ROMA – “L’alpino Matteo Miotto è stato ucciso da un gruppo di insorti durante un vero e proprio scontro a fuoco e non da un cecchino isolato”.
Sono queste le parole che arrivano come un pugno allo stomaco pronunciate dal ministro della difesa Ignazio La Russa da Herat, dove si trova in visita al contingente italiano in Afghanistan. In pratica la morte di Matteo, avvenuta il 31 dicembre scorso nel Gulistan, non è stata causata dallo sparo di un cecchino, bensì da un gruppo di terroristi (come li definisce il ministro), di cui tra l’altro non si conosce il numero, che hanno avuto un vero e proprio scontro a fuoco con i nostri militari. “All’attacco degli insorti ha risposto chi era di guardia, con armi leggere e altri interventi, e a questi si è aggiunto anche Miotto che da una prima ricostruzione, faceva parte di una forza di reazione rapida e per questo era salito sulla torretta a dare manforte ai colleghi”, ha precisato La Russa il quale dice di attendere ulteriori dettagli sulla ricostruzione dell’accaduto e di aver chiesto un rapporto dettagliato in merito. Il giovane alpino ha avuto il tempo di accorgersi di quello che stava accadendo e ha gridato mi hanno colpitò prima di perdere conoscenza.
Così a distanza di cinque giorni cambia la versione e viene da chiedersi per quale motivo non sia stata detta subito la verità, soprattutto ai genitori del giovane alpino, che l’hanno invocata subito dopo essere stati freddamente informati della morte del figlio di appena 24 anni. Cosa si cela dietro a questa mancanza di trasparenza da parte delle forze militari italiani? Per ora questa domanda rimane senza risposta. Possiamo solo ipotizzare che tutte le ragioni siano buone, pur di far credere all’opinione pubblica che il contingente italiano è una forza militare giunta in Afghanistan per portare la pace.
Le cose, invece, sono ben diverse. L’ennesima conferma ufficiale arriva proprio da La Russa, il quale ha precisato: “Nonostante il periodo invernale le azioni ostili contro i militari italiani non sono diminuite: in villaggi come Bala Murghab o nel Gulistan ogni giorno si devono difendere dagli attacchi, gli scontri a fuoco sono anche più di uno al giorno”. Il generale Marcello Bellacicco, comandante del contingente, ha tracciato un bilancio degli ultimi due mesi e mezzo. Dal 18 ottobre, ha spiegato, gli ‘eventì che hanno riguardato gli italiani sono stati 133: 27 attacchi a tiro diretto, cioè con armi leggere; 5 a tiro indiretto, vale a dire con armi leggere e mortai; 6 di tipo combinato, diretto e indiretto; 5 gli ordigni esplosi contro mezzi italiani; 57 i ritrovamenti di armi ed esplosivi; 5 gli incidenti stradali e 28 le azioni ostili di minore importanza. Gli episodi che nella regione ovest a comando italiano hanno coinvolto i militari di tutti i contingenti che fanno parte del Regional Command West, sono stati 338.
Insomma inutile pensarla diversamente. Questa si chiama guerra.