Ancora Ruby: indagato Berlusconi

ROMA – Parlare di Berlusconi è noioso. Di una noia mortale.

È noioso parlarne per strada, e al bar, con la gente, perché tanto “chi lo ama, lo ama; chi lo odia, lo odia”. E non li convinci dell’opposto. Sassi contro un muro. È ancor più noioso scriverne. È stato detto e analizzato veramente tutto, il punto di vista è sempre di parte e, anche qui, non convinci nessuno: Berlusconi suscita un sentimento manicheo. O lo ami o lo odi.

Il paradosso è che “ogni giorno ce n’è una”, come diceva mia nonna, quando da bambino ne combinavo di tutti i colori e lei, incredula, doveva affrontare ogni volta una marachella diversa. Ed oggi siamo qui a commentare non la bocciatura della Consulta dell’ennesima legge ad personam. No, perché quello era ieri. Oggi siamo qui a scrivere dell’iscrizione di Berlusconi al registro degli indagati della procura di Milano per il caso Ruby, accusato di concussione e sfruttamento della prostituzione. Basta così? No: prostituzione minorile.

Mia nonna, appunto. Si parlava di nonni, e battere con la tastiera la parola “Berlusconi” accanto a quella di “minorenne”, fa veramente cadere le braccia. Ti viene voglia di spaccare il monitor contro il muro, dare un calcione al mobile della libreria, sbattere la porta ed uscire di casa all’aria aperta, fresca. Pensare al Presidente del Consiglio ultrasettantenne che fa festini con le minorenni è disarmante. Non è parlare di politica, né fare del moralismo. È semplicemente disarmante.

Una volta lessi un articolo di Giorgio Bocca in cui lo scrittore e giornalista elencava una serie di questioni che distinguevano emblematicamente i “suoi” tempi dai “nostri”, quelli della cricca, degli affaristi, dei leccapiedi governativi, insomma: i tempi del berlusconismo. Fra questi punti c’era “la sana paura delle forze armate”. Ricordo che mi indignai e fui contrariato.

Bocca sosteneva che adesso non esiste più, tanto si è sicuri ed arrogantemente spavaldi di farla franca, quel sano timore nei confronti delle forze armate, intese come rappresentanti dell’autorità. Oggi si delinque con impudenza, con noncuranza, con sufficienza. “Loro non sanno chi sono io. Che possono farmi? Male che vada li corrompo”.

Mi indignai perché non ero d’accordo e non lo sono nemmeno oggi. Un sano rispetto -e se non esso, il timore dell’autorità, non è a mio parere una questione di tempo, ma di educazione, di forma mentis, di predisposizione sociale, di accettazione dell’altro all’interno di una totalità, di convivenza democratica. Non vado contro le regole per rispetto e se lo faccio me ne assumo le responsabilità, affrontando i miei accusatori col dovuto timore, perché ho torto. Da uomo.

In Italia assistiamo invece ad una insostenibile e stucchevole, deplorevole farsa quotidiana il cui copione è sempre lo stesso: il potente di turno scarica continuamente le responsabilità sugli altri, accusando gli accusatori ed autoassolvendosi dopo la formula magica del giuramento populista. Così Alemanno dimette la giunta di Roma, ma non si dimette; Berlusconi accusa i giudici che lo accusano, ma non si fa processare; Dell’ Utri è condannato in secondo grado per mafia, ma gira con la scorta pagata dai contribuenti e via dicendo. L’elenco sarebbe tanto stucchevole quanto la situazione politica italiana.

Ora, detto tutto il dicibile, analizzato l’analizzabile, convinti i convincibili ed ascoltate le ragioni comprensibili dei comprensibili, non resta più niente, se non un’ immagine, nella mia mente: Emilio Fede, 79 anni, che assiste ad una sfilata in cui c’è Ruby, sedicenne, e la sceglie, come una mucca, per i festini suoi e dei suoi amici. Chiama Lele Mora, 56 anni, e gli dice “stasera Bunga Bunga”, alludendo all’imminente festa di Arcore nella reggia di Silvio Berlusconi, 74 anni, Presidente del Consiglio.

Spero non sia vero, che le accuse decadano, nonostante i file trovati nel computer della ragazza e le testimonianze. Spero che gli indagati si facciano processare, da uomini, senza invocare congiure di ogni tipo, perché lo devono, al di là di ogni moralismo, alle loro famiglie, ai loro figli, nipoti, compagne, mogli ed ex mogli. Ma più di tutti lo devono a se stessi. Perché nonostante gli specchi di legno, lo squallore puzza.

Condividi sui social

Articoli correlati

Università

Poesia

Note fuori le righe