Bangladesh, accordo sulla sicurezza nelle fabbriche tessili. Ma non tutti partecipano

Più di trenta i marchi occidentali che hanno aderito: tra questi Benetton, Primark, Calvin Klein e Zara

DACCA – Quando tutto fila per il verso giusto portano a casa un dollaro, hanno cucito per dodici ore di fila, e non si sono intossicati con i prodotti che producono la sabbiatura de jeans che tanto piace alla clientela occidentale. Un prodotto finale che per le t-shirt ha un costo che varia da un euro ai 5. Ma che viene rivenduta anche a 50 euro. Si tratta di alcune circostanze economico sociali in cui lavorano gli operai del crollo del comparto tessile in Bangladesh. Un paese recentemente scosso dal crollo della Rana Plaza: otto piani di fabbrica piovuti sulle teste di più di 4 mila operai. Più di 1100 i morti solo lo scorso 24 aprile alla periferia di Dacca. Solo per citare quella più clamorosa.

Qualcosa potrebbe cambiare nei prossimi cinque anni. Non tanto per quanto riguarda le condizioni disumane che spolpano le vite delle lavoratrici asiatiche. Quanto piuttosto per le condizioni di sicurezza dei baracconi che ospitano le attività produttive. E’ partito il piano operativo per la messa a norma delle fabbriche asiatiche. Un “Accord on Fire and Building Safety” stipulato lo scorso martedì negli Stati Uniti tra i 30 maggiori retailer occidentali. Un accordo frenetico, a cui molti hanno aderito solo nelle ultime ore. Sei fogli in cui sostanzialmente si annuncia che nessun operaio potrà morire di incendi prevedibili. Scaturiti cioè da anomalie strutturali, non da azioni fortuite. Fino a 500 mila dollari all’anno di investimenti per la messa in sicurezza delle fabbriche tessili, ma anche continue ispezioni, a cui ha preso parte anche una dei marchi del comparto tessile italiano più conosciuto nel mondo.

Dopo il siparietto sulla Rana Plaza non poteva certo divincolarsi, infatti, la Benetton. Dal “No non siamo coinvolti” al “Si abbiamo avuto qualche commessa, ma tempo fa” fino alle foto delle etichette dell’azienda di Ponzano Veneto che spuntavano dalle macerie fumanti pochi giorni dopo il crollo della fabbrica della morte 25km a Nord est di Dacca. Esattamente come la svedese HM, le inglesi Primark e Bonmarche, le spagnole El Corte Ingles, Mango. Ma anche Inditex (che produce Zara) e Tesco. Così come la francese Carrefour e la tedesca Lidl. Si uniscono alle più di trenta firme eccellenti la C&A, PVH (che produce Tommy Hillfiger e Calvin Klein), Tchibo, Marks & Spencer, Jbc, KiK, Helly Hansen, G-Star, Aldi, New Look, Mothercare, Loblaws, Sainsbury’s, Stockmann, WE Europe, Esprit, Rewe, Next, Hess Natur, Switcher, Abercrombie & Fitch, John Lewis, Charles Vögele, V&D, Otto Group, e S.Oliver. Infine la N. Brown group (SimplyBe, High&Mighty etc.).

Un gran bell’elenco, almeno dal punto di vista qualitativo, quello della case sottoscrittrici che ha aderito alla “We made it” tra i più grandi marchi occidentali. A cui mancano però le italiane Itd Srl, o la Pellegrini Aec Srl e la De Blasio Spa. Senza dimenticare la Essenza Spa, che produce il marchio Yes-Zee. Tutte coinvolte nelle attività produttive della Rana Plaza. Presenti in Bangladesh, ma non nell’accordo sono anche le americane Foot Locker, Gap, OshKosh, Nordstrom, American Eagle Outfitters, The Children Place, Target e North Face e Walmart. In Francia mancano all’appello la Leclerc, una delle aziende coinvolte nell’incidente, sempre in Bangladesh, del 9 maggio in cui sono morte 8 persone.

Particolare rammarico è stato espresso dalla “Clean Clothes Campaign” per quanto riguarda Gap e la Walmart. La Ong olandese che si occupa di soprusi ai danni dei lavoratori del comparto tessile dei paesi in via di sviluppo, nel denunciare il mancato accordo con le due major tessili americane, ha detto che si aspettano la revisione di questi accordi e nelle loro posizioni. “I consumatori non dimenticano queste cose” ha concluso. Dal suo canto la statunitense Gap si è celata dietro una posizione intransigente, poggiata su un accordo con basi contrattuali differenti. Tutto Mentre il plauso della Ong che ha fatto emergere le firme coinvolte nel Rana Plaza è speso per la Hm, nell’occhio del ciclone per il Rana Plaza, ma anche la prima ad aver firmato l’accordo concluso dopo lo scorso martedì. E mentre gli scioperi delle fabbriche tessili si spengono e le agili mani filanti delle donne asiatiche tornano a tessere. In attesa che nei prossimi cinque anni le cose migliorino.

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