Benedetto XVI e Celestino V, due rinunce per mettere fine ad un “sistema”

CITTA’ DEL VATICANO – Benedetto XVI come Celestino V. Due rinunce storiche. Epocali.

Due identici modi per dire basta. Non solo al pontificato, ma ad un intero sistema.  Di qui in avanti non si sa cosa accadrà. Traboccherà il vaso del silenzio che custodisce segreti inconfessabili? La Chiesa inizierà ora a percorrere spedita il sentiero del riformismo? Si arriverà ad un nuovo Concilio? Ad oggi non è dato saperlo. Ciò che appare abbastanza chiaro è che con la rinuncia di Ratzinger scorrono i primi titoli di coda di un’epoca. O meglio ancora, cala il sipario su un “Sistema”.  C’è un gesto che più di ogni altro ha oggi il sapore di un presagio. Di un evento annunciato. Un episodio che rinsaldò indissolubilmente le figure di due papi che hanno fatto della rinuncia la manifestazione più autentica della libertà. Due papi che hanno deciso di rispondere al mistero della fine esattamente allo stesso modo. Con la ragione. Donando come d’incanto un volto umano al mistero della fede.

La visita alla Basilica di Collemaggio

Correva l’anno 2009 quando Papa Benedetto XVI si recò a L’Aquila. Una città devastata perché rasa al suolo dal terremoto. Era il 28 aprile precisamente quando Papa Ratzinger entrò all’interno della Basilica di Santa Maria di Collemaggio contro la volontà degli addetti alla sicurezza poiché la struttura era pericolante. Il Papa non volle sentire ragioni. Entrò nella basilica, si pose di fronte alla teca con i resti di Celestino V e depose il suo pallio pontifico sul cristallo. Fu quello un gesto storico per una ragione in particolare. Nessun altro pontefice, infatti, fino ad allora, si era recato a Collemaggio per rendere onore al Papa del “gran rifiuto”. Fu un segnale di apertura nei confronti di un pontefice controverso. Il primo a rinunciare alle chiavi di Pietro. Un atto di coraggio che scatenò nel corso del tempo innumerevoli giudizi critici. Il più famoso è quello di Dante Alighieri che nella Divina Commedia collocò Papa Celestino V tra gli ignavi. La figura del Papa asceta venne poi poco a poco rivalutata a partire da Petrarca che definì “il suo operato come quello di uno spirito altissimo e libero, che non conosceva imposizioni, di uno spirito veramente divino”.

Benedetto XVI e Celestino V, un legame indissolubile

San Celestino V e il Papa teologo Benedetto XVI hanno in comune davvero tante cose. A partire dalla loro elezione al soglio pontificio. Entrambi rimasero profondamente sorpresi dell’inaspettata notizia, ma soprattutto intimoriti dalla potenza della carica. Celestino V inizialmente si oppose decidendo di accettare soltanto per dovere d’obbedienza. Anche Benedetto XVI accettò per obbedienza dimostrandosi perplesso, ma anche rasserenato dal fatto che il Signore avesse deciso di avvalersi di “mezzi insufficienti” per portare avanti la sua missione in terra. Entrambi umili. Umili servi “nella vigna del Signore”, come disse il neo eletto Papa Ratzinger poco dopo la fumata bianca. Per tutti e due il peso di una missione ardua si è fatto sentire in tutta la sua immaginifica potenza. Il primo rinunciò dopo soli quattro mesi. Il secondo, dopo circa 8 anni. Papa Celestino V, al secolo Pietro Angelerio del Morrone, fu eletto Papa il 29 agosto del 1294. Fu un personaggio famosissimo per la santa vita, nutrita di rinunzie, rigore, ascesi, costellata da miracoli, per l’inaspettata ascesa al Soglio che accese la speranza dell’avvento dell’Ecclesia spiritualis ed ancor di più per l’altrettanto inattesa rinuncia, alla quale seguirono l’avventurosa fuga sui monti d’Abruzzo e poi verso la Grecia, quindi la cattura, gli insulti, la prigionia a Fumone e infine la morte contornata dall’alone del martirio. Ieri, a distanza di qualche secolo, anche Benedetto XVI ha annunciato, in latino, al mondo intero di lasciare il pontificato. Probabilmente, alla base della grande rinuncia, il fatto di sentirsi entrambi nauseati dalla corruzione e dagli intrighi di palazzo. Ciò non vuol dire arrendersi. Assolutamente. Perché per vincere sfide così complicate a volte è necessario uno scossone. Un atto inaspettato che assume un valore semantico travolgente che apre le porte all’ineluttabilità di un rinnovamento imprescindibile per la credibilità stessa della Chiesa. Un evento destinato a scoperchiare il profondo vaso dentro cui troppo a lungo si è cercato a tutti i costi di tener custodite verità scomode e intrighi. Protetti dal tappo di un silenzio cosmico. Celestino V venne eletto Papa dopo due anni di sede vacante. Un periodo lunghissimo. Inaccettabile. E lo stesso Celestino V non si fece scrupoli per denunciare tutto ciò. Lo fece a suo modo. Da spirito libero. Denunciando davanti al mondo il dilagare della corruzione all’interno della Chiesa. Anche per Benedetto XVI,  che dal 1981 al 2005 aveva rivestito la carica di prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, c’erano – e ci sono – tante cose da cambiare in Vaticano. E in questi anni tantissimi sono stati i problemi spinosi che si è trovato a maneggiare: l’affaire Vatileaks, lo scandalo dei preti pedofili (per i quali ha chiesto scusa), la questione dello Ior (la banca Vaticana al centro di irregolarità). Insomma, roba da sfibrarlo pian piano. Fino alla decisione di abdicare.

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