Goodbye Yemen?

Ieri a Riyadh il presidente yemenita Saleh  è stato sottoposto ad un duplice intervento chirurgico, al petto e al collo, per rimuovere le schegge  causate   dall’esplosione di un razzo, lo scorso venerdì, dopo  giorni di scontri di piazza a Sanaa tra le forze governative e i combattenti fedeli al Sheikh Sadiq al-Ahmar, capo della potente federazione delle tribù Hashid

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Secondo fonti mediche l’operazione sarebbe  riuscita, Saleh si è risvegliato ed è in buone condizioni, ma non è ancora chiaro se  tornerà.  Fonti insistono che  il trasferimento di potere, tra cui quello di capo supremo delle forze armate,  al vice-presidente Abd-Rabbu Mansour Hadi,   sia solo temporaneo, e strumentale al suo rientro, e che si tratterà in Arabia Saudita per due settimane:  una settimana per recuperare e un’altra per le riunioni. I  partiti dell’opposizione, in una  riunione congiunta, hanno affermato che altrimenti avrebbero cercato di formare un governo di transizione. Del resto, il passare del tempo non pare impensierirlo: i suoi  seguaci detengono ancora posizioni decisive e godono , dell’appoggio di Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e delle altre potenze del Golfo. Inoltre, a  Sanaa restano il figlio di Saleh, Ahmad, a capo della guardia repubblicana, e i nipoti Ammar e Yahia, ovvero i comandanti militari che hanno collaborato con Washington nella lotta al terrorismo, nonché altri familiari a capo dell’intelligence.  Malgrado la fuga di Saleh, le ultime notizie ci dicono che le forze lealiste hanno riconquistato alcune zone della capitale e stanno cingendo d’assedio al-Hasaba, alla periferia della capitale, roccaforte della tribù guidata da Sadeq al-Ahmer.

 

In Yemen la violenza continua, sia nella capitale sia a Taiz:  almeno tre persone sono state uccise nella capitale  Sanaa, secondo le tribù Ahmar, in scontri con le forze di sicurezza, mentre le persone fedeli al presidente hanno stabilito che  lunedi sarà giorno di digiuno per esprimere sostegno al leader.
Ma i manifestanti anti-governativi stanno già celebrando la vittoria,  a cominciare dall’università, fulcro dei tumulti degli ultimi quattro mesi, ed esultano per la partenza del presidente e di 35 familiari, moglie compresa, oltre che del premier e del presidente del parlamento. I  “giovani della rivoluzione” dello Yemen chiedono un consiglio presidenziale per governare il paese: in un comunicato, i giovani dissidenti propongono un consiglio che rappresenti “tutte le forze politiche”, il cui compito sarebbe quello di “formare un governo di tecnici”, “un consiglio transitorio” e di elaborare “una nuova costituzione.
Non è volontà di secessione la causa delle sommosse, ma è l’estrema povertà in cui versa la grande maggioranza della popolazione e la sensazione che le poche ricchezze del paese non affluiscano al sud, da cui proviene l’80% del petrolio che si estrae nell’intero paese, e non siano distribuite equamente, ma finiscano  nelle mani della classe politica dominante che sostiene  il governo e il presidente. Le mobilitazioni recenti vedono mobilitate anche correnti islamiste radicali, quali quella capeggiata da Tarek al-Fadhli, che combattè i sovietici in Afghanistan. Il tutto sotto la direzione di un fronte unito, il Movimento Pacifico di Mobilitazione del Sud,  di cui fanno parte almeno cinque gruppi principali: ci sono gli islamisti, capeggiati da  Tareq al-Fadhli,  il Partito socialista guidato dall’ex presidente della Repubblica Popolare Ali Salem al-Baid, nasseriani e baathisti di varia tendenza, oltre la maggioranza degli sceicchi e dei capi tribù.

 

Al nord, nella regione di Saada, ai confini con l’Arabia Saudita, la più povera di un paese già alla fame,  la maggioranza delle tribù appartiene alla setta zaydista  ed è sotto il controllo dei clan principali della regione e delle loro milizie armate. L’accusa con cui il governo si è deciso a reprimere  la rivolta è che essa punta alla secessione e a restaurare l’imamato Zaydita. Ma non è un mistero che dentro i movimenti spontanei combattano forze reazionarie, tra cui appartenenti  alla Fratellanza musulmana. E che Washington, per impedire che il paese sprofondi nella guerra civile, potrebbe schierarsi dalla loro parte.
Che Al-Qaeda sia solo un pretesto per per tenere al potere un  tiranno?

 

 

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