Ilva. Dalle bonifiche l’occasione per un nuovo sviluppo

ROMA – Due notizie sull’Ilva di Taranto.Una certa: il ministero dell’Ambiente, lo annuncia Corrado Clini, si costituirà parte civile nel processo per individuare le responsabilità dell’inquinamento di Taranto.

L’altra  è relativa alla mortalità  nell’area tarantina egli anni 2003-2008 con  un aumento del 10% rispetto alle previsioni., I dati sarebbero contenuti nel progetto Sentieri che ha studiato il profilo di mortalità nei siti di interesse nazionale per le bonifiche e dovrebbero essere all’esame del convegno annuale che terrà martedì. Ma il ministro Clini chiarisce che i dati 2003-2008 “sono in corso di elaborazione e ancora al v aglio della autorità scientifica”. Comunque l’importante è che dalla vicenda Ilva si prenda spunto per affrontare problemi , di grande importanza, spesso sottovalutati quando non valutati per niente.

Sono passati ormai più di 12 anni da quando, a partire dal convegno nazionale promosso dalla CGIL a Porto Marghera nel 2000, prese le mosse il Piano nazionale delle bonifiche dei siti industriali inquinati. Anche allora a smuovere le acque fu l’iniziativa della magistratura. Così come è avvenuto in seguito per il Fiume Sarno, per l’Acna di Cengio, per Gela e Priolo, per Pieve Vergonte, per Spinetta Marengo, ed altri numerosi siti ancora per giungere, da ultimo, all’Ilva di Taranto. E’ fuori di dubbio che alla Magistratura va riconosciuto il merito di aver agito là dove altri non hanno osato. E’ questo un dato storico indiscutibile che carica di gravi responsabilità tutti quei soggetti che, a fronte di un modo criminale (è questa la parola giusta) di fare impresa a danno della salute dei lavoratori, dei cittadini e dell’ambiente, non hanno ritenuto opportuno intervenire per un eccesso di precauzione (?) o per calcoli di parte più o meno legittimi.

Potenzialmente inquinati 13.000 siti

Si calcola che nel Paese ci siano circa 13.000 siti potenzialmente inquinati. Di questi 57 sono dichiarati siti di interesse nazionale (SIN). In essi si concentrano segmenti strategici del sistema produttivo nazionale, dal chimico all’industria petrolifera, dall’energetico al siderurgico e ad essi sono interessati decine di migliaia di lavoratori e interi sistemi economici locali. Coinvolgono contesti ambientali e territoriali in moltissimi casi di valore eccezionale, sia sotto il profilo naturalistico che storico-culturale. In essi, come hanno dimostrato le indagini della magistratura e dell’Istituto Superiore di Sanità e  i controlli delle Agenzie regionali per l’ambiente, la sicurezza e la salute dei lavoratori e dei cittadini è in condizione di rischio permanente (dall’indagine Sentieri del 2011 dell’ISS è emerso che nei siti SIN la mortalità supera del 15% il valore atteso).
Come stupirsi allora che queste realtà siano state e siano fonte di preoccupazione tanto per le maestranze quanto per le comunità limitrofe? Come meravigliarsi che queste preoccupazioni in alcuni casi si traducano in aperta conflittualità a fronte della  indifferenza dei responsabili delle attività produttive e delle istituzioni, anche in situazioni evidenti di progressivo e pericoloso degrado. E’ francamente incredibile come pezzi di sindacato possano addirittura arrivare a promuovere manifestazioni di protesta contro chi, nell’inerzia di altri, tenta di garantire la salute e la sicurezza  dei lavoratori e di intere comunità. La storia sindacale italiana insegna che non esiste contraddizione tra lavoro e sicurezza ambientale: solo che lo si voglia.

 Cgil: le fabbriche non si chiudono ma si trasformano

La  CGIL ha sempre sostenuto l’idea che le fabbriche non si chiudono ma si trasformano rendendole sicure per i lavoratori e per l’ambiente. Era questa la finalità che ci portò a richiedere il piano nazionale delle bonifiche. Dicemmo anche che  era necessario avviare un processo graduale, ma efficace di trasformazione sostenibile di quei siti produttivi ad altissimo impatto.  E se era vero allora, oggi diventa una priorità di valore generale a fronte del quadro competitivo internazionale ed alla crisi ambientale ed occupazionale. Si sa quali sono i settori e le realtà più esposte, è venuto il momento di mettere mano ad una politica industriale che affronti di petto e contestualmente transizione industriale e bonifiche, anche per evitare che  le crisi da latenti diventino ingovernabili, come nel caso dell’Ilva, ma anche dell’Alcoa. I 57 siti nazionali nella stragrande maggioranza sono aree fortemente infrastrutturate (porti, ferrovia, energia, rete viaria, servizi ambientali, ecc.) in grado di offrire enormi vantaggi in termini di oneri di urbanizzazione: una occasione straordinaria per il reinsediamento produttivo.  Rendere disponibili  questi siti per nuovi insediamenti produttivi, in particolare le aree dei gradi poli industriali del meridione al centro del Mediterraneo, stiamo parlando di aree che interessano ben  il 3% del territorio nazionale, è una occasione straordinaria di sviluppo che il Paese non può permettersi di sottovalutare. Già oggi  37 di questi siti sono interessati da programmi di investimento per la riqualificazione industriale e la rigenerazione di interi quartieri urbani che, tuttavia,   non riescono a realizzarsi a causa dei ritardi nei risanamenti: a 12 anni dal via al Piano delle bonifiche solo una piccola parte  delle aree dei siti nazionali può considerarsi bonificata in via definitiva.

I problemi  da affrontare per gli interventi nei territori
Dopo anni di inerzia del Governo Bellusconi e di progressiva inaridimento delle risorse finanziarie per le bonifiche, l’attuale Governo ed in particolare i Ministri allo Sviluppo Economico e all’Ambiente sono intervenuti con alcune modifiche normative per rendere più spediti gli interventi di bonifica. Misure che, tuttavia, pur cogliendo alcune esigenze reali, sono assunte in modo frammentario, non  affrontano alcune questioni di fondo: su chi ricade la responsabilità della bonifica?; quali le misure di sostegno alla bonifica ed il reinsediamento produttivo; come superare un approccio “amministrativo”, per affermare una visione industriale del problema; come rendere compatibile la continuità produttiva in caso di bonifica.
L’iniziativa del Governo, che denota la percezione del problema dopo anni di incuria, percezione resa più acuta dalle vicende dell’IVA, deve essere ripresa e rafforzata nell’obiettivo, come ha recentemente affermato il Ministro Clini, di fare delle bonifiche una occasione di sviluppo sostenibile. Cosa fare allora? Innanzi tutto assumere il tema delle bonifiche tra le priorità strategiche della politica industriale nazionale aprendo subito un serio confronto con imprese, sindacati, associazioni ambientaliste e istituzioni territoriali per elaborare e condividere una strategia  di intervento. I nodi del confronto sono ormai noti da tempo.
 I nodi del confronto con imprese, sindacati, ambientalisti

O  Se ne indicano alcuni tra i più critici: la gestione del contenzioso sollevato dalle imprese (interpretazione del criterio “chi inquina paga”); il ruolo sostitutivo pubblico per garantire comunque la sicurezza di lavoratori e cittadini; la messa in sicurezza operativa (copresenza di attività di bonifica con attività produttiva);  riesame del numero di sostanze per la verificare della soglia di rischio accettabile (20 UK, DE, 80 altri UE, 234 IT) e dei livelli di concentrazione (in IT tra le più basse in assoluto); il trattamento acque di bonifica (da rifiuto a scarico idrico); il trattamento delle terre di bonifica; le tecnologie di bonifica (costi – benefici); le procedure (efficacia conferenze di servizio); la riduzione del numero dei SIN; la riperimetrazione dei siti nazionali. Infine il tema delle risorse: al riguardo si tratta di capire le possibilità di rimettere in pista il Programma straordinario nazionale per il recupero economico e produttivo di siti industriali inquinati (già approvato dal CIPE nell’Aprile 2008 ) che impegnava i fondi previsti dal FAS per il 2007-13 per complessivi 3.009 milioni di euro, prioritariamente per le aree del mezzogiorno.
Se vogliamo che le bonifiche si realizzino; se vogliamo risanare interi territori e riconvertirli ad aree verdi, parchi di energie rinnovabili, industria sostenibile; se vogliamo dare sicurezza a cittadini e lavoratori, se vogliamo riqualificare interi quartieri, questa è la strada e la cosa è possibile come insegnano  esperienze di altri paesi, ma anche come iniziano a dimostrare esperienze italiane: Manfredonia, Porto Marghera, Porto Torres.

Condividi sui social

Articoli correlati