Cina. L’attivista fuggito si nasconde nell’Ambasciata americana? I dubbi restano

PECHINO (corrispondente) – L’improvvisa fuga dell’attivista Chen Guangcheng si rivela un’altra bella gatta da pelare per Pechino, già finito sotto i riflettori della comunità internazionale a causa del recente scandalo nel quale sono invischiati l’ex segretario del Partito di Chongqing, Bo Xilai, e la sua famiglia.

E ora che gran parte dei dissidenti cinesi continua a sostenere che Chen si trova in salvo tra le braccia della diplomazia statunitense, c’è il rischio che l’ultimo imprevisto possa oscurare la visita del Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, e del Segretario al Tesoro, Timoty Geithner, in Cina tra pochi giorni per l’annuale “dialogo economico e strategico” tra i due Paesi.
“E’ chiaro che Chen è stato condotto dai suoi sostenitori in un posto sicuro e non c’è posto più sicuro dell’ambasciata americana” ha affermato ieri Hu Jia, precisando di averlo incontrato “nelle ultime 72 ore”.

La notizia è stata confermata anche da China Aid: Chen è sotto la protezione di Washington. “Sono in corso colloqui di alto livello tra funzionari statunitensi e cinesi” hanno fatto sapere dall’ong texana. “E’ un momento cruciale per la diplomazia Usa sulla questione dei diritti umani” -ha spiegato Bob Fu, presidente dell’associazione- “data la notorietà di Chen l’amministrazione Obama deve prendere saldamente le sue parti o rischia di perdere credibilità come difensore della libertà e dello Stato di diritto.”

L’ambasciata americana continua ad osservare un rigoroso no-comment, ma per molti l’avvocato cieco di Dongshigu è già un secondo Fang Lizhi, altro famoso attivista -deceduto di recente- che, dopo aver appoggiato le proteste studentesche di piazza Tiananmen, per un anno trovò rifugio presso la sede diplomatica Usa a Pechino.

Chen Guangcheng, noto dissidente cinese, è fuggito dalla sua casa-prigione nella quale si trovava agli arresti domiciliari dal 2010. L’uomo sarebbe scappato domenica scorsa dalla cittadina di Dongshigu, provincia dello Shandong, ma la notizia è stata resa nota soltanto nella notte tra giovedì e venerdì da alcuni attivisti politici.

Sulla sorte attuale di Chen nessuno ha certezze. Secondo quanto assicurato in una conversazione telefonica alla BBC da Bob Fu, il dissidente in questo momento è in un posto sicuro al 100%, dove è stato condotto da He Peirong, un’altra attivista che si è lungamente battuta per la sua liberazione.  “Posso soltanto dirvi che non si trova nell’ambasciata americana di Pechino e non è nemmeno nello Shandong” aveva rivelato ieri ad AP He.

Ma mentre Chen si trova in salvo, la sua famiglia è ancora sotto sorveglianza e avrebbe già ricevuto le minacce dalla polizia: il nipote, Chen Kegui, sarebbe stato anche picchiato, come rivelato da Yaxue Cao, una blogger entrata in contatto con alcuni parenti del dissidente.
Nella giornata di venerdì le forze dell’ordine hanno circondato l’abitazione del fratello dell’attivista, Chen Guanfu e del nipote. Il più giovane dei Chen “si è munito di una mannaia come arma di difesa. Ha accettato diverse persone ferendole” ha rivelato ad AP He Peirong. Al momento i due Chen sarebbero in stato di fermo, mentre He nella tarda giornata di venerdì He è finita agli arresti, come ha riferito ad Associated French Press (AFP) Bob Fu.

La fuga era nell’aria da tempo. Dopo il fallimentare tentativo di scavare un tunnel per evadere dalla sua abitazione, scoperto dai suoi “carcerieri”, Chen ha optato per la complicità della notte scavalcando un alto muro.” Il buio non è un problema per un non-vedente”, ha dichiarato Hu Jia, un altro attivista per diritti umani amico dell’avvocato cieco, “ma sicuramente deve essere caduto numerose volte”.

Il sito di citizen journalism Boxun.com ha pubblicato un video  nel quale Chen rivolge un appello al premier Wen Jiabao, noto per essere la “voce buona del regime”. Tre le richieste inoltrate al Partito: che le autorità centrali indaghino sui pestaggi subiti dai suoi familiari, che venga garantita la sicurezza della sua famiglia e l’assunzione di misure adeguate per debellare la corruzione serpeggiante tra i funzionari.
Il dissidente non ha esitato a fare i nomi di coloro che hanno torturato lui e la sua famiglia: Jia Yong e Zhang Shendong, tra i più assidui di casa Chen, ma compaiono anche Li Xianqing, capo dell’amministrazione della giustizia, e Zhang Jian, vice segretario addetto al controllo dell’ordine. Le violenze e i soprusi sarebbero stati attuati in nome del Partito, del quale i funzionari si sono spacciati per rappresentanti. Un’ingiustizia che – secondo quanto affermato da Chen nel suo messaggio- rischierebbe di screditare l’immagine del Partito stesso.

Chen Guangcheng, 40 anni, originario della provincia dello Shandong, sei anni fa ha sfidato il diktat del governo violando la legge del figlio unico. Il frutto del suo amore, una bambina “clandestina”, è stata privata di tutti i diritti civili; quanto a lui, ha scontato quattro anni e tre mesi di lavori forzati nei laogai (l’accusa ufficiale fu di danneggiamento di immobili e blocco del traffico mentre era a capo di una manifestazione), ma la sua odissea è continuata anche dopo il rilascio.

Sebbene cieco dalla nascita, Chen sembra vederci meglio di tanti altri e, una volta riassaporata la libertà nel settembre 2010, non ha rinunciato a portare avanti la sua battaglia. Sottoposto agli arresti domiciliari insieme alla moglie e alla figlia (il primogenito è stato strappato ai genitori e affidato ai nonni per ordine del giudice tutelare), la famiglia Chen era riuscita a gabbare i controlli governativi e a comunicare con il mondo esterno attraverso un “video-denuncia”, diffuso in seguito da China Aid.

La risposta del Partito non si è fatta attendere: lo scorso febbraio dieci funzionari locali, fatta irruzione nella residenza del dissidente, hanno pestato a sangue i due coniugi per due ore di seguito; la donna è svenuta a causa delle percosse subite. Ma non solo. La famiglia Chen è stata in seguito privata dei beni di prima necessità e dei medicinali di cui Guangcheng necessita a causa di alcuni disturbi cronici, mentre l’abitazione è stata trasformata in una prigione: sigillate le finestre, sequestrati oggetti tra i quali computer, televisione, il bastone per ciechi dell’uomo e i giocattoli della figlia. Un impianto di telecamere monitorizza ogni movimento all’interno della casa-prigione per scongiurare ogni pericolo di fuga; misure precauzionali, queste, che alla luce dei nuovi accadimenti sembrerebbero essersi rivelate insufficienti.

Chen, che nel 2005 aveva denunciato i metodi poco ortodossi per il controllo delle nascite adottati dalle autorità nella contea di Linyi – che vanno dalle percosse agli aborti coatti – ha messo in luce un bilancio agghiacciante: nella provincia dello Shandong, in un solo anno, sarebbero state imposte oltre 7mila sterilizzazioni forzate. Oggi, con un totale di 130mila denunce per aborti coatti, il nome del dissidente appare nella classifica dei “100 uomini che hanno dato forma al mondo”, stilata dal Time.

Lo scorso ottobre, entro i confini della Grande Muraglia la rete ha dimostrato la sua solidarietà nei confronti dell’attivista, pubblicando online oltre 210 fotoritratti in venti giorni, contraddistinti tutti dagli occhi coperti a simboleggiare quella menomazione fisica che non ha, tuttavia, impedito a Chen di vedere le ingiustizie che lacerano il suo Paese. “Supportiamo Guangcheng, aiutiamo Guangcheng” è il nome della campagna lanciata su internet diventata il leitmotiv dei microblog in salsa di soia, mentre il polverone mediatico si è spostato dal web alla carta stampata, innescando una querelle che ha visto quotidiani dalle inclinazione più liberali opporsi agli organi di stampa governativi (leggi: Oriental Morning Post VS Global Times).

Anche la comunità internazionale è in grande apprensione per la sorte dell’attivista. Al tam tam degli ultimi tempi, che ha dato vita a quello che viene chiamato sarcasticamente dai netizen ” turismo di avventura nello Shandong”, ha fatto seguito un’ulteriore stretta della polizia locale: diversi amici e giornalisti stranieri sono stati arrestati o hanno subito minacce per aver tentato di avvicinarsi all’abitazione del dissidente cinese, e chiunque cerchi di entrare nel villaggio di Dongshigu fa inesorabilmente ritorno a casa con una buona dose di lividi. E lo sa bene Christian Bale, Batman sul grande schermo, allontanato a spintoni lo scorso anno mentre tentava di raggiungere la casa di Chen con una troupe della CNN.

La voce del dissenso aveva raggiunto il grande pubblico proprio grazie alla mediazione dell’Occidente: Women’s Right Without Frontiers, in collaborazione con il CNN e China Aid, aveva realizzato un video nel quale era lo stesso Chen Guangcheng ha rilasciare una breve, sebbene pungente, dichiarazione d’intenti: “La cosa che possiamo fare è dominare il terrore e denunciare la loro sfacciataggine che è disumana e priva di coscienza. Dobbiamo esporre ogni loro misfatto nascosto. Per la realizzazione di questo video sono perfettamente pronto, so che possono torturarmi come fecero con Gao Zhisheng (altro dissidente cinese) ma non ho paura”.

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