Brindisi. Strage con finalità terroristiche. Analisi dello scenario e dei ritardi

ROMA – A  Brindisi è stata data una definizione molto chiara della tragedia andata in scena sabato scorso: “strage con finalità terroristiche”.

Partiamo da qui, da quello su cui si indaga. Sulle finalità terroristiche, che escludono di fatto l’atto di un folle isolato. Crolla l’ipotesi, anche se molta “buona” stampa continua a rimestare in questa suggestione, promossa a unica pista credibile da un Procuratore di Brindisi affrettato, che su questo ha speso ben più di una parola, creando inconsapevolmente, ma con l’aiuto sempre della “buona” stampa di cui sopra, un probabile intralcio al lavoro degli investigatori.

Fra l’altro, le fughe di notizie sulle indagini (continue e ripetute), la diffusione del video del presunto attentatore che si presume stesse premendo il tasto del telecomando di innesco (anche sul video ora ci sono innumerevoli dubbi) e la sua interpretazione, la conferenza stampa che annunciava grandi novità, identikit, e soprattutto le motivazioni del “folle”, hanno fatto danni di cui è ancora difficile valutare le conseguenze. Una delle conseguenze è certamente quella della sindrome del “linciaggio” andata in scena ieri nella città pugliese con tanto di auto civetta della polizia assaltata per strada e danneggiata perché era stata diffusa la notizia che c’era un indagato e alcuni avevano pensato che proprio su quell’auto ci fosse il “folle” pubblicizzato dal Procuratore e dai media. Il folle non c’era, non c’era l’indagato, emergono dubbi anche sull’inequivocabile video, si indaga su finalità terroristiche, si sono persi tre giorni con uno scontro probabilmente drammatico fra DDA di Lecce e procura di Brindisi che hanno costretto a precipitarsi d’urgenza ben due ministri e il procuratore nazionale Antimafia a sedare un conflitto fra procure e bloccare fughe di notizie (inesatte) che hanno probabilmente danneggiato il corso delle indagini. Il video in particolare, diffuso in quella maniera e annunciato a tutto spiano, ha annullato il vantaggio sugli esecutori dell’attentato.
Il ruolo giocato dai media (non solo televisivi) è stato devastante. La caccia alla notizia non verificata, alla voce di corridoio, allo scambio fra “visibilità” e “indiscrizioni”. Tutto gettato in pasta a un pubblico terrorizzato e sconvolto comprensibilmente per quello che era successo.

Ma andiamo ai fatti. La dinamica dell’attentato. Un ordigno posizionato in un preciso punto davanti alla scuola all’interno di una bidone della spazzatura che viene spostato nella notte. Tre bombole di gpl (con un peso minimo complessivo di 50 kg) infilate nel bidone. Già solo questi fattori escludono che si tratti di un solo attentatore.
Poi. Il doppio innesco. Un innesco a distanza (telecomando o cellulare) che attiva un sensore di movimento che al momento del primo passaggio davanti a quel bidone fa scattare il detonatore. Questo fatto apre uno scenario davvero impressionante. Non si cercava una strage “indiscriminata”, ma si voleva colpire un determinato gruppo di studenti di un preciso comune. Questo è quello che sembrerebbe indicare questa sequenza. Perché il primo innesco per evitare proprio un’esplosione che coinvolga altri viene attivato solo quando sopraggiunge e apre le porte il pullman carico di studenti da Messagne, il paese considerato il luogo dove ha avuto origine la Sacra Corona Unità per battesimo e figliazione della ‘ndrangheta e per decenni ne è stata la capitale. Messagne, dove da alcuni mesi è in atto un’escalation militare (attentati dinamitardi, sparatorie etc) della SCU dopo anni di ritirata a seguito degli arresti e di un’offensiva vincente dello Stato.

Un messaggio, terribile, lanciato alle famiglie della SCU di Messagne? Da parte di chi? E’ in atto un conflitto fra nuova SCU e il sodalizio criminale originario, la ‘ndrangheta calabrese che potrebbe aver occupato gli spazi lasciati scoperti dalle vecchie famiglie e che ora i giovani emergenti di Mesagne intendevano rivendicare?
In questa zona non c’è solo il racket in ballo. La Puglia è centrale nelle logiche dei traffici illeciti nel Mediterraneo, sia della cocaina che dei rifiuti (storici business della ‘ndrangheta) che di quelli di esseri umani e tabacchi.

Può bastare la necessità di lanciare un messaggio a una mafia rivale a aver innescato un atto del genere? Una strage di studenti davanti a una scuola? Certo che no. E infatti, di messaggi attorno a questa strage sembrano essercene davvero tanti e tanti sembrano essere i destinatari. La mafia, che sia calabrese o siciliana o campana e pugliese, ottimizza sempre azioni del genere. Se si arriva a uccidere, e figuriamoci se si arriva a organizzare e mettere in atto una strage, ogni azione e modalità è studiata per comunicare direttamente e indirettamente a più soggetti. Quindi la scelta del tipo di innesco e di obiettivo. Quindi il luogo, la scuola intitolata a Francesca Morvillo. Quindi il momento, praticamente nell’ultimo possibile prima dell’apertura delle urne per i ballottaggi e alla vigilia del ventesimo anniversario della strage di Capaci. Quindi ancora data e luogo insieme, Brindisi e nel giorno in cui sarebbe giunta la Carovana antimafia.
Questi i possibili collegamenti diretti e più semplici da individuare.
Poi c’è un altro scenario forse perfino più inquietante. Leggiamo cosa dichiara Piergiorgio Morosini, Gip a Palermo e segretario di Magistratura democratica per spiegare le analogie fra il periodo terroristico/swtragista del 92/93 e quello che stiamo attraversando. “La mafia ha sempre giocato un ruolo nei momenti di forte tensione e di riassetto del paese. Come se intendesse inserirsi nei momenti di incertezza per conquistarsi spazi. Le faccio un esempio. Emerge chiaramente dagli atti della commissione Antimafia presieduta da Luciano Violante negli anni 90 – ne parlano diffusamente collaboratori del calibro di Buscetta e Calderone – come nel periodo difficilissimo fra il ’69 e i primi anni 70 Cosa nostra – per ritagliarsi in cambio uno spazio e realizzare i propri obiettivi, in particolare garantendosi impunità – intendesse porsi a disposizione di progetti destabilizzanti come il tentato golpe Borghese. Nei momenti di tenuta, di continuità, di stabilità, Cosa nostra ha storicamente ricercato e mantenuto rapporti diretti con singoli politici con i quali intessere relaziooni che garantissero i suoi interessi. In momenti di instabilità e di crisi, invece, ha sempre cercato di inserirsi per ricontrattare spazi e potere contribuendo anche a processi di destabilizzazione. All’interno dello scenario di grande instabilità apertosi nel ’92 Cosa nostra giocò un ruolo nell’accelerare la crisi e aggravarla, cercando poi di ottenere i propri obiettivi, principalmente impunità”.

Durante questa intervista, realizzata per lo speciale del Primo maggio di Rassegna sindacale solo poche settimane fa, Morosini sia direttamente che indirettamente ha cercato di trasmettermi l’allarme di uno scenario che, per la prima volta dopo vent’anni, presentava quelle caratteristiche che potevano insinuare la tentazione di alzare il livello di “contrattazione” delle organizzazioni mafiose a fronte di uno scenario di crisi della politica, delle istituzioni e dell’economia con tensioni sociali diffuse e pronte a deflagare. Poche settimane dopo questo colloquio un fatto, apparentemente distaccato, aveva alimentato il mio allarme. Lo spostamento dai vertici dei Servizi di De Gennaro a sottosegretario del governo Monti. Un vuoto, un varco, dove inserire un messaggio. Un fatto avvenuto in corrispondenza di un altro atto di violenza, l’attentato al dirigente di Ansaldo nucleare a Genova. Troppo facilmente accollato, anche questo, a una presunta pista anarchica davanti invece a modi di esecuzione che con quel tipo di organizzazione ha ben poco a che fare e invece molto ne ha con l’azione o di stampo brigatista tradizionale o con l’azione intimidatoria/comunicativa delle organizzazioni mafiose non solo italiane.

Sabato scorso, a poche ore dall’attentato di Brindisi, Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, ha rilasciato una breve dichiarazione che ho trovato estremamente significativa. Che suonava più o meno così: “se vogliamo capire quello che sta succedendo dobbiamo mettere in relazione fatti anche distanti e apparentemente non collegabili fra loro”. Aveva e ha perfettamente ragione.
L’attentato infatti ha una finalità terroristica ben chiara. Che dopo l’ubriacatura causata dalla fretta della soluzione facile e del folle isolato come attentatore, è ritornata finalmente al centro dell’attenzione (non di molti media che continuano a cercare il mostro da sbattere in diretta davanti agli italiani il più presto possibile). E si è perso tempo. Cercando un colpevole da spendere davanti alla telecamere in fretta per rassicurare il paese. Un colpevole qualunque. Come è avvenuto dopo la strage di via D’Amelio con la creazione del colpevole/collaboratore Scarrantino e con tre processi praticamente da riscrivere, oggi, quando precipita quella versione dei fatti, dopo vent’anni.

Per fortuna gli italiani, nonostante le tante amnesie e la sbronza del paese dei balocchi offertaci dal berlusconismo, hanno memoria ancora delle stragi di Stato, della strategia della tensione, dei tanti misteri e deviazioni e complicità anche interne alla politica, gli apparati e alle istituzioni. Ne hanno memoria chiara e chiedono ancora verità per il ruolo diretto e quello occulto che ha giocato la criminalità organizzata nell’intera storia repubblicana. E una versione così semplicistica e terribilmente rassicurante come quella del folle “pieno di rancore contro il mondo” non se la sono bevuta.

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