Crimini di guerra in Kosovo: tutti sapevano

Tutti sapevano, ma ha prevalso l’opportunismo, la volontà di non destabilizzare il quadro politico.

E così fino ad oggi si è deciso di chiudere un occhio sui crimini di cui si sarebbero macchiati i guerriglieri dell’Uck, l’esercito di liberazione del Kosovo. Crimini commessi soprattutto tra il 1999 e il 2000, dopo la fine dei raid aerei in Serbia, e il ritiro delle truppe di Milosevic dal territorio della provincia indipendentista. Prigionieri serbi e kosovari albanesi accusati di collaborazionismo avrebbero subito trattamenti disumani prima di essere uccisi per alimentare un traffico di organi.

Lo dice chiaramente Dick Marty, il senatore svizzero che per conto del Consiglio d’Europa ha curato il rapporto presentato il 15 dicembre. Lo dice in una intervista a Tommaso Di Francesco de il manifesto. Tutti sapevano che il Gruppo di Drenica, un’unità paramilitare impegnata in operazioni contro le forze serbe, diventata poi una sorta di clan mafioso coinvolto in traffici di stupefacenti, armi, donne e, per l’appunto, organi, si identificava in Hashim Thaci, nome di battaglia “il serpente”, attuale primo ministro kosovaro, riconfermato alle elezioni di domenica scorsa, sulle quali grava il sospetto di brogli elettorali. “Il nome di Thaci è citato in diversi rapporti, da anni: in quelli dei servizi segreti occidentali, negli studi sul posto, nei rapporti della polizia internazionale. Insomma, tutti sapevano”. E ancora: “tra una scelta di opportunità politica e quella della tutela dei valori e dei diritti umani è stata fatta una scelta a favore della prima”.
Thaci bolla le accuse come “ingiurie”, e alcune fonti diplomatiche a Pristina, capitale dello stato autoproclamatosi indipendente da Belgrado nel 2008, sottolineano la tempistica: una bomba esplosa tre giorni dopo le elezioni. La storia, però, è nota ai più almeno da un paio d’anni. Tutto parte dalle denunce racchiuse ne “La Caccia”, il libro del 2008 di Carla Del Ponte, il procuratore capo al Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia.
Il rapporto di Marty, frutto di un lavoro di oltre due anni, è accompagnato da una proposta di risoluzione che dovrà essere votata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, il prossimo 25 gennaio. Per ora è passata al vaglio della Commissione affari legali per i diritti umani che l’ha approvata all’unanimità.
Si legge nel rapporto: “Numerosi indizi sembrano confermare che, nel periodo immediatamente successivo alla fine del conflitto armato, ad alcuni prigionieri sarebbero stati prelevati organi, all’interno di una clinica situata in territorio albanese, vicino Fushë-Kruje, in seguito trasportati all’estero per i trapianti”. 1869 sono gli scomparsi. Di 470, quasi tutti di origine serba, ma anche rom e 95 kosovaro albanesi, si sarebbero perse le tracce addirittura dopo il dispiegamento delle truppe Nato.

Ieri, il primo ministro serbo, Mirko Cvetković, ha detto che la Serbia si aspetta indagini accurate da parte dell’Eulex, la missione dell’Unione Europea che dal 2008 ha ereditato alcune funzioni dell’amministrazione provvisoria Onu. C’è da dire che la missione di polizia UE aveva già avviato un’indagine arrivando però ad un nulla di fatto. Già in quella occasione si era parlato di una “casa gialla”, richiamata anche nel rapporto Marty. La casa in questione si troverebbe nelle vicinanze di Rripe, una delle città albanesi indicate per la presenza di campi di prigionia gestiti dall’Uck.

La casa gialla sarebbe stata un punto di snodo centrale nel traffico degli organi. Occupata dal luglio 1999 fino alla primavera 2000 da uomini di Thaci, sarebbe stato il luogo dove venivano fatte le analisi del sangue e dei tessuti per verificare le condizioni di salute dei prigionieri, trasferiti poi alla clinica di Fushë-Kruje. Lì, secondo le ricostruzioni, sarebbero avvenute le esecuzioni: un colpo di pistola alla nuca, e poi sotto i ferri per gli espianti.
Al momento sembra che tutti gli organismi internazionali chiamati in causa, la Nato, l’Onu, l’Unione Europea, non abbiano niente da dire al riguardo. Gli Stati Uniti, dal canto loro, hanno confermato il sostegno al governo kosovaro. Philip Crowley, del Dipartimento di stato, ha affermato che le accuse a Thaci, “innocente fino a prova contraria”, non modificheranno per adesso i rapporti tra gli Stati Uniti e il piccolo stato balcanico. Pur sottolineando che gli Usa hanno interesse a che si faccia chiarezza e si indaghi, ha ricordato come il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia non abbia ritenuto opportuno intervenire, pur in presenza di simili indizi.

Kosovo: dalla guerra umanitaria alla nuova vittoria del “serpente”

Febbraio 1998
Le tensioni etniche raggiungono l’apice e dal mese successivo cominciano gli scontri armati tra la polizia serba e l’Uck, l’esercito separatista. Comincia l’esodo dei civili albanesi. Si verificano le prime sparizioni di serbi e albanesi.
Settembre 1998
Arriva l’ultimatum della Nato. Alla Serbia, guidata dal presidente Slobodan Milosevic, viene intimato di arrestare le misure repressive contro i kosovaro-albanesi.
24 marzo 1999
Falliti i negoziati di pace, e senza alcuna legittimazione delle Nazioni Unite, partono i raid aerei della Nato sulla Serbia. A mezzo secolo di distanza ritorna la guerra sul suolo europeo. Il governo D’Alema autorizza l’uso delle basi militari italiane. Dopo 78 giorni di bombardamenti, Milosevic ritira le sue truppe.
Giugno 1999
Il Kosovo passa sotto l’amministrazione Onu. Comincia la Kfor, missione militare di peacekeeping guidata dalla Nato su mandato delle Nazioni Unite (risoluzione 1244). Nonostante la presenza di truppe internazionali, sarebbero proseguite le uccisioni dei prigionieri, sia serbi che albanesi, ad opera dell’Uck, finalizzate al traffico di organi.
4 marzo 2002
Ibrahim Rugova, leader pacifista della Lega democratica del Kosovo, Ldk, viene proclamato presidente dall’assemblea parlamentare.
Marzo 2004
19 morti negli scontri tra serbi e albanesi. La miccia si accende nella città divisa di Mitrovica. Sono gli scontri più duri dalla fine della guerra.
Dicembre 2004
Il Parlamento conferma Rugova presidente e elegge come primo ministro Ramush Haradinaj, ex comandante dell’Uck. Accusato di crimini di guerra, Haradinaj si dimetterà pochi mesi dopo.
21 gennaio 2006. Per un tumore muore Rugova. A febbraio viene nominato presidente Fatmir Sejdiu
17 novembre 2007
Si svolgono le elezioni legislative. Vince il Pdk, Partito democratico del Kosovo, guidato da Hashim Thaci. La stragrande maggioranza della popolazione serba non partecipa. L’affluenza alle urne si ferma al 45%.
17 febbraio 2008
Il Kosovo proclama l’indipendenza in maniera unilaterale. La capitale è Pristina. Viene riconosciuto come stato indipendente dagli Stati Uniti e da quasi tutte le maggiori nazioni europee. Tra i paesi che non riconoscono l’indipendenza ci sono Grecia, Spagna, Russia e Cina. Secondo la risoluzione Onu 1244, ufficialmente ricadrebbe ancora sotto la sovranità serba.
27 settembre 2010
Si dimette il presidente Sejdiu, accusato di violare la Costituzione, accumulando la carica di capo dello stato e leader della Ldk
15 ottobre 2010
La Ldk toglie l’appoggio al governo, ritirando i suoi ministri.
2 novembre 2010
Hashim Thaci viene sfiduciato. Gli votano contro anche molti parlamentari del suo stesso partito.
12 dicembre 2010
Prime elezioni dalla proclamazione dell’indipendenza, il Pdk ottiene la maggioranza relativa con il 33,5% dei voti. Sospetti di brogli soprattutto nelle aree controllate dal clan di Thaci, dove avrebbero votato il 90% degli aventi diritto. L’affluenza media è al 47,5%.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe