostri cuori sofferenti. Non pensavamo che ci sarebbe capitato una simile situazione. Nel 60 i buoni del tesoro rendevano il 10 per cento del capitale. Punto e basta: di che preoccuparsi? Non mancava di certo il lavoro e il pensiero della vecchiaia non ci sfiorava. Oggi la violenza regna in ogni luogo, l’ingiustizia trionfa, le sostanze stupefacenti sono alla portata di chiunque; il senso di colpa è stato letteralmente spazzato via dalla mente come l’etica, il rigore, la dignità. La corruzione dilaga, i pirati della strada vengono rilasciati a breve, gli omicidi non puniti a sufficienza, senza raccomandazioni, scambio di merce appetibile, non si arriva da nessuna parte. Tutto si compra: posti di lavoro, diplomi, classifiche, premi, lauree, festival, attestati. Basta avere soldi o potere, meglio tutti e due. Ci sono ragazzine che si vendono o si farebbero estirpare un rene per una borsetta firmata, genitori pronti e felici di riuscire a venderle a vecchi bavosi per pagare il mutuo.

Ragazzi appena laureati senza imbrogli – ce ne sono ancora -, aprono pasticcerie, piccoli bar- libreria, catering pronta consegna last minute, asili improvvisati  nelle proprie case: s’inventano nuovi mestieri per andare avanti e reagiscono al degrado generale rimboccandosi le maniche pure col sorriso. Quasi tutto quello che ci circonda, oggi, odora di fregatura e di marcio e quelli della mia generazione assistono impotenti, per la maggior parte, all’orrore del disfacimento generale, alla disgregazione dei valori di un tempo. E’ l’odio che detta legge e se hai ancora il cuore tenero e un briciolo di dignità sei spacciato.
Qualcuno ha scelto di salutare la terra dalla Svizzera, assistito per l’ultimo viaggio. Nel 60 nessun paese ospitava, seppure a pagamento, gli aspiranti suicidi.
Il degrado ci ha fregati quasi all’improvviso quando pensavamo di avercela fatta…a fare cosa non si sa in realtà.
Abbiamo esagerato con il superfluo, flirtato per troppo tempo con l’inutile. Ci siamo strafatti di idiozie e di porcherie. Abbiamo inquinato la terra con tutte le nostre tossine, la nostra ottusità, i nostri squallidi pensieri, le nostre scellerate azioni, peggio, abbiamo ignorato il nostro vero compito venendo al mondo:  diventare Umani.
E ora? Prendiamo coscienza dei nostri talenti e autentiche capacità e occupiamoci finalmente del bene comune anzichè aggrapparci ancora ai nostri pochi, effimeri averi e diamoci la mano; scambiamo davvero un segno di pace e d’intelligenza.

Catherine Spaak

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