Egitto e Siria, due polveriere pronte ad esplodere

ROMA – In Egitto e Siria continuano gli scontri da guerra civile. A tre anni di distanza dalla rivoluzione di piazza Tahrir, che portò alla destituzione del regime di Hosni Mubarak, l’Egitto vive nuove ore di terrore. Finora sono morti almeno 49 dimostranti, una carneficina tristemente prevista. «È un massacro», hanno denunciato i sostenitori del deposto lo presidente  Mohamed Morsi.

Altri testimoni hanno però sottolineato che i dimostranti hanno lanciato molotov e pietre contro le forze dell’ordine schierate per impedire dimostrazioni. Gli unici a cui è stato consentito di affollare a migliaia, piazza Tahrir simbolo della rivoluzione del 25 gennaio 2011, sono stato i sostenitori di Al Sisi proprio per onorare al generale capo dell’esercito.

Le formazioni collegate dell’opposizione laica, si erano date appuntamento alle 13 intenzionate a marciare verso piazza Tahrir, chiusa però sin dal 24 gennaio e presidiata dai carri armati M113, con checkpoint e filo spinato lungo le strade d’accesso.

Oltre 1.000 persone sarebbero state arrestate andandosi ad aggiungere alle 300 finite in manette il giorno precedente. In Sinai, intanto, è in corso una vera e propria offensiva militare e le autorità, seppure sottovoce, hanno parlato di una vera e propria guerra in corso. I qaedisti, tornati a farsi sentire con forza dopo la destituzione di Morsi, hanno dal canto loro proclamato la Jihad, la guerra santa.

Contemporaneamente sul territorio siriano continua la guerra civile tra le truppe del regime di Assad e gli oppositori. Nonostante ciò provochi ancora morti a Ginevra continuano i negoziati per la ricerca di una difficile soluzione di pace. “Non abbiamo ottenuto molto, ma continuiamo”  ha dichiarato a fine giornata un deluso Lakhdar Brahimi,  il mediatore internazionale per la Siria che aggiunge “Continueremo per i prossimi giorni, forse settimane, se tutto andrà bene”e ancora precisa ” Il tentativo di mediazione domani si occuperà dei prigionieri e delle persone rapite”. 

Al centro dei colloqui sono stati invece gli aiuti umanitari. Il diplomatico algerino auspica che i primi convogli possano entrare nella città di Homs, già lunedì. La città è in mano ai ribelli, ma da mesi assediata dai governativi ed è stata una delle più gravemente colpite dalla guerra. “Non siamo qui per parlare di sentimenti, siamo qui per difendere gli interessi del nostro paese e andare avanti”, ha detto Bashar al Jaafari alla France Presse, capo negoziatore del governo, al termine del primo incontro. “Siamo qui, siamo seri, abbiamo indicazioni chiare – ha aggiunto l’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite – siamo venuti con spirito aperto e positivo e vogliamo far uscire il paese da questa situazione, tutelando gli interessi dei siriani”. 

Anas al Abdè, uno dei negoziatori dell’opposizione, a fine di una riunione  ha detto: “Abbiamo sentimenti contrastanti. Non è stato facile per noi sederci con la delegazione che rappresenta gli assassini di Damasco, ma lo abbiamo fatto nell’interesse del popolo siriano, dei figli della Siria e per il futuro della Siria”.

 

ROBERTA GALIETI

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