L’otto marzo nel mezzo di una crisi. Se ne esce con il coraggio delle donne

ROMA – La sventurata cronista che viene incaricata di scrivere un pezzo di approfondimento sull’8 marzo osserva il suo intorno un po’ disperata cercando di trovare un metodo tra iniziative, convegni, manifestazioni e mostre. Tentando di recuperare nei meandri della propria mente ‘la ragione e il sentimento’ della giornata della donna ormai seppellita da anni tra la retorica dei numeri statistici e quella dei buoni sentimenti.

La tentazione di riproporre un pezzo dello scorso anno è grande, basterebbe un lavoro di aggiustamento dei numeri e qualche piccolo intervento di restyling per rendere il tutto credibile, non se ne accorgerebbe nessuno. Ma l’intrepida cronista sceglie alla fine un’altra strada e decide di rompersi la testa ancora una volta con una riflessione, speriamo non troppo banale, sulla condizione femminile in questo ‘benedetto, assurdo bel paese’ e le prospettive che si aprono per le donne in questo momento storico così terribile e straordinario.

Analizziamo con ordine la situazione.  Siamo nel bel mezzo di una crisi economica, che è primariamente crisi umana, civile e politica perché sono gli uomini e le donne che sono incapaci di dare risposte che rendano sana, equa e al servizio dell’umanità la nostra economia. In questo stallo uomini e donne si muovono in un ambiente fluido ed instabile nel quale non trovano punti di riferimento perché hanno perso i valori e i paradigmi per orientarsi. Primo fra tutti il valore del lavoro. Secondo il Global Employment Trends for Women, pubblicato dall’International Labour Organization nel 2012, la crisi ha distrutto 13 milioni di posti di lavoro delle donne. Un lavoro che ha molteplici aspetti, non solo perché rende stabile il reddito delle famiglie, permette una pianificazione del proprio progetto di vita e rafforza la previdenza sociale, ma anche perché rende libere ed autonome, rafforza la propria autostima  e contribuisce alla costruzione di una esistenza felice. Su tutto ciò le donne, che sono state a lungo fuori dai centri decisionali potrebbero e dovrebbero dire con molta più forza di quanto fatto fino ad ora una parola evitando di adeguarsi a modelli ormai decisamente obsoleti ma portando i propri talenti e la propria versatilità laddove si determinano le politiche e le prassi. Talenti e versatilità che non calano sul genere femminile per grazia divina ma per esperienza e consapevolezza e che discendono da pratiche secolari di lavoro di cura, a lungo disprezzato e sottovalutato, e i cui presupposti e cardini andrebbero invece recuperati e messi alla base di muovi modelli di convivenza umana. L’intreccio di questi elementi, economia, lavoro e lavoro di cura può rappresentare davvero una prospettiva nuova e innescare processi virtuosi che potrebbero attivare energie positive per rispondere ad uno stallo che è soprattutto e principalmente mentale. Questa rivoluzione, per essere attuata, ha bisogno di tutta la concentrazione, l’impegno e la consapevolezza delle donne e qui si arriva al nodo del problema che è principalmente quello politico che parla di decisioni e di potere.

Abbiamo un nuovo Parlamento, con una presenza femminile più consistente che mai nella storia della nostra Repubblica, ma non sappiamo con quanta consapevolezza della necessità di partire da un approccio di genere nell’interpretazione e nella spiegazione delle questioni, cruciali, che verranno affrontate; la questione della rappresentanza femminile non passa solo attraverso i numeri e la quantità ma, evidentemente, attraverso la qualità, la competenza e la capacità di letture trasversali della realtà che siano in grado di recuperare pensieri minoritari che parlano di una parte di popolazione, quella femminile, sistematicamente esclusa per secoli dalla facoltà decisionale. Ciò deve interrogare le donne e responsabilizzarle. Il Parlamento che si insedierà la prossima settimana si troverà ad affrontare, oltre al nodo politico della governabilità del paese, quello del generale discredito di cui la stessa istituzione gode presso il paese intero. Per superare questa fase è necessario che le donne mettano in campo tutta la loro intelligenza e generosità per attraversare le appartenenze e i calcoli e dichiarare la propria ‘resistenza’ a riproporre schemi già sperimentati. Non si tratta di distruggere tutto ma di costruire a partire da nuove basi sostenendosi nei movimenti e nei gruppi di donne che già vengono proponendo da anni un’elaborazione propria ed altra, differente, e appoggiandosi allo stesso tempo sulle nuove istanze che hanno volontà, coscienza e fiducia in una possibile trasformazione. Solo da questa alleanza eterogenea può venire fuori il coraggio necessario al cambiamento. Per questo ogni anno, faticosamente, le donne celebrano l’otto marzo, giornata di lotta e di speranza.

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