Il maggiordomo di Ratzinger non è il colpevole

ROMA – Uno degli aspetti più divertenti del “complottismo” è che di solito si concentra su fantasiose ricostruzioni, lontanissime dalla realtà. Quando poi i veri complotti emergono, non ha nulla o quasi da dire. Come accade in questi giorni con il caso Vatican Leaks.

Le cronache ci raccontano di realtà che in parte conoscevamo, ma delle quali non avevamo piena contezza. Ora sappiamo che nelle sacre mura si agisce come in  una qualsiasi cancelleria del mondo. Sappiamo che l’essere i depositari della fede condivisa da un miliardo di esseri umani non mette affatto al riparo dalle peggiori trame. Sappiamo che il Vaticano fatica a mettere ordine nella sua banca, lo Ior, e che i cardinali non si tengono lontani da “mammona”, ma fanno e disfano i consigli di amministrazione.
Sappiamo che esistevano informative, destinate al pontefice, circa le vicende del San Raffaele di Don Verzè. Sappiamo che il presidente della Repubblica si è incontrato “segretamente” con il Papa e che i documenti preparatori di quella cena contenevano non solo informazioni generali sul Presidente, ma soprattutto indicazioni di temi da trattare, temi puntualmente elencati e sviscerati, al centro delle polemiche tra laici e cattolici.
Sappiamo che le gerarchie vaticane interloquiscono costantemente con la politica per ottenere lo stop a leggi poco gradite, sia che si tratti di riconoscimenti delle coppie di fatto, sia che si tratti di Ici.

Sappiamo che la fucilazione mediatica del povero Dino Boffo sarebbe avvenuta, così sostiene l’interessato, per un fax inviato dal direttore dell’Osservatore Romano, forse in combutta con il cardinal Bertone. Ma su questo c’è solo la parola dell’interessato contro i suoi accusati. E’ però significativo che finora si pensasse a Boffo come a una vittima di Berlusconi, mentre Boffo aveva ben altri sospetti.

Poi ci sono le cose che ancora non sappiamo, o meglio che non sono ancora del tutto chiarite: il caso Orlandi e i motivi della sepoltura di un bandito in una chiesa (privilegio che dovrebbe essere riservato agli alti prelati) sono forse i temi più scottanti.

La Chiesa, insomma, non sembra in grado di impartire lezioni di morale a nessuno. Eppure, ascoltando i TG e leggendo le cronache dei maggiori quotidiani, sembra quasi che la vittima sia proprio la Chiesa e che il “colpevole” siano i giornalisti, le talpe e, come nei gialli, il maggiordomo, in questo caso il maggiordomo del Papa. Come nel caso Wikileaks, invece di aprire un’inchiesta sulle trame oscure rivelate dalle fuga di notizie, si arresta chi ha fatto fuggire le notizie, il povero Paolo Gabriele, il novello Assange dei palazzi pontifici.

Come Assange, Paolo Gabriele dovrebbe essere oggetto di ammirazione e solidarietà. Dovrebbe essere assunto a simbolo della libertà di conoscere, del dovere di non tacere. Dovremmo organizzare manifestazioni per la sua liberazione.

Invece no, invece ascoltiamo il Papa che si dice “dispiaciuto”. Ma l’ “Amore nella Verità”, come recita il titolo della sua più nota Enciclica, non dovrebbe spingerlo a dirsi sì dispiaciuto, ma per ciò che di poco chiaro si muove intorno a lui? Non dovrebbe spingerlo a denunciare la “sporcizia” (sempre per citare Ratzinger) nelle stanze apostoliche?

Il maggiordomo non è il colpevole. Se fosse un libro giallo, sarebbe dalla parte dei buoni che aiutano il commissario Maigret.

Cari cardinali, liberatelo. Solo così la gente potrà credere nella vostra buona fede.

Free Assange! Free Paolino!

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