Scuola tagliata, futuro negato. Ecco come si uccide la cultura

ROMA – Ginevra: una bambina di sette anni, una bambina come tante, una cittadina italiana. La sua mamma: un’insegnante precaria.

Il suo papà: un ricercatore universitario. Ginevra ora respira cultura, domani forse ne sarà pregna e, grazie ad essa, sarà libera di credere e pensare con la sua testa. Non apparterrà alla folla anonima, non seguirà “pecorum ritu antecedentium gregem” (Sen., De v.b. 1,3), “a mo’ di pecore il gregge di coloro che precedono”. Ma come vivrà? Di che cosa vivrà? E, come lei, come vivranno i figli di tutti i precari e disoccupati del nostro tempo?

I tagli in ogni settore mietono le persone come fossero spighe di grano. Non siamo però grano atto a produrre farina, siamo uomini e donne privati quotidianamente dei diritti e doveri costituzionali, ma soprattutto della nostra dignità.

Il governo del nostro Paese con le sue ingannevoli riforme, che mirano da una parte alla valorizzazione, al merito, alla formazione iniziale ed in itinere del personale insegnante nella scuola e dall’altra ad una nuova composizione del Consiglio di amministrazione di ateneo, ad un percorso unico per la carriera professionale dei docenti universitari, all’abilitazione scientifica ed alla progressione di carriera, non fa che distruggere la cultura con l’unico scopo di ridurre i giovani a massa incapace di riflettere. E’ dannoso aggrapparsi a chi precede, perché nessuno cade senza trascinare su di sé un altro. E’ solo usando il proprio giudizio che ci terremo appartati dalla calca. C’è allora da chiedersi come, a fronte di mancanza di risorse economiche, sia possibile ristrutturare la scuola e l’Università ed ancor più sia possibile mettere in atto un processo di cambiamento senza consenso e partecipazione dei docenti.

Fronte scuola

Molti istituti scolastici statali sono fatiscenti: porte e vetri rotti, aule allagate quando piove, bagni inagibili, sale computer e laboratori inesistenti. Nulla a che vedere con gli istituti paritari, ai quali il nostro governo però destina milioni di euro, pur pagando gli iscritti rette fino a 8.000 euro l’anno. Le classi sono sovraffollate, anche 31 alunni in un’aula, in barba alla normativa sulla sicurezza.

Ha mai provato il Ministro Gelmini a far lezione in una classe con più di 30 adolescenti? E’ possibile riuscire a valutarli veramente tutti?

I nostri giovani, secondo l’INVALSI, che li sottopone a test periodici, sono risultati carenti in materie come italiano e matematica. Cosa fa allora il Ministero? Paga la società per i test e riduce le ore a scuola? Poi, improvvisamente, a pochi mesi di distanza, l’OCSE colloca, quanto a performance, gli studenti italiani in posizione più alta rispetto al 2000, mostrando una riduzione del divario con gli altri Paesi coinvolti nell’indagine. A cosa credere dunque?

Come si può pensare inoltre di sostenere i docenti, senza fornire strumenti e risorse in grado di metterli in condizione di svolgere bene il proprio lavoro? Come porre termine al precariato, se, a fronte, di posti disponibili, si chiama in ruolo con il contagocce, per risparmiare il più possibile?

E poi ancora come credere che i docenti inseriti in terza fascia d’istituto, i cosiddetti docenti invisibili da abilitare, in possesso dei titoli e dei requisiti curriculari necessari all’insegnamento, che il Ministro Gelmini considera nulla, ma che ancora oggi, pur in tempo di razionalizzazione, assume, per ricoprire cattedre vacanti o assenze per malattie o maternità, con gli stessi incarichi e mansioni dei colleghi abilitati e di ruolo, possano accettare, al pari dei neolaureati, di sottoporsi a prove scritte ed orali, per accedere ad un TFA, Tirocinio Formativo Attivo, che li abiliti ad insegnare quello che hanno insegnato a volte già per dieci, quindici anni? Prove che forse non supereranno mai, non per ignoranza o incapacità, ma  perché i posti messi a disposizione saranno inferiori al numero delle domande o, come già per le SISS, che hanno abilitato al Sud personale anche dieci volte superiore a quello del Centro e del Nord, conoscenze, tesseramenti politici e sindacali apriranno le porte a chi in cattedra non è mai salito.

I contratti a tempo determinato sembrano non avere mai fine.

Fronte Università

Per l’Università s’invoca la riforma in nome della lotta ai baroni. Si prevede che il Consiglio di amministrazione di ciascun ateneo sia costituito solo da una minoranza di membri interni, tra cui il Rettore, e membri esterni nominati dal Ministero. E chi designerà il Ministero? Non è forse una nuova forma di nepotismo più o meno mascherato?

La carriera professionale continuerà ad essere divisa nelle tre fasce di Professore ordinario, Professore associato e Ricercatore. Otto docenti ordinari sorteggiati da una lista di 24 per ogni disciplina gestiranno unitamente ad un docente straniero, che avrà il compito di affiancarli, il concorso per l’abilitazione scientifica nazionale, che decreterà a chi assegnare l’incarico di ricercatore o la cattedra. C’è da domandarsi in base a quali criteri, di merito e non, verranno nominati i docenti in questione ed in base a quali criteri, anche qui di merito e non, ricercatori con anni di servizio alle spalle progrediranno nella carriera o saranno lasciati a casa, perché superati anche in questo caso dai neolaureati.. E’ vero che, allo stato attuale, i ricercatori che hanno lavorato per anni all’interno di un determinato dipartimento di una determinata Facoltà, sono, sempre a fronte di un concorso pubblico, favoriti dai Professori associati o ordinari, con i quali hanno collaborato. Ma è poi così sbagliato che i cosiddetti “baroni” preferiscano, sempre nel rispetto della qualità della ricerca e del merito, mantenere nel loro entourage persone che già conoscono piuttosto che perfetti sconosciuti, che potrebbero essere migliori o peggiori, ma sicuramente privi della stessa esperienza? Non avviene così anche in politica? Siamo forse noi cittadini a scegliere i nostri Ministri?  

E che dire poi degli accorpamenti di università limitrofe, della diminuzione dei corsi di laurea, dei tagli al personale?

Si vuole sottrarre l’Università a chi vi lavora, si vuole distruggere un’istituzione pubblica che vanta secoli di storia e di eccellenza in tutto il mondo, per lasciarla in mano a rappresentanze nominate dal Ministero, ad imprese e soggetti privati, seguendo il modello statunitense. Ma l’Università italiana non era di gran lunga superiore a quella americana?

Quale logica vuole seguire il nostro governo? Quella del risparmio a tutti i costi o quella dell’investimento vero? Un investimento che punti alla formazione della futura classe dirigente, alla collaborazione tra gli individui, la sola capace di portare frutto nella ricerca.

Sono dunque i fannulloni, i fuori corso, le persone che si lasciano strumentalizzare dalla politica di opposizione, come sostiene il nostro Presedente del Consiglio, a manifestare contro una riforma così pensata?
La mamma ed il papà di Ginevra non sono né fannulloni, né fuori corso, né individui facilmente influenzabili, ma solo genitori che oggi fanno fatica a vedere un futuro.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe