Yemen. Il presidente delle promesse mancate: “Non mi dimetto”

ROMA – Il 27 giugno di quest’anno,  il presidente dello Yemen, Ali Abdullah Saleh, ancora ricoverato in Arabia Saudita, annunciava il suo ritorno nello Yemen, promettendo elezioni anticipate, un governo di coalizione e una riforma istituzionale che dia forti poteri al Parlamento. Mantenendo  solo un ruolo onorifico.

Oggi dichiara a Times e Washington Post: “Il popolo è con me. Non mi dimetto”. Nonostante le defezioni di generali di primo piano e di diplomatici, passati al fianco dei ribelli dopo la violenta repressione di venerdì , con 52 morti. “Se trasferisco il mio potere e i miei oppositori restano lì, significa che ho ceduto ad un colpo di stato”  . Concorde la decisione degli ambasciatori yemeniti a Parigi Bruxelles, Ginevra, Berlino, e il console a Francoforte: lasci il potere. A proposito dell’accordo proposto dal Consiglio di Cooperazione del Golfo che si è finora rifiutato di siglare, il presidente yemenita ha detto: “C’è stato un malinteso, siamo intenzionati a firmarlo nei prossimi giorni se l’opposizione ci viene più incontro. Non vogliamo che la crisi continui. Vogliamo che il paese esca dalla crisi. Il trasferimento di poteri è un dato di fatto, prima o poi”.  Queste dichiarazioni coincidono stranamente con la morte, in data odierna,  di Anwar al-Awlaki, religioso di origine americana, terrorista globale,  legato all’ala yemenita di al Qaeda. Awlaki, 40 anni, è stato colpito in un raid mattutino ad al-Jawf, provincia settentrionale che confina con l’Arabia Saudita. Con lui sono stati uccisi altri quattro presunti appartenenti ad al Qaeda.

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