Merkel cede alla Spd, dal 2016 sì al salario minimo in Germania

ROMA – “Dovremo assumere decisioni che alla luce del mio programma non considero giuste, tra le altre quella su un salario minimo generalizzato”, è quanto ha detto detto Angela Merkel intervenendo al Führungstreffen Wirtschaft, la conferenza dei leader d’impresa tedeschi. 

E’ il “Mindestlohn”, ovvero il salario minimo, a guadagnare il primo posto tra le dieci richieste fondamentali del Partito Socialdemocratico tedesco, su cui il segretario Sigmar Gabriel ha dichiarato apertamente di non essere intenzionato a negoziare.

L’unica via della Merkel è stata quindi quella della groβe Koalition, una coalizione apparentemente imposta dalla logica parlamentare non avendo ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi del Bundestag alle elezioni di settembre scorso.
Il salario minimo nazionale in questione sarà di 8,50 euro l’ora e giocherà un “ruolo” in futuro, come ha detto la Merkel durante  una manifestazione dei giovani della Cdu.
“Non sarà certamente la nostra visione di un salario minimo” ha commentato poi la Cancelliera, aggiungendo che senza questo “cedimento” l’Unione Cristiano Democratica non riuscirebbe a dare vita ad una coalizione di governo efficace e che i vertici del partito faranno tutto il possibile affinché questo cambiamento non produca effetti negativi sulla fiorente economia tedesca in Europa che vanta tassi di disoccupazione ai minimi storici.
Ma la Spd vuole a tutti i costi portare a casa questo risultato, significativo anche per far capire agli elettori e ai propri iscritti che non ci saranno cedimenti su quelli che sono valori fondamentali per la sinistra, come successe in passato.
Ma le critiche non tardano ad arrivare, è “inaccettabile” infatti per Detlef Wetzel, presidente della lg Metall, il sindacato dei metalmeccanici tedeschi, che per l’introduzione del salario minimo bisognerà aspettare fino al 2016.
Dal canto suo invece il neopresidente della Bda, la “Confindustria tedesca”, Ingo Kramer, afferma che in alcune situazioni ci sono “buone ragioni” per tenere inizialmente bassi gli stipendi.

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