ANKARA – Recep Tayyip Erdogan vince le elezioni parlamentari con il 50,3% dei consensi – si conferma per la terza volta primo partito -, ma non stravince come aveva sognato.
Niente plebiscito quindi per l’Apk, Giustizia e Sviluppo, il partito conservatore e islamico moderato del premier turco e, fatto importante allo stesso tempo, perde seggi rispetto a quelli che aveva (nelle precedenti elezioni l’Akp aveva ottenuto il 46,6% dei voti con 341 seggi) fermandosi a 328, due meno di quanti sarebbero necessari per varare le riforme costituzionali senza dover passare per i referendum. Era questo, infatti, uno degli obiettivi del leader dell’Akp (per perfezionare la riforma costituzionale è necessaria una speciale maggioranza parlamentare, due i casi, nel primo sono necessari i 3/5 del parlamento con 330 deputati più uno e successivo referendum, o, seconda ipotesi i 2/3 del parlamento ovvero 367 deputati, senza la necessità di un referendum); dando per scontata la riconferma dell’Akp con la maggioranza assoluta, tutto dipendeva dalla sua ampiezza.
Numeri sensibilmente variati rispetto al passato grazie alle forze di opposizione che si sono confermate aumentando peso e forza all’interno sia del paese che del Parlamento: da un lato i socialdemocratici del Chp che con il 25,9% dei voti, in aumento rispetto al 20,9% del 2007, che hanno conquistato 135 seggi. Dall’altra, a togliere deputati alla formazione di Erdogan, il partito nazionalista Mhp (lieve flessione a 13,1% dei voti e 54 seggi) ed il partito filo-curdo del Bdp che, sebbene sia sotto la soglia di sbarramento del 10% (ha ottenuto il 6,4%), dovrebbe mandare 36 propri esponenti presentatisi come indipendenti.
Se si conta che tutti e tre i partiti durante la campagna elettorale avevano lanciato accuse molto pesanti nei confronti del premier, di come stava gestendo il paese e di come ha gestito la campagna elettorale, l’immagine che si ha davanti è quella di 4 anni difficili per il premier Erdogan, per il paese e per le riforme che la Turchia dovrà sostenere se vuole entrare in Europa.
Erdogan, rischia di subire un fuoco incrociato dai tre partiti, laico, curdo e nazionalista, che hanno poco da dirsi, ma che in questi mesi sembrano avere avuto un grande comune denominatore: limitare lo strapotere del premier. E adesso potrebbero portare questa piattaforma dalla campagna elettorale in parlamento. Dietro il piano di riforma costituzionale molti osservatori vedono l’intenzione di Erdogan di candidarsi a presidente della Repubblica nel 2014.
Nonostante ciò, il premier è si mostra raggiante: “un elettore su due ha votato per l’Akp, viviamo questa emozione”: ha detto il premier Erdogan parlando ad una folla di sostenitori da un balcone della sede del suo partito “Giustizia e Sviluppo” ad Ankara.
Erdoğan ha più volte affermato in campagna elettorale che la nuova costituzione verrà scritta a più mani: coinvolgendo non solo le opposizioni parlamentari o altre forze politiche escluse dalla Grande assemblea (in Turchia vige un eccessivo e contestato sbarramento del 10%), ma anche la società civile.
Nel frattempo, ha anche annunciato una riforma dell’organizzazione del governo: con l’accorpamento di ministeri, la creazione di nuovi (tra cui quello fondamentale dell’Europa), l’introduzione della figura dei vice-ministri provenienti anche dal settore privato, dare più diritti e più libertà a tutti i cittadini, soprattutto alle minoranze etniche (armeni, rum e molte altre); riconoscimento delle specificità politiche e culturali dei curdi, con autonomie speciali per il sud-est. Tutto per completare le riforme avviate in questi anni dall’Akp: perché la Turchia, in termini di diritti, a partire dal 2002 ha fatto passi da gigante verso gli standard europei.
E, come suggerisce lo slogan elettorale dell’Akp, sembra pronta per l’obiettivo del 2023, nel centenario della repubblica voluta da Atatürk: diventare la decima potenza economia mondiale, una potenza regionale con interessi globali.
Il modello politico ed economico per i paesi del Medio oriente impegnati nella transizione democratica.
L’idea del premier è quella proporre un sistema presidenziale o semi-presidenziale (alla francese) dove il prossimo presidente della repubblica sarebbe eletto per la prima volta a suffragio universale, ma secondo l’opinione pubblica il vero obiettivo del premier Erdoğan sarebbe quello di essere eletto presidente della repubblica.